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giovedì 26 dicembre 2024 | ore 16:26

Tra democrazia e terrore non esiste compromesso

Il 7 ottobre si è riaperto un fronte mai veramente chiuso della politica internazionale: quello del conflitto israelo-palestinese. Da quel giorno in medio oriente si sono spalancate nuovamente le porte dell’inferno, che, come per ogni conflitto, chiama a sé vittime innocenti, donne e bambini; vite che spesso nulla hanno in comune con le ragioni per le quali dovranno morire.
Attualità - Situazione Palestina (Foto internet)

Il 7 ottobre si è riaperto un fronte mai veramente chiuso della politica internazionale: quello del conflitto israelo-palestinese. Da quel giorno in medio oriente si sono spalancate nuovamente le porte dell’inferno, che, come per ogni conflitto, chiama a sé vittime innocenti, donne e bambini; vite che spesso nulla hanno in comune con le ragioni per le quali dovranno morire. Chi pretende di spiegare il conflitto in poche e circoscritte parole fa oggi un torto ad ognuna di queste vite, cadute dal 1948, senza che vi sia alcuna bandiera a distinguerle. Siamo davanti ad un trascorso storico di elevata complessità, banalizzarlo non può che condurre ad affermazioni e soluzioni semplicistiche; non è quello di cui c’è bisogno. Allo stesso tempo, chi finge di non cogliere la differenza sostanziale tra le parti in causa, compie un subdolo atto di malafede intellettuale, in particolar modo se chi parla è nato e cresciuto nel libero occidente. Dovrebbe bastare questo per concludere che tra democrazia e terrore non può esistere compromesso. Hamas è un’organizzazione terroristica, il cui obiettivo è la distruzione di Israele. Israele è un stato libero e democratico, il cui obiettivo è vivere in pace nonostante Hamas. In mezzo alle parti sta il popolo palestinese, che troppo spesso è finito per rappresentare tanto la vittima quanto l’artefice di un conflitto, condotto per obiettivi, che in buona parte non condanna del tutto. Israele rappresenta l’unico baluardo di libertà in medio oriente e, anche per questo, siamo chiamati come uomini, europei ed atlantisti ad affermare con fermezza – e riporto le parole di seguito di Emmanuel Macron – che “contro un’organizzazione terroristica la lotta deve essere senza pietà, ma non senza regole; perché siamo delle democrazie che lottano contro i terroristi e, dunque, degli uomini che rispettano il diritto della guerra” e ripudiano la barbarie di chi afferma – e riporto le parole del leader di Hamas Ismail Haniyeh- essere necessario “il sangue di donne e bambini per andare avanti nella causa”. Cogliere questa differenza è oggi troppo importante, soprattutto in virtù del fatto che tanti conflitti, tutti legati da un fil rouge comune, si stanno manifestando sullo scacchiere internazionale. Che non ci sia niente di bello in quello che Israele si trova obbligata a fare, è indubbio; che le cause per le quali si trova oggi a dover agire con questo vigore siano da imputare alla politica israeliana degli ultimi anni e a quello che avrebbe potuto fare per prevenirlo, è sicuro; ma al tempo stesso, che l’unica strada per una soluzione negoziale sul futuro della palestina e la sicurezza di Israele sia la distruzione totale di Hamas - con tutto ciò che questo comporta - è altrettanto l’unica cosa sulla quale non ci possono essere dubbi.

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