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domenica 24 novembre 2024 | ore 16:38

La deportazione dalla Franco Tosi

Le parole del sindaco di Legnano Lorenzo Radice pronunciate oggi, 10 gennaio, per il 78° anniversario della deportazione della Franco Tosi.
Legnano - Cerimonia per la Franco Tosi 2022

Buongiorno a tutte e tutti alle autorità civili e militari, ai sindaci, alle rappresentanze di ANPI e a tutti i presenti; un saluto particolare ai ragazzi delle scuole collegati attraverso la diretta Facebook. Oggi Legnano non si limita a commemorare, come avviene tutti gli anni, il drammatico anniversario della deportazione dei lavoratori della Franco Tosi nei campi di concentramento; oggi Legnano ha inciso i nomi di quei sette lavoratori nelle pietre di inciampo perché, come le cose scritte, rimangano. Questi nomi, i nomi di Pericle Cima, Carlo Grassi, Francesco Orsini, Angelo Santambrogio, Ernesto Venegoni, Antonio Vitali e Alberto Giuliani, da oggi, saranno visibili a chiunque passi davanti a quella che era stata la loro fabbrica. Nell’opera della difesa della Memoria che da anni vede collaborare Anpi Legnano e l’Amministrazione comunale posare queste sette pietre d’inciampo significa non permettere che la storia muoia. Significa dare a un episodio tragico del nostro passato uno spazio nel presente della nostra città.
Come Amministrazione abbiamo programmato e stiamo programmando interventi importanti sui beni storici e identitari della nostra città, perché in ognuno di questi c’è una parte di Legnano che non vogliamo vada smarrita, ma che, anzi, vogliamo continui a vivere, magari anche con una diversa vocazione, ma viva.
A maggior ragione vogliamo che continui a vivere il ricordo di chi, a questa città e alla sua comunità, ha dato la vita. Lo facciamo mettendo una pietra con cui vogliamo lasciare un segno nella città materiale per dare forma alla Città della memoria, perché anche un bene immateriale come la memoria fa la ricchezza di una città e rende unica una città. E la scelta coraggiosa, e senza possibilità di ritorno, fatta da questi sette lavoratori della Franco Tosi è, a tutti gli effetti, un patrimonio inestimabile della nostra Legnano.
Legnano, nel 1944, era una città – fabbrica, una realtà manifatturiera di primaria importanza, quindi strategica durante la guerra. Per questo i nazisti non potevano permettere che acquistassero forza le rivendicazioni della Resistenza e per questo intervennero contro gli scioperi in corso. È in quel momento che la vita di questi sette lavoratori si è trovata al bivio: obbedire e tornare al lavoro o dire no e andare incontro alla deportazione e alla morte quasi certa.
Dove stava il dovere in quel momento? Piegarsi e avere salva la vita oppure opporsi e rischiare di perderla? Che cosa può essere passato in quei momenti nelle teste di sette persone dalle età diverse, con una vita familiare, con delle amicizie; sette persone dall’esistenza normale e dipendenti di una grande fabbrica che rappresentava, comunque, nonostante tutti gli stenti e le sofferenze, la garanzia di un lavoro, quindi della sopravvivenza? Di certo qualcosa di più alto del semplice istinto di conservazione che governa le esistenze e le scelte di tutti gli essere viventi, quindi anche degli umani. Di certo un senso di responsabilità più ampio di quello che erano soliti provare. Di certo Pericle, Carlo, Francesco, Angelo, Ernesto, Antonio e Alberto non pensarono a se stessi in quei minuti che hanno deciso la fine delle loro vite, alla convenienza di un sì per salvarsi, per tornare subito al lavoro con i loro compagni e per tornare, la sera, a casa nelle loro famiglie. Hanno pensato, in quei momenti, a una causa di giustizia e di libertà che andava molto al di là degli interessi della singola persona. E scegliendo quella causa, che è costata loro la vita, hanno pensato agli altri, a chi viveva la loro situazione di lotta contro il nazifascismo in quell’inizio di 1944 e a chi sarebbe vissuto dopo di loro e che quelle vicende avrebbe sentito soltanto raccontare, ma che, anche grazie al loro sacrificio, è potuto vivere in un mondo più libero e più giusto.
Non è un caso, come si vede, che i loro destini si siano decisi sul luogo di lavoro, in questa fabbrica. Il lavoro è una dimensione costitutiva dell’essere umano: il lavoro dà un’impronta alla vita, può permettere la realizzazione delle capacità di una persona, può fungere da ascensore sociale, riscatto dalla povertà, ma può anche rappresentare uno strumento di sfruttamento e oppressione, può svilire la dignità e arrivare a ridurre in schiavitù donne e uomini. I sette operai della Franco Tosi hanno interpretato il loro dovere di lavoratori e di esseri umani facendo la scelta più difficile: è stato un no, il loro, che è costato carissimo. È stato un no per cui loro soltanto hanno pagato le conseguenze, ma è stato un no per cui tutti noi dobbiamo dire loro grazie. È stato un no che li ha condannati alla deportazione e alla morte ed è stato, insieme, un no che ha permesso a tutti noi di vivere liberi. È stato un no di chi, al lavoro e alla vita, riconosceva una forte dignità, quella dignità calpestata proprio da chi chiedeva loro di tornare al lavoro.
