Milano / Malpensa
"A 2 metri dal camion della morte"
- 21/07/2016 - 11:45
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“Investiteli con l’auto, usate i camion come falciatrici non per tagliare l’erba ma per falciare i nemici di Allah”. Erano queste le parole del portavoce dell’ISIS Adnani fisse nella mente di Mohamed Lahouaiej Bouhlel, 31enne di origine tunisina residente a Nizza dal 2011, mentre conduceva il tir a una velocità sfrenata nella zona pedonale della Promenade des Anglais. Erano le 22:34 del 14 Luglio quando è accaduto tutto. La Francia era ancora nel pieno dei festeggiamenti aventi come motto “liberté, égalité, fraternié” principi che sono stati bagnati dal sangue durante quella notte. La corsa del folle si è protratta per alcuni minuti che sono sembrati un’eternità per tutti coloro che si trovavano lì in quel momento e che rimarranno nella loro memoria per sempre. 84 sono le vittime del massacro tra cui dieci bambini, tre tedeschi, due statunitensi, una studentessa russa, un donna svizzera, un ucraino e un tunisino. E altrettanto numerose sono le famiglie che piangeranno la morte di queste persone insieme a tutte le nazioni coinvolte. Nella giornata di ieri il Monument Du Centenaire ha visto raccogliersi centinaia di persone per un minuto di silenzio durante il quale i cuori di tutti i presenti si sono uniti sotto un’unica parola: Speranza. Speranza di un mondo migliore, speranza di cambiamento e di pace.
"IO C'ERO": UNA TESTIMONIANZA DOPO L'ATTENTATO
Trascorrere in Francia due settimane della mia vita era nei miei progetti già da tempo così come la volontà di apprendere la lingua francese al meglio. E dunque sono partita, vacanza-studio di due settimane a Nizza. Una città così ricca di storia e monumenti da essere considerata una delle mete più ambite grazie anche ai paesaggi marini mozzafiato che offre ai suoi visitatori. Libera da ogni pensiero, sono partita con altri 28 ragazzi italiani il 4 Luglio 2016. Il tempo è volato: la mattina seguivamo lezioni di francese mentre il pomeriggio e la sera erano dedicati a uscite e divertimento. In queste due settimane passate ho visto un’intera nazione gioire per aver vinto la semifinale di calcio europea, ho visto bandiere sventolare fiere in cima agli edifici, ho assistito alla parata del 14 luglio accompagnata da musiche solenni, ho percepito l’orgoglio nazionale mentre dentro di me sorridevo felice. Ho visto centinaia di persone con le teste alzate per i fuochi d’artificio sparati nel cielo che tingevano il mare di rosso, bianco e blu fino a creare una bandiera francese sulla vastità del mare. E pochi minuti dopo ho rivisto quelle stesse persone strappate dalla propria vita. Tutto quello di cui si parla, quasi sempre ormai, in televisione si è materializzato intorno a me in meno di 30 secondi: ricordo il camion lanciato a velocità folle che mi passa a meno di 2 metri; ricordo un ragazzo del mio gruppo preso dalla camicia da un uomo per non essere investito; ricordo gli spari dei poliziotti e il caos generale, ricordo il terrore riflesso negli occhi della gente che scappava senza una meta, senza un posto in cui andare. E poi ricordo ancora due ragazze davanti a me che pedalavano tranquille in una serata di festa. Non so se fossero francesi, inglesi, italiane o turche. Non so di quale religione fossero. Non conosco le loro vite ma presumo avessero una vita come la mia. Ognuno di loro avrà avuto dei genitori che le amavano, dei sogni, degli amici che ora piangono ogni giorno. E poi ci sono io, che le ho viste morire e rimanere immobili così come il grido muto che è rimasto sulle mie labbra al momento dell’impatto. Gandhi affermava che l’odio può essere sconfitto solo con l’amore. L’amore di tutti coloro che, come me, sono sopravvissuti alla pazzia di un uomo. L’amore di tutti coloro che convivranno per sempre con la paura di attraversare la strada o di passeggiare con la propria famiglia. L’amore di tutti coloro che ora vorrebbero gridare al mondo di posare le armi e lasciare che ogni uomo sia libero davvero.
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