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domenica 24 novembre 2024 | ore 19:48

Da Turbigo alla Cina del COVID-19

Sergio Colombo, 57enne turbighese, da otto ormai vive e lavora proprio in Cina. L'emergenza Coronavirus e come è stata vissuta e si sta vivendo nei luoghi dove si trova.
Turbigo - Sergio Colombo

Yingde, più di 100 chilometri a nord di Guangzhou, una cittadina di circa 500 mila abitanti: la Cina che riparte dopo l'emergenza Coronavirus, ma, in fondo, almeno in questa zona, non ci si è mai fermati del tutto. Là dove il COVID-19 ha cominciato a far palare di sé, insomma, là, oggi, vive e lavora il turbighese Sergio Colombo. "Diciamo che qui la situazione è normale - racconta il 57enne, assistente tecnico con un'azienda chimica cinese specializzata nella produzione di prodotti per l'industria conciaria - Mentre più lento è stato il ritorno alla quotidianità nella parte centrale e nord del Paese (il fulcro della pandemia). Diciamo, comunque, che alla fine la realtà del Guangdong, così come per le varie province meridionali, è sempre stata abbastanza tranquilla". Yingde, adesso, allora, prima, però, ci sono state Jinan, Shanghai e Guangzhou... "La Cina è da 8 anni ormai la mia 'seconda casa' - continua Colombo - Per quanto riguarda i mesi appena trascorsi, beh, almeno nell'area dove mi trovavo (che in quei momenti era il distretto di Huadu), non c'erano grandi divieti: i supermercati, ad esempio, erano aperti, allo stesso tempo i mezzi pubblici funzionavano (metropolitana compresa), quello che era diventata una consuetudine era il controllo della temperatura corporea, che poteva avvenire in più attimi della giornata, ma per il resto, appunto, le limitazioni erano ristrette al necessario. Tenete conto che io personalmente non mi sono mai fermato con il lavoro, l'unica cosa è che l'azienda avrebbe Cina - Misurazione della temperatura corporea dovuto riaprire il 2 febbraio, con la data di rientro dalle vacanze che è stata, poi, spostata di una settimana e con i tecnici che sono tornati, quindi, il 9. Oppure il traffico veicolare che, dal 20 febbraio, era già discretamente aumentato. Uno dei principali problemi in quel periodo, per quanto mi riguarda, erano le chiusure dei ristoranti (quelli con maggiore capienza) e, pertanto, vivendo in hotel erano pochissime le alternative per la cena". Una situazione, dunque, tutto sommato calma, a differenza di altre aree del Paese, dove, invece, c'erano direttive molto più stringenti e ferree. "Anche il numero di contagi accertati nella provincia erano bassi, così come i decessi - spiega il 57enne - Questo non vuol dire che l'attenzione fosse minima, anzi il Governo, a cadenza regolare, inviava precise comunicazioni con gli appelli alle autorità ed alla popolazione a non abbassare la guardia. Ma, a mio avviso, c'è una differenza sostanziale e non di poco conto con l'Italia (sto seguendo, ovviamente, le vicende, avendo lì la mia famiglia), ovvero che qui le province avevano ed hanno un'autonomia molto alta nella scelta delle limitazioni Attualità - La cartina geografica (Foto internet) da prendere (il livello di allarme veniva dato, appunto, dal Governo Provinciale), senza dimenticare (altro fattore fondamentale) che si è sempre evitata la diffusione di molteplici idee, opinioni e pareri (quello che sta succedendo nel mondo occidentale), lasciando, al contrario, la parola solo e soltanto a delegati specifici delle differenti realtà in campo in prima linea per fronteggiare l'emergenza e che avevano, appunto, il compito di informare la gente. Non c'era il "tutti dicono la loro" e questo, alla fine, ha permesso di limitare il più possibile la confusione tra la popolazione". Il Paese che riparte, insomma, però il Paese che, contemporaneamente, monitora passo dopo passo ogni singola situazione. "Un esempio su tutti - conclude - Dovevo rientrare a Turbigo il 13 aprile scorso, ma non l'ho fatto perché avrei avuto notevoli problemi al mio ritorno in Cina, visto che sarei dovuto rimanere in quarantena per due settimane, a mie spese, in ambienti selezionati dal Governo Provinciale Cantonese. E tenete conto, infine, che attualmente gli accertamenti e le selezioni delle persone da mettere in quarantena, negli aeroporti cinesi, sono micidiali: i passeggeri vengono, infatti, informati che dall'atterraggio al momenti in cui si può uscire fisicamente dallo scalo aeroportuale possono passare anche 10 ore".

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