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mercoledì 25 dicembre 2024 | ore 06:07

Tassare gli extraprofitti

La misura introdotta dal governo Meloni sull’extra-valore generato sul margine di interesse negli attivi di bilancio delle banche.
Attualità - Tassazione (Foto internet)

Che ci si approcci al tema senza bandierine di partito, questo è quello che è necessario per analizzare e comprendere quanto folle e controproducente è e sarà la misura introdotta dal governo Meloni sull’extra-valore generato sul margine di interesse negli attivi di bilancio delle banche. La legge impone un prelievo fiscale retroattivo (efficace anche sui bilanci 2022) lordo applicabile sugli “extraprofitti” (altrimenti qualificabili come incrementi marginali lordi sulla redditività dei tassi di interesse, altro che “profitti”) generati dagli enti creditizi operanti in Italia. Probabilmente in un mondo normale sarebbe sufficiente enunciare il dispositivo di questa legge per qualificarne il contenuto e favorire un intervento parlamentare forte (anche se numericamente – almeno in principio – irrilevante) in grado di dissuadere il governo dal procedere. Utopia. In Italia le opposizioni sono scomparse e parimenti il contraddittorio sembra una strada che pochi vogliono perseguire. Fatto sta che il governo Meloni (e dei suoi alleati – immaginiamo quanto ben contento sarà l’elettorato azzurro) ha deciso: si procede e si rivendica questo intervento di populismo becero con sfumature sovietiche, applicato con l’intento di offrire uno specchietto per le allodole italiane (punire chi si arricchisce con i tassi alle stelle), senza perdere di vista la reale ragione dell’intervento, ovvero quella di generare gettito per una manovra di bilancio che si preannuncia scoperta per la maggior parte delle promesse elettorali. Se dal lato della pubblica opinione la misura non ha generato l’atteso sconcerto (ahimè siamo un paese ancora molto ignorante in questo senso), probabilmente non si è parlato nemmeno in Parlamento delle gravissime conseguenze che questa misura può portare con sé. In primo luogo, è la logica della misura e l’applicabilità – retroattiva, che apre lo spazio a futuri interventi nel settore bancario o in altri settori, rendendo la possibilità di fare impresa in Italia oltremodo difficile con tutto ciò che questo comporta in termini di investimenti, lavoro, gettito fiscale etc. (immaginate quale fiducia può riporre un investitore estero in un paese, il cui governo applica misure fiscali retroattive da un giorno all’altro). In secondo luogo, è la disarmante superficialità e l’assoluta mancanza di competenza in materia con la quale è stato perimetrato l’oggetto della legge. In un periodo di assoluta incertezza e complessità come quello che viviamo, che segue una pandemia triennale con immissioni di denaro a cascata sul mercato e richiede ora una politica monetaria fortemente restrittiva, per evitare un’inflazione troppo alta e contemporaneamente un’attenzione particolare a non strozzare la ripresa delle economie globali; in questo contesto, decidere deliberatamente di intervenire sui margini lordi di interesse significa non solo essere estranei alla materia, ma vivere un mondo completamente inesistente. Il margine di interesse è innanzitutto lordo (differenza tra interessi attivi e passivi di un’azienda), il che non può certo essere un indicatore attendibile di quelle che potrebbero essere le perdite generate da crediti incagliati dovuti a tassi di interesse alti, ma soprattutto la misura non tiene conto del modello di business aziendale, tale per cui in un periodo di tassi alti (e di eventuali maggior incrementi in conto capitale) potrebbe essere utile un accantonamento a fondi, di modo da far fronte a periodi fiscali meno favorevoli. È, in sostanza, una misura che mette tutti in difficoltà: il paese, le banche e le imprese. È una misura che è completamente illiberale, che condanna il libero mercato e azzoppa l’attrattività di un paese.

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