Il lavoro non era, in quel momento, qualcosa di neutro, qualcosa di puramente tecnico e avulso dagli avvenimenti della Storia. In verità il lavoro non è mai stato e non sarà mai qualcosa di neutro che non implichi la responsabilità di chi lo commissiona e di chi lo svolge. Non può esserlo perché l’uomo è un animale politico, un essere che vive in quanto sta in relazione con gli altri nella polis, nella comunità; e tutto quello che fa, che vogliamo o no, che lo si voglia riconoscere o meno, implica una relazione e una responsabilità verso l’intera comunità di persone in cui si vive. E questo vale anche quando si rifugge la relazione e ci si chiude in un cinico individualismo. Perché la scelta individualistica ha sempre un costo collettivo.
Questo ci hanno insegnato con il loro no e il loro sacrificio i sette uomini che ricordiamo oggi e questa continuerà a essere, per noi legnanesi, la loro limpida lezione di condotta morale: aver messo il noi, davanti all’io.
Ed è per questo che Anpi Legnano e l’Amministrazione comunale hanno pensato fosse importante fissare quel gesto con un segno duraturo, all’ingresso della loro fabbrica. Una fabbrica che, nei tanti anni che ci separano da quei fatti, è stata teatro di altre lotte, dure, anche se non drammatiche come quelle del periodo della Resistenza; è stata motore di sviluppo e benessere per la città con prodotti che hanno portato il nome di Legnano nel mondo. Questa fabbrica è stata una città nella città, ha creato un sistema, che oggi si chiamerebbe welfare integrativo aziendale, che copriva l’intero arco della vita di un dipendente e della sua famiglia. Questa fabbrica, capace di impiegare migliaia di dipendenti, è stata per Legnano e il suo territorio, per diversi decenni, una vera e propria istituzione.
Poi, per tanti motivi, la Tosi ha imboccato la china discendente; l’attività ha rallentato, è entrata irrimediabilmente in crisi fino all’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria. Nel frattempo i suoi capannoni si sono svuotati, gran parte della superficie è rimasta inutilizzata, ma senza mai diventare un’area dismessa. Nelle possibilità di questo luogo c’è chi ha continuato e continua a crederci, ha affrontato le difficoltà di questi anni, ha resistito e, adesso, vede aprirsi un momento di rilancio che mi auguro –che ci auguriamo tutti– possa essere duraturo. E questo anche perché la Città di Legnano a perdere questa fabbrica non si è mai rassegnata: la Tosi non deve diventare un ricordo, ma continuare a essere presente e, soprattutto, futuro di Legnano. Anche accettando di cambiare, di trasformarsi, di trovare in parte anche nuove vocazioni, ma continuando a esserci.
Questo discorso – e permettermi un affondo su un argomento di attualità – non riguarda soltanto le aree della ex Tosi, ma anche quella confinante della ex Manifattura. Oggi ci si presentano possibilità che dobbiamo provare a sfruttare per dare loro un futuro. Per immaginare e trasformare questi tasselli di città, strategici per posizione, quindi funzionali per progettare luoghi con funzioni e servizi che segneranno la Legnano del ventunesimo secolo esattamente come le fabbriche hanno marcato il Novecento l’amministrazione sarà a fianco di chiunque, con idee e risorse, vorrà investirvi. Saremo a fianco di chi dimostrerà di credere nelle potenzialità di queste aree per lo sviluppo e l’innovazione della nostra città. Lo faremo ricercando e mettendo a frutto le risorse che in questo momento storico si renderanno disponibili e mettendo in campo gli strumenti urbanistici più funzionali a dar forma e a far rivivere una parte importante di Legnano. Magari sarà un futuro segnato anche da vocazioni diverse rispetto a quella produttiva, ma sempre con il doveroso rispetto per la memoria storica di questi luoghi del lavoro. Lo dobbiamo a chi, da oltre un secolo, ha investito, a chi ha messo testa, cuore, capacità e sudore in questa realtà. E lo dobbiamo –e torno qui, in questo luogo– alla memoria di chi, da oggi, accoglie i visitatori su una piccola mattonella all’ingresso dell’area ricordandoci come il proprio sacrificio ha reso libera e prospera la nostra città, la nostra Italia, la nostra Europa.
Non dimentichiamoli: mai.

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