Milano / Malpensa
Tendopoli fra Castano e Lonate: il no degli abitanti
- 31/03/2011 - 16:21
- Castano Primo
- Lonate
“Vale più un fatto di mille parole” – dice un vecchio proverbio. E non c’è immagine migliore in questi giorni di quei tenaci abitanti di Lampedusa che, sommersi da migliaia d’immigrati disperati che fuggono dalla guerra in Libia, portano loro alcuni vestiti. Una scena toccante che va oltre le giustificate proteste che comunque avvengono sull’isola, oltre le voci che in ogni caso si alzano per gridare un’insostenibile situazione di sovraffollamento e disagio, ma loro sanno anche andare oltre, sanno aiutare davvero. E noi? Noi a Castano cosa facciamo? Noi ci lamentiamo. Era prevista fino a ieri una tendopoli a dieci chilometri da Malpensa, nell’area dell’ex campo di aviazione militare “Della Promessa”, al confine fra i comuni di Castano Primo e Lonate Pozzolo. Oggi il colpo di scena: dietrofront, l'area che era stata originariamente inserita nell'elenco delle strutture idonee per la sua vicinanza strategica a uno scalo internazionale, non compare più come campo d’accoglienza. E la motivazione è semplice: le proteste del territorio hanno evidentemente indotto il Viminale a una parziale correzione di rotta. “E’ giusto aiutarli ma noi non li vogliamo” pare essere diventato uno slogan. Nonostante le condizioni ideali della struttura, che dispone di diversi capannoni in disuso ed è parzialmente recintata, perfetta dunque per adibirla a campo d'accoglienza per gli immigrati, e anche se la tendopoli non verrebbe collocata in nessun centro abitato, i locali restano fermi sul no. La situazione preoccupa gli abitanti della zona ancor più che smuoverli verso un atto di responsabile aiuto nei confronti di quelle persone a cui è stato tolto tutto. E di nuovo oggi ha parlato il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, per proporre nuovi criteri in fatto di accoglienza: "Di fronte ad una tragedia umana dobbiamo fare tutti il massimo sforzo per salvare delle persone da morte certa". Ma gli stereotipi dell’immigrato che quando arriva priva il locale di qualcosa, come le opportunità di lavoro, lo spazio di una casa o tasse diverse da pagare, sembrano persistere più della solidarietà. Non si sa ancora con certezza quali saranno le misure adottate dal Governo per gestire la delicata vicenda dei profughi provenienti dal Nord Africa, sembra che ogni giorno ci siano idee diverse che mutano direzione in base alle lamentele dell’una e dell’altra parte. Servirebbe soltanto un po’ di coscienza verso coloro che arrivano mossi dalla disperazione, servirebbe ricordare che i nostri antenati sono scappati dalla guerra. Anche noi siamo stati guardati con gli stessi occhi diffidenti, siamo stati considerati usurpatori di chissà quale spazio prima che essere considerati bisognosi. Ci hanno insegnato a fare tesoro di queste esperienze, ci hanno detto che non serve parlare di aiuti se non si aiuta davvero: l’hanno detto ma non l’abbiamo capito. Chiusi, indifferenti, non vogliamo partecipare né avere qualcosa da condividere. Ma non è possibile che nel 2011, dopo secoli di guerre che hanno fatto emergere che sono sempre gli innocenti a pagarne le conseguenze, siamo qua a dibattere se offrire o meno a chi necessita di tutto, uno spazio in disuso, non le nostre case o il nostro lavoro, ma solo un posto sicuro e un pasto caldo, in nome di una libertà che ci verrebbe tolta. Eppure lo diceva Gaber anni fa: “ La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.”
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