Milano / Malpensa
'La Laura e il Carlo - Una storia milanese'
«Carlo, mi chiamo. E quando uno si chiama Carlo, a Milano, evoca subito il cinquecentesco prete gran signore la cui famiglia ha un motto che fa contrasto con lo sfarzo dei suoi palazzi in pietra bianca e marmo, appoggiati a verdi cuscini d’isole emergenti da un lago ceruleo, il Verbano, che in inverno e in primavera è coronato da monti con cappe di neve candida: luoghi quasi non terreni. Famiglia che ha palazzi con stanze dai muri di pietra e camini di pietra immensi, con pareti rivestite di armadi di legno lucido piene di libri rari fino ai soffitti, i quali a loro volta sono affrescati da mani abilissime; stanze chiare con finestre che danno sulla luce verde-azzurra di quel cielo che a volte è di smeraldo e a volte di un grigiore soffuso di perla, quando d’autunno la pioggia e la bruma tramutano il letto del lago in un golfo blu-ferrigno…»
Milano, primi anni Sessanta. Due milanesini di buona famiglia, studenti di un immaginario liceo preparano la Maturità classica e coltivano una corrispondenza d’amorosi sensi poco più che platonica e dolcissima, finemente intessuta di citazioni letterarie e musicali, in un gioco intrigante che riesce a mantenersi sempre fresco e scoppiettante.
"Il" Carlo, voce narrante, e "la" Laura, adolescente angelicata ma dalla lingua tagliente, non solo si dilettano l’uno dell’altra ma anche di redigere diari morali e svolgere finti temi d’esame, esageratamente e deliberatamente intrisi di impagabile ironia. Il tutto tra descrizioni affettuose del paesaggio cittadino, soprattutto nel triangolo Monforte-Bianca Maria-Passione, dove i due abitano, studiano, passeggiano e si innamorano, divagazioni varie ed eventuali, che sono a metà tra una matrioska di pensieri e uno stream of consciousness alla James Joyce, ritratti di persone e luoghi fisici ma anche, o forse soprattutto, di luoghi interiori.
La prosa oscilla deliziosamente tra un tono colto che si diverte a passare in continuazione dal serio al faceto e dal riflessivo all’arguto, dalla citazione ricercata alla battuta di spirito e dalla ritrosia educata al sarcasmo più pungente, e il tono spontaneo, ruspante il giusto e mai – assolutamente mai trasandato – che è la cifra del milanese autentico.
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