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sabato 23 novembre 2024 | ore 09:14

Nagorno-Karabakh: religione e politica, che cosa sta succedendo?

Il 19 settembre 2023 le forze militari azere hanno invaso l’oblast del Nagorno Karabakh con l’intento di riportarlo sotto il controllo dello stato dell’Azerbaijan.
Nagorno-Karabakh

Il 19 settembre 2023 le forze militari azere hanno invaso l’oblast del Nagorno Karabakh con l’intento di riportarlo sotto il controllo dello stato dell’Azerbaijan. Da circa 2 settimane decine di migliaia di cittadini armeni (si stima che il fenomeno potrebbe riguardare tutti i 120mila presenti) residenti nella regione del Nagorno-Karabakh sono state costrette a lasciare d’emergenza le proprie abitazioni; a percorrere chilometri a piedi con donne, anziani e bambini; a morire subendo la violenza di un nuovo tentativo di pulizia etnica nelle regioni ex sovietiche. Prima di discutere, anche se superficialmente, in quanto non potremmo fare altrimenti, di che cosa questo possa comportare a livello geopolitico, è necessario fare un passo indietro per inquadrare i fatti dal punto di vista storico servendoci di un prezioso contributo di Andrea Castagna per Liberi Oltre. La regione oggi invasa è da ricondurre sotto la sovranità territoriale armena (una democrazia storicamente con tendenze – oggi molto più moderate - filorusse), mentre l’invasore Azerbaijan è un regime, che ha recentemente abortito un l’idea di un percorso di “occidentalizzazione” e si è rivelato sotto le mentite spoglie di una “repubblica presidenziale” (sul modello turco, paese con il quale, tra l’altro, vi è uno stretto rapporto di amicizia). L’Armenia oggi non è un paese particolarmente ricco, a differenza dell’Azerbaijan che siede sostanzialmente sopra un pozzo infinito di risorse energetiche, i cui proventi sono spartiti tra i pochi oligarchi del paese. I rapporti di forza tra i due paesi sono sostanzialmente inversi rispetto a quanto si poteva registrare fino agli ultimi anni del secolo scorso quando l’Armenia era molto vicina all’Unione Sovietica e l’Azerbaijan era poco più che un oblast russo al confine con l’Iran. Le radici della contesa nella regione del Nagorno-Karabakh sono da ricercare risalendo fino al periodo del genocidio armeno del 1915 perpetrato per mano dell’ex impero ottomano. La regione è poi stata oggetto di rivendicazione armena nel periodo tra il 1988 e il 1994 quando, sostenuta dall’Unione Sovietica, l’Armenia ha intrapreso una guerra di riconquista territoriale molto decisa, culminata con il reintegro della regione sotto la sovranità armena e l’occupazione di alcune aree a cuscinetto. Nel 2020, grazie anche ai pressoché illimitati fondi azeri, una nuova guerra riporta il Nagorno-Karabakh sotto il controllo dell’Azerbaijan, il quale acconsente alla creazione di un corridoio di continuità territoriale con l’Armenia per ragioni legate all’ampio quantitativo di popolazione armena che vi risiedeva. L’invasione militare di queste settimane è una diretta conseguenza delle ultime attività del 2020 e rappresenta probabilmente l’intenzione di chiudere il cerchio di una rivalità territoriale e religiosa. Oggi Azerbaijan (95% musulmano) ha evidentemente cominciato l’ultimo step di un percorso di pulizia etnica contro i cristiani armeni (90%), vittime di una persecuzione violenta e senza possibilità di difesa. Dal punto di vista geopolitico l’aspetto che emerge con maggiore insistenza è l’affermazione di un’instabilità divenuta ormai cronica dei paesi delle Repubbliche dell’ex Unione Sovietica: dall’Ucraina alla Georgia, dal Kosovo alla Serbia per finire all’Armenia. In questo terremoto l’Occidente si trova a dover ridefinire il proprio posizionamento internazionale, per incominciare ad occuparsi di problemi che si fanno sempre più interni per i quali esistono sempre meno soluzioni che non portino allo scontro tra blocchi.

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