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Georgia: un grido di libertà che va ascoltato

Il grido di libertà, che si è alzato in questi mesi dai cittadini georgiani non può essere ignorato, né tantomeno catalogato come semplice dialettica interna alla sovranità di uno stato. È un grido chiaro, forte e ben indirizzato: Putin non è il padrone della Georgia e i suoi cittadini sono liberi.
Attualità - Rifugiati (Foto internet)

Com’era la Crimea nel 2014, oggi è, con le dovute proporzioni, la Georgia. Il grido di libertà, che si è alzato in questi mesi dai cittadini georgiani non può essere ignorato, né tantomeno catalogato come semplice dialettica interna alla sovranità di uno stato. È un grido chiaro, forte e ben indirizzato: Putin non è il padrone della Georgia e i suoi cittadini sono liberi. Le violenze che si sono riversate nelle strade contro i civili che inneggiavano alla libertà e all’Unione Europea sono il sintomo, preoccupante, dello stato dell’arte e certificano che quanto accaduto nel Parlamento di Tblisi nelle scorse settimane è un fatto grave e pericoloso, che minaccia la sovranità e la stabilità dell’area, oltre che – in particolar modo - la libertà dei propri cittadini. Il governo guidato da Irakli Kobakhidze ha infatti approvato, al terzo tentativo e nonostante mesi e mesi di proteste e manifestazioni, una legge liberticida sulla “trasparenza”. La legge, tanto angosciante quanto astratta, intende categorizzare come “organizzazione che persegue gli interessi di una nazione straniera” qualsiasi ente od organizzazione, che riceva anche in minima parte (20%) finanziamenti esteri, disponendo – di fatto – una delegittimazione di stato di qualunque entità giuridica (università, centri di ricerca, organi di stampa etc.) che abbia rapporti internazionali ed autorizzando una persecuzione dello stato contro queste ultime. Il dispositivo prevede sanzioni economiche per chi non comunichi anticipatamente la propria posizione di “portatore di interessi stranieri”, maggiorate per ogni mese di mancato avviso. La denuncia comporta l’iscrizione in un pubblico registro, dal quale il governo può comandare “indagini ulteriori”, i cui confini sono particolarmente oscuri. Il provvedimento si inserisce all’interno di un solco governativo già tracciato, fortemente influenzato dalla politica russa e dalla vicinanza del leader georgiano con Vladimir Putin, che persegue obiettivi molto chiari: eliminare qualsiasi velleità di adesione all’Unione Europea, attraverso l’abbattimento dei requisiti minimi di libertà civile. La traiettoria intrapresa dal governo georgiano è dunque parallela a quella richiesta dai cittadini, violentati ed arrestati per aver manifestare la volontà di vivere in un paese libero e liberale. L’urlo che si alza da queste voci e il sangue che scorre oggi nelle vie di Tblisi deve ricordarci quanto già accaduto con la Crimea nel 2014. Questa è la Russia di Putin e la libertà è quello che ci differenzia da loro. Ascoltare il grido dei georgiani è un dovere dell’Unione Europea, casa della libertà e dello stato di diritto.

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