Milano / Malpensa
Non un libro di avventura, bensì...
- 22/02/2011 - 17:33
- Cultura
L’ennesima trasposizione cinematografica (questa volta con una ‘forzatura’ in chiave attuale) de ‘I viaggi di Gulliver’, invita a far riflettere sul testo da cui è stata tratta, un vero e proprio classico della letteratura inglese, scritto da Jonathan Swift (1667 – 1745) tra il 1720 ed il 1725 e pubblicato nel 1726. Coloro che non sono avvezzi alla materia, ignorano che in realtà quest’opera non nasce per essere un libro di avventura per ragazzi. Il testo, infatti, voleva porsi come specchio di quella che era la situazione politica, religiosa, culturale (in particolar modo viene preso di mira il mondo della scienza) e sociale dell’Inghilterra agli inizi del XVIII secolo. Tutto ciò tramite l’artificio della fantasia e l’uso della satira. E’, inoltre, luogo comune ritenere che i viaggi di Lemuel Gulliver siano soltanto due: quello nel paese di Lilliput, tra minuscoli esseri umani, e quello a Brobdingnag, dove diventa il trastullo di personaggi giganteschi. In realtà i viaggi che il nostro eroe compie sono quattro. Il terzo lo porta in diversi paesi, tra cui quello di Laputa, un’isola volante abitata da strani scienziati totalmente avulsi dalla realtà quotidiana, e di Luggnagg, dove vivono uomini immortali, ma vittime della vecchiaia. Sorte questa, a cui tutti preferiremmo la pace eterna. Infine, il quarto viaggio è quello che conduce Gulliver al paese degli Houyhnhnms cavalli sapienti contornati da Yahoo, uomini incolti visti come creature disgustose. Detto questo, arriviamo alla chiave di lettura del testo, che va ricercata nell’ossessiva presentazione da parte dell’autore di un’umanità colta nei suoi aspetti più corrotti e degradati. Come lo stesso Swift scrisse ai propri amici letterati, ‘I viaggi di Gulliver’ erano una denuncia della società cosiddetta ‘civile’ da parte di un suo membro disgustato.
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