Milano / Malpensa
Opere prime
- 28/06/2023 - 14:09
- Over the Game
- Cinema
Se vi dicono Richard Donner, subito vi verranno in mente film come ‘I Goonies’, ‘Superman’ e ‘Arma letale’. Se vi dicono Chris Columbus, i primi film che vi passeranno per la mente sono di certo ‘Mamma ho perso l’aereo’ e ‘Harry Potter e la pietra filosofale’. Mentre se vi dicono Robert Zemeckis penserete a ‘Forrest Gump’, ‘Ritorno al futuro’ e ‘Chi ha incastrato Roger Rabbit’. Ma la domanda più difficile è sicuramente: qual è stato il loro primo film da regista? È rarissimo che un regista venga ricordato per la sua pellicola d’esordio e molto spesso tali opere vengono dimenticate in favore di titoli che hanno saputo fare presa sul pubblico, eclissando i lavori precedenti. In questo articolo cercheremo di colmare questa lacuna, andando a ricercare i film d’esordio di dieci grandi registi che hanno maggiormente influenzato e rinnovato la settima arte.
Chris Columbus - Tutto quella notte
La diciassettenne Chris Parker si prepara a trascorrere una serata romantica con il fidanzato Mike Todwell, ma questi le dà buca con una scusa che non la convince troppo. Intanto, viene chiamata a fare da baby sitter alla piccola Sarah Anderson, una bambina con l'argento vivo addosso e grande fan del supereroe Thor, di cui indossa in ogni momento l'elmetto alato. Chris, non avendo più nulla da fare per quella sera, accetta l'incarico e si reca a casa degli Anderson, una famigliola dei sobborghi di Chicago. Presso gli Anderson trova anche Brad, il quattordicenne fratello maggiore di Sarah che ha un debole per Chris, e lo stravagante amico di lui, Daryl, che per la notte è ospite da Brad. I genitori di Sarah e Brad lasciano casa e figli in custodia a Chris e si recano a un ricevimento in un grattacielo del centro. Mentre si profila una serata tranquilla e monotona, Chris riceve una telefonata dall'amica Brenda la quale, disperata dalla noia della vita di provincia, è scappata di casa e le chiede di correre a recuperarla in città. Stretta tra due scelte inconciliabili (aiutare l'amica o badare ai ragazzini?), Chris decide di raggiungere Brenda in auto e di portare con sé Sarah, Brad e Daryl, per non contravvenire al suo impegno di baby sitter. L'obbligo imprescindibile per Chris e per i ragazzi è quello di tornare a casa prima dei genitori, in modo che non si accorgano di nulla. È però l’inizio di una lunga serie di eventi che si susseguono a catena, che faranno della serata una corsa continua da un pericolo all'altro, tra colpi di scena, incontri particolari, e tante risate. Dopo aver scritto le sceneggiature de ‘I Goonies’ e ‘Gremlins’, Chris Columbus esordisce dietro la macchina da presa con un teen-action on the road da antologia, che ha diverse frecce nel suo arco: l'ambientazione metropolitana (con citazioni che vanno da film come ‘Fuori orario’ e ‘I guerrieri della notte’), una bella vena surreale (diverse situazioni sono davvero assurde) e un buon cast con una giovane (ma già brava) Elisabeth Shue, l’assurdo cameo di Vincent D'Onofrio e un simpatico trio di ragazzini, che fungono da preludio al futuro stile cinematografico di Columbus. Seppur il film non sia così eccelso, al giorno d’oggi è considerato un cult assoluto del cinema per ragazzi, una pellicola che sa emozionare sia le vecchie che le nuove generazioni e che insegna ad apprezzare le infinite possibilità che il mondo offre, ma che al contempo mette in guardia i giovani dagli infiniti pericoli di cui esso è intriso.
Miloš Forman - L’asso di picche
Peter è un ragazzo apatico, svogliato, incapace di perseguire uno scopo nella vita: un'amica alla quale era simpatico, stanca del suo torpore, si è allontanata da lui. Il padre, invece, ritenendolo destinato a realizzare grandi cose, riesce a farlo assumere in un supermercato con il compito di sorvegliare che i clienti non si impossessino furtivamente della merce esposta. Ma Peter, cui il padre aveva fatto balenare l'idea di diventare un giorno direttore del supermercato, si rivela ben presto inadatto anche alle più semplici mansioni. Al suo esordio dietro la macchina da presa, Miloš Forman (futuro regista di ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’ e ‘Amadeus’) ci offre un interessante spaccato sulla società Cecoslovacca del periodo sovietico, in particolare sulle nuove generazioni nate dall’altra parte della cortina di ferro. A differenza dell’occidente che ha sempre dipinto l’unione sovietica come il perfetto impero del male, la visione di Forman è completamente differente e dallo stile molto simile a quello della nouvelle vague francese. Nel film vediamo il giovane Peter alle prese con la vita di tutti i giorni, che è stranamente paragonabile alla normale vita di un ragazzo occidentale: gli amori, le amicizie, le liti coi coetanei, le pressioni lavorative e famigliari, e tante altre situazioni che sono tipiche delle società occidentali di quel periodo. Nel film cogliamo soprattutto la distanza che c'è tra il mondo di Peter e quello dei suoi genitori, mentre questi non sembrano rendersene conto; quando la mamma gli domanda che cosa abbia fatto la sera prima, Peter le risponde "niente"; quando la stessa domanda gliela pone l'amico Lada, suo idolo e modello da imitare, la risposta è "un sacco di cose". Peter non ha grandi aspirazioni, lo dimostra il fatto che non ha chiesto lui di lavorare nel commercio, ma gli è stato imposto dal padre (una chiara rappresentazione dello stato Cecoslovacco), il quale vuole disperatamente che il figlio diventi un pezzo grosso della società, al contrario di lui che è un semplice capobanda di musica tradizionale; e quando gli chiede cosa vuole fare veramente nella vita, Peter gli risponde che non lo sa; in questa semplice affermazione risuona il grido silenzioso di un intera generazione, che trova degli inquietanti parallelismi con il nostro presente. Forman fotografa con occhio clinico la gioia venata di angoscia che caratterizza la prima giovinezza, fatta di risate e silenzi, di estremi e divari incolmabili. Con questo primo film, il regista lascia trapelare la sua futura identità di autore sensibile, ironico e visionario. Fra Truffaut e Andy Warhol, un esordio aggraziato e intelligente per raccontare le piccole meraviglie tristi del quotidiano.
Richard Donner - Il leggendario X-15
Matt, Lee ed Ernie sono tre piloti esperti che hanno una buona esperienza di volo. Il loro obiettivo è quello di pilotare ai confini dello spazio l'X-15 un apparecchio che vola a Mach 6,70, ovvero 7.274 km/h. Lo psicologo dell'aviazione Tony Rinaldi cerca di risolvere i loro conflitti personali di modo che possano affrontare il loro compito nel migliore dei modi. Già affermato e fortunato regista televisivo, Richard Donner nel suo esordio su grande schermo, dirige un film con un cast ovviamente di grande rilievo, guidato da James Stewart alla voce narrante, e Charles Bronson (qui agli esordi cinematografici), prima del suo futuro di grande successo. Donner qui parte però moscio, perchè a differenza dei suoi seguenti lavori, questo film è una semplice pellicola di propaganda aerospaziale (un film fortemente voluto dagli alti papaveri della corsa allo spazio), in cui Donner ha letteralmente le mani legate. Nonostante i limiti imposti dalla produzione, il film offre un interessante spaccato della società americana di inizio anni sessanta. Nel film assistiamo alla vita ordinaria dei tre piloti protagonisti e delle rispettive mogli, alle prese con la vita di tutti i giorni e con la famigerata corsa allo spazio. A differenza delle altre pellicole dell’epoca, che mostravano un’atteggiamento ottimistico, il film di Donner fa l’esatto contrario, e si concerntra sulle ansie e le paure dei protagonisti nei confronti dell’avvenire; questa tensione si percepisce soprattutto nei personaggi femminili, che vivono con la paura che quando il loro uomo esce di casa potrebbe essere l’ultima volta che lo vedono vivo. L’altra caratteristica che rende questo film particolare, è che per la prima volta una grande produzione hollywoodiana pote effettuare delle riprese all’interno di una vera base militare: tutte le sequenze di azione dei veicoli sono vere al cento per cento, ed eseguite dai migliori piloti profesionisti dell’aeronautica militare statunitense. In conclusione ‘Il leggendario x-15’, rimane una semplice pellicola di propaganda piatta e facile da dimenticare; un film che nonostante i nomi conivolti, non riesce a spiccare il volo verso quello stile emozionante e carico di fascino che contraddistingue tutto il lavoro di Richard Donner, un regista che avrebbe meritato un esordio migliore di questo.
Tim Burton - Pee-wee's Big Adventure
Pee-wee Herman, uno strano uomo che si comporta come un bambino, ama la sua bicicletta più di ogni altra cosa al mondo e si rifiuta di venderla alla sua nemesi, Francis Buxton, il ricco vicino di casa, un eterno bambino come Pee-wee, ma perfido e vizziato. Dopo aver visitato un negozio di magia, la bicicletta viene rubata. Inizia così per Pee-wee una folle avventura che lo porterà a viaggiare per il paese alla ricerca della sua amata biciletta; un viaggio costellato di incontri bizzarri e situazioni al limite dell’assurdo. Dopo aver abbandonato la Disney in seguito a divergenze creative con i vertici della compagnia, il giovane Tim Burton, decise di esordire nel lungometraggio quando venne contattato dall’attore Paul Reubens, che gli propose la trasposizione cinematografica del programma televisivo per bambini ‘The Pee-wee Herman Show’. Creato e interpretato dallo stesso Reubens, Pee-wee Herman è uno dei personaggi che caratterizzo maggiormente la cultura pop degli anni ottanta; i suoi tic, le sue gag slapstick, e l’iconica risatina isterica e demenziale hanno fatto la storia dei programmi televisivi per i più piccoli e influenzato show come: ‘Lazy Town’ e ‘Me contro te’. Tornando alla pellicola, Le coloratissime scenografie fanno già presagire il futuro onirico e surreale del regista che, pur a servizio dell'attore, dirige con personalità una pellicola divertente e senza pretese, costruito sostanzialmente come un insieme di gag fisico-verbali dell'esuberante protagonista. La regia di Burton, dimostra competenza nei tempi comici e nel dosaggio del ritmo, ed inoltre mostra già le tematiche e le idee che saranno sviluppate in seguito in altri film: la sequenza iniziale della "colazione automatizzata", ad esempio, rimanda a quella analoga presente nel successivo ‘Edward mani di forbice’. La farsa scombinata protratta senza alcuna logica potrà forse infastidire, ma i momenti spassosi non mancano, in particolare il finale ambientato nei veri studi della Warner, in cui inconsapevolmente Pee-wee si intrufola causando i più svariati disastri. Altro elemento da sottolineare per capire l'importanza che questo film avrà per la carriera futura di Burton