Milano / Malpensa
"Quei giorni in Nepal..."
- 19/05/2015 - 13:04
- Attualità
25 aprile 2015. Questa data echeggia nell’aria del mondo intero, che nel mese scorso apprese un’altra catastrofe mandata dal cuore della terra, verso cui ancora oggi non vi è possibilità di contrastare, quando si tratta di devastazione naturale. Del terremoto in Nepal, quella striscia di terra sommersa dalle più belle attrazioni che madre natura ha messo a disposizione, l’abbiamo saputo tutti; grazie all’informazione in continuo aggiornamento via radio, tv e i diversi canali social di cui disponiamo. Ed è stato così che Chandra Mani Pathak, nepalese e vicepresidente dell’associazione Nepal Miteri Munch è venuto a conoscenza delle forti scosse di terremoto che hanno colpito appunto la sua terra. “Io vivo in Italia da ormai 6 anni ma la mia famiglia è a Gajuri Dhading, piccolo villaggio a più di 50 chilometri da Kathmandu. Mamma e papà si trovavano a tavola quando hanno avvertito le forti scosse. Non hanno esitato un secondo, sono corsi in strada tra il panico e la paura e qualche minuto dopo è crollata la casa”, spiega il ragazzo, "E' stata una grande fortuna perché è successo di giorno e gli istituti scolastici erano chiusi, perché festivo, altra benedizione che ha risparmiato una ecatombe di bambini, dato che le scuole dei villaggi sono state rase al suolo. Solo dopo 4 ore di angoscia, racconta il ragazzo, era riuscito a mettersi in contatto con i suoi genitori, causa di linee assenti e tutto andato distrutto. “Il piccolo sobborgo, dove ho vissuto con la mia famiglia, sorge tra natura e vegetazione e non è fornito di alcun tipo di comodità; basti pensare che una stanza della casa è dedicata interamente alle dispense alimentari, considerate per circa 1-2 anni. Quando la scorta comincia ad esaurirsi, vengono organizzati dei tragitti in bus, diretti a Kathmandu, e ognuno, bambini compresi, si carica sacchi di riso, mais, cereali, verdure, principalmente”. Il giovane nepalese, con difficoltà e molta malinconia, racconta la triste storia che sta vivendo la sua famiglia e spiega che da quasi un mese, la stessa trascorre le giornate in tenda, condividendo quei miseri pasti che arrivano e non sono sufficienti per tutti, con persone con cui prima c’erano delle inimicizie ma che ora, “perché il nostro è un popolo forte e unito, si sorregge l’uno con l’altro”, afferma orgoglioso Chandra. Da chi sono arrivati gli aiuti più concreti? “Devo essere sincero, il governo della mia città è mal organizzato: mentre nella capitale, a Kathmandu, le attività commerciali non cessano, il pericolo di nuove scosse sismiche non è alto e la gente può concedersi un piatto sicuro in casa ma per precauzione si dorme all’aperto, negli altri villaggi, questo non è possibile. Il governo dà noi solo piccoli acconti per ripartire,… dall’Italia, Cina e India abbiamo avuto i veri aiuti. Un po’ come per la distribuzione delle tende: so per certo che non tutti gli accampamenti provvisori sono stati destinati ai bisognosi, ma che vari capi di villaggi ne hanno fatto abuso per scopi personali”. La vera solidarietà arriva dalle associazioni locali che da sempre sono in prima linea per il paese. Tra poco ci saranno i monsoni e la preoccupazione sale ogni giorno di più. Continuano le scosse di terremoto e la gente si stringe per darsi forza; le nostre chiamate sono ridotte al minimo, mi accerto che tutto vada bene e quando mio fratello Sunder dice di sì, so che non è solo per la mia famiglia ma anche per quelle persone che sono lì con loro. Ashok Oprety, anche lui nepalese e amico di Chandra, nonché segretario dell’associazione che ha già raccolto 15000€ da spedire in Nepal, ha la sua famiglia in uno dei villaggi a Kaure Palanchok, nel quartiere Kosi de khan, “dove oramai il 90% delle case sono andate distrutte, più di mille persone morte e la sua dimora, dov’è cresciuto e vissuto fino a 7 anni fa, andata abbattuta dal terremoto. I tuoi familiari, come occupano il loro tempo? “Nei villaggi puoi arare la terra, coltivare il grano e provvedere, come diceva già Chandra, alle provviste; già da piccoli viene impartita questa dottrina, contribuire alla casa. Un’altra delle inquietudini che attraversa questo momento è la scuola,… è già complicato raggiungerla, dopo ore e ore di cammino e con gli incessanti terremoti, per prudenza anche dall’arrivo dei cicloni tropicali, si dovrà aspettare settembre. La cosa più brutta, già diffusa peraltro ma non in maniera così accentuata è vedere i bambini per strada, soli, senza chi li può seguire. In casi frequenti perdono i genitori e così vivono le giornate senza chi può dar loro una guida”. Esistono diversi orfanotrofi in cui ci sono moltissimi bambini in attesa che qualcuno dia loro un futuro, proprio come quello donato da Graziano e la moglie, sedrianesi, che raccontano la loro esperienza. “Io e mia moglie andammo 17 anni fa in Nepal, con l’intenzione di adottare una bambina e così fu. Una volta là, però, avrei voluto portarli tutti in Italia. Erano abbandonati a se stessi, come se fossero inesistenti agli occhi di quei pochi adulti presenti. Tanto il degrado ma allo stesso tempo pieno di ricchezza immane, non mi riferisco unicamente alle storicità, ma alla loro quotidianità, fatta di donne che coltivano la terra e si lavano i lunghi capelli neri sotto le fontane, e i bambini a far loro da parrucchieri. Anche gli uomini conducono una vita tranquilla, mostrandosi affabili e disponibili con i turisti, di cui la terra del Nepal ha bisogno di un altro saluto, Namastè, per risollevarsi e guardare a un nuovo orizzonte.
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