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Dal baby boom al baby flop

Nel 2019 in Italia le nascite risultano decisamente inferiori ai decessi: sono 435 mila i nuovi nati contro 647 mila deceduti, segnando un nuovo record negativo, –4,5% rispetto al 2018.
Attualità - Nascite (Foto internet)

Al 1° gennaio 2020, secondo i dati Istat, si stima che la popolazione italiana sia di circa 60 milioni, 116 mila in meno rispetto all’anno precedente. Le nascite risultano decisamente inferiori ai decessi: 435 mila contro 647 mila, segnando, purtroppo, un nuovo record negativo con una diminuzione di 20 mila unità rispetto all’anno precedente, –4,5%. 'Inverno demografico', come lo definiscono alcuni sociologi; la popolazione continua a invecchiare e fa sempre meno figli. Questo vuol dire che si sta ridisegnando l’idea di famiglia: tre quinti dei bambini non avranno fratelli, cugini e zii; solo genitori, nonni e bisnonni. Già oggi, per 100 bambini di età inferiore ai 15 anni ci sono 161 over 64 e tra vent’anni il rapporto sarà di 100 a 265, siamo il secondo paese più vecchio al mondo. Aumenta poi l’età media delle madri al parto, giungendo a 32 anni, mentre il numero di figli per donna (il tasso di fecondità) rimane costante, pari a 1,29. Il numero di figli desiderato resta sempre fermo a due, evidenziando un significativo divario tra quanto si vorrebbe e quanto si riesce a realizzare: ben il 46% degli italiani che desidera procreare desidera due figli, il 21,9% tre o più, mentre solo il 5,5% vorrebbe avere solo un figlio. Questi sono alcuni degli aspetti evidenziati nel Libro bianco “La salute della donna - La sfida della denatalità”, realizzato da Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, grazie al supporto di Farmindustria. “Questa settima edizione del Libro Bianco realizzata grazie al rinnovato sostegno di Farmindustria e al contributo di molteplici autori, è dedicata alla denatalità, una delle più importanti e urgenti sfide che il nostro Paese deve affrontare, resa ancora più complessa dal Covid-19”, commenta Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda. “Il costante calo annuale delle nascite che si registra nel nostro Paese, causato dalla riduzione delle donne in età fertile, dal basso indice di fecondità e dal basso livello di occupazione femminile, avrà un impatto anche sul piano economico. A fronte di un invecchiamento progressivo della popolazione e di questo calo delle nascite, avremo una minore forza lavoro con sempre più anziani e meno giovani. Il Ddl Family Act è il primo intervento concreto a sostegno delle giovani coppie”. “Purtroppo”, afferma Gian Carlo Blangiardo, presidente Istat, “il 2019 ha messo in luce, per il settimo anno consecutivo, un nuovo superamento, al ribasso, del record di minor numero di nati mai registrato: si tratta del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918. La natalità italiana, già bassa, potrebbe subire un calo ulteriore a causa di Covid-19. Una recente simulazione ha infatti evidenziato un calo delle nascite nell’ordine superiore alle 10 mila unità. E lo scenario peggiora nettamente se si tiene conto anche dei verosimili effetti negativi socio-economici della pandemia, assumendo la crescita della disoccupazione come ‘effetto collaterale’ del clima di disagio e di insicurezza materiale”. “L’Italia è tra i paesi che fa meno figli al mondo, meno anche rispetto agli anni della Prima e Seconda guerra mondiale”, sottolinea Fabio Mosca, presidente Società Italiana di Neonatologia. “In poco più di 50 anni siamo passati dal baby boom degli anni ’60 al baby flop dei nostri giorni. Una questione non solo demografica, ma principalmente sociale ed economica causata dalla mancanza di politiche organiche e continuative di sostegno alla famiglia e alle donne-madri, per anni sottovalutata. Con il Family Act del 2020 è stato finalmente compiuto il primo passo concreto per sostenere la genitorialità e mettere la famiglia al centro del futuro del nostro Paese”. L’effetto più negativo del calo delle nascite sulla società italiana non è tanto la diminuzione della popolazione complessiva quanto il suo progressivo invecchiamento, producendo una quota insufficiente di nuovi lavoratori. Senza tralasciare il fatto che sono circa 10 milioni le donne costrette a rinunciare al lavoro o che perdono il lavoro a causa di problematiche di conciliazione famiglia-lavoro. Non a caso l’Italia figura tra gli ultimi Paesi europei per numero di donne occupate. “Le donne sono scoraggiate”, continua Mosca, “perché è difficile conciliare i tempi di vita e lavoro e per questo talvolta rinunciano ad allattare e spesso ad avere un secondo figlio. La scelta di avere uno o più figli non dipende solo dalla condizione economica ma principalmente dal livello di benessere, cioè dalla qualità della vita. Ormai è un dato di fatto: a bassi tassi di occupazione femminile corrispondono bassi tassi di fecondità”. In Italia, infatti, solo il 48,9% delle donne in età fertile lavora, contro una media del 62,4% dell’Unione europea. Nell’ambito delle pari opportunità le imprese del farmaco rappresentano una best practice. Il 42% dei lavoratori è rappresentato da donne, una netta maggioranza rispetto al 29% negli altri settori dell’industria, e spesso rivestono ruoli importanti: sono il 40% dei dirigenti e quadri, mentre negli altri settori non superano il 17%. Nell’area della ricerca, poi, sono la maggioranza, con il 52% degli addetti. Inoltre, le aziende del settore farmaceutico, ispirandosi al concetto di sviluppo sostenibile, hanno introdotto diverse pratiche di welfare, con particolare attenzione alla conciliazione vita-lavoro e al benessere dei dipendenti e dei loro familiari. “La forte presenza femminile e la forte attenzione alle persone fanno sì che da anni nelle imprese del farmaco le pari opportunità siano una realtà”, conclude Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria. “Dati Istat mostrano che la farmaceutica è il settore con la più alta quota di imprese che adottano misure concrete per pari opportunità, diversity, inclusion, conciliazione vita-lavoro e sostegno della genitorialità. Tra queste, ad esempio, permessi aggiuntivi rispetto alla legge e al CCNL, congedi e aspettative più lunghi in caso di paternità/maternità, agevolazioni di orario d’ingresso e uscita e flessibilità, utilizzo di part-time verticale e orizzontale, asili nido aziendali, servizi di take away e di lavanderia. Grazie a questo il settore ha una produttività più alta del totale dell’economia che si accompagna a un maggiore numero di figli rispetto alla media nazionale”.

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