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Carne sintetica: il populismo vince ancora

Lo scorso 16 novembre il Senato italiano ha lasciato cadere l’ennesima scure sul futuro di questo desolante paese. Il governo Meloni ha approvato la legge n°1324 allo scopo di vietare la produzione, commercializzazione e importazione della cd. “carne sintetica”.
Carne sintetica

Novantatré voti favorevoli e trentatré astenuti. Con questi numeri lo scorso 16 novembre il Senato italiano ha lasciato cadere l’ennesima scure sul futuro di questo desolante paese. Il governo Meloni, infatti, con la complicità di Coldiretti e delle opposizioni, in particolare del Partito Democratico che ha vilmente deciso di astenersi, ha approvato la legge n°1324 allo scopo di vietare la produzione, commercializzazione e importazione della cd. “carne sintetica”. Prima di addentrarci tra le illogiche ragioni di questa ennesima battaglia contro la ricerca, l’innovazione e il buon senso, proviamo a spiegare cos’è, davvero, la carne sintetica, affinché emerga con chiarezza perché abbiamo deciso di perdere l’ennesimo treno. Si definisce “carne sintetica” quel tipo di carne coltivata mediante un processo di coltura delle cellule staminali degli animali (che tradizionalmente sarebbero stati macellati per produrla) all’interno di uno specifico brodo nutritivo, in grado di garantire un risultato finale completamente sano, praticamente identico dal punto di vista del gusto e leggermente meno intenso dal punto di vista della colorazione. La coltivazione di carne sintetica contribuirebbe – ed è la ragione per cui è nata (ed è in fase di sviluppo) – a risolvere decine di problemi, che gli allevamenti tradizionali intrinsecamente comportano. Ne riportiamo giusto qualcuno a titolo di esempio: innanzitutto in termini di capacità produttiva, dove si potrebbe raggiungere un livello decisamente superiore a quello attuale; in secondo luogo in termini di quantitativi di emissioni, che si potrebbero ridurre dalle 4 alle 25 volte rispetto alle attuali (comprendendo sia fabbisogno energetico sia la gestione dei liquami degli animali); infine, in terzo luogo, con il passaggio alla coltura della carne si otterrebbe una riduzione sostanziale dei volumi di acqua e mangimi impiegati per arrivare al risultato finale. A fronte di tutto questo, dunque, quale potrebbe essere la ragione di un “no” a questo progetto? Qualche idea, in effetti, l’abbiamo e, com’è tradizione in questo paese, ovviamente non ha a che fare con la realtà dei fatti, ma con il tornaconto elettorale. Il popolo italiano non conosce e non si informa; è restio al cambiamento; l’informazione mediatica è, come al solito, faziosa e, pertanto, per un Parlamento composto da politici che tirano a campare senza competenze specifiche, il giochino è fatto. Finita qui? Soltanto un treno perso? Non proprio, anzi, questo è il tipico caso dove la pezza è peggio del buco. In effetti, qualora l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) dovesse pronunciarsi nelle prossime settimane (come farà peraltro) a favore dello sviluppo e della commercializzazione di questo tipo di prodotto, la legge italiana (che vi andrebbe in conflitto) verrebbe immediatamente subordinata alle disposizioni del diritto europeo. In questo modo, sarà felice Lollobrigida, in Italia non si potrà produrre carne sintetica (da vedere la compatibilità con la libertà d’impresa art.41 Cost.), ma certamente potremo acquistarne grandi quantitativi dall’estero. Infine una considerazione dal punto di vista ideologico: il made in Italy è un valore e lo è nella misura in cui è in grado di rappresentare un valore aggiunto per il consumatore. Confinare il made in Italy all’ambito alimentare e trasformarlo in una fossilizzazione dei processi produttivi al grido di “difendere le tradizioni” significa condannare lo sviluppo di un paese e delle sue future generazioni; chiudere gli occhi davanti alla ricerca e alle nuove strade disegnate dalla tecnologia, voltare le spalle ad un paese che chiede risposte davanti ai grossi cambiamenti che dovremo affrontare.

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