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La testimonianza ai giovani

‘Ogni pietra una storia’: il ricordo per insegnare il rispetto
Milano - Rubina Finzi con Liliana Segre (foto di Andrea Cerchi)

Rubina ed Edgardo Finzi hanno perso il nonno e il fratello del nonno, a causa del nazifascismo. Quando ha iniziato ad apprendere la triste storia del nonno Edgardo e di William? “Già da quando ero molto piccola - ci spiega Rubina - ma ne sono diventata consapevole crescendo, a partire dalle scuole superiori… Papà ne ha sempre parlato con molta difficoltà e commozione”.
Come suo padre, allora ragazzo, visse quel periodo terribile e come riuscì a sfuggire all’arresto? “Il nonno Edgardo (da cui mio fratello prese il nome) è stato prelevato da militi fascisti il 26 agosto del 1944 dal suo appartamento di via Filippino Lippi 33, dove abitava (probabilmente sottovalutando le conseguenze delle leggi razziali) con la moglie Luigia Croci e il figlio Luciano (il padre di Edgardo e William, Carlo Finzi, era stato il fondatore della casa d’Alta Moda ‘Maison Finzi’ con sede in Via Manzoni: il figlio Edgardo ne ha proseguito l’attività, per un breve periodo, con i fratelli). Il figlio Luciano, avvisato dal custode del palazzo di quello che stava succedendo, riuscì a salvarsi… Il nonno fu portato al Carcere di San Vittore, poi, a fine ottobre, fu deportato al campo di transito di Bolzano da cui partì per Auschwitz. La nonna Luigia, sua moglie, riuscì a mandargli qualche lettera e qualche pacco con dei viveri e anche a vederlo, un paio di volte, a Bolzano (il nonno continuerà a scrivere alla famiglia alcune lettere, le ultime delle quali saranno recapitate soltanto nel 1958), prima che fosse deportato definitivamente ad Auschwitz, dove superò le selezioni iniziali”.
Cosa avvenne dopo la liberazione del Campo? “Vide l’arrivo dell’Armata Rossa ma, gravemente malato, morì, in ospedale, il 23 maggio 1945, quasi quattro mesi dopo la liberazione del lager”. Rubina continua: “I miei genitori, mio fratello con sua moglie ed io con mio marito e mia figlia piccola (nata nel 1993) siamo stati ad Auschwitz nel 1995 in occasione del 50° dalla morte del nonno. Ora vorremmo portare i nostri quattro nipoti… Io ho avuto la fortuna di conoscere la senatrice Liliana Segre, testimone preziosa, nonostante la fatica, di tutte le atrocità, in occasione della posa della Pietra d’inciampo di un’altra vittima della deportazione nazifascista, lo scorso gennaio. Quella di William Finzi è stata posata il 23 gennaio 2018 davanti alla sua casa di via Conca del Naviglio, 7 a Milano. Quella di mio nonno Edgardo Finzi è stata posata il 24 gennaio 2019 davanti alla casa dove è stato prelevato, in via Filippino Lippi, 33. Ai deportati, con le Pietre d’inciampo, viene finalmente restituita l’identità, dopo essere stati considerati solo un numero. Noi parenti abbiamo così una ‘tomba’ dove andare a dire una preghiera”. Così (condividendo l’importanza di tramandare ai bambini e ai ragazzi la Storia, anche nelle sue pagine più buie) ha partecipato volentieri, con una testimonianza e rispondendo alle loro domande, al lavoro realizzato, in occasione del Concorso nazionale del Ministero dell‘Istruzione, dell’Università e della Ricerca ‘I giovani raccontano la Shoah’, dalla classe 5A della Scuola Primaria ‘Tito Speri - Istituto Comprensivo Di Vona-Speri’ di Milano, ‘Ogni pietra una storia’, raccontando con un video la vita delle persone (ricostruendo le vicende dai documenti) attraverso degli oggetti di uso comune che potessero rappresentarli (grembiule da cucina per le casalinghe, orecchini di perla per una ragazza ritratta così nelle fotografie in bianco e nero, lo stetoscopio per un dottore, ecc.) omaggiando simbolicamente le vittime, con la visita alla Pietra d’inciampo che li ricorda.
Anche la scuola secondaria di primo grado Istituto Comprensivo ‘Amedeo Duca d’Aosta’ di Ossona ha superato le selezioni regionali, ci racconta la professoressa Chiara Milani: “A partire da un lavoro dello scorso anno ‘Adotta un giusto’ abbiamo realizzato un video sulla figura di Ferdinando Valletti, ex calciatore del Milan deportato a Gusen e a Mauthausen, la cui storia, approfondita dalla biografia della figlia Manuela Valletti Ghezzi ‘Deportato 157633 - Voglia di non morire’ ha toccato profondamente gli alunni”. All’inizio del video, in una scenetta realizzata dalle classi terze, i ragazzi estraggono simbolicamente un ‘cartellino rosso’ per espellere i comportamenti razzisti dallo sport. Se negli anni trenta e quaranta del secolo scorso, in Germania, in Italia e in altri Paesi, anche il mondo dello sport fu coinvolto e sconvolto dal razzismo e dall’antisemitismo, anche oggi, purtroppo, assistiamo a manifestazioni sportive profanate da atteggiamenti razzisti e antisemiti. Lo studio e la consapevolezza di quanto avvenuto nel passato ci inducono a riflettere sulla pericolosità di tali atteggiamenti. Una riflessione così sviluppata dai ragazzi, con il loro elaborato ‘Espelli il razzismo. Scegli il rispetto’.

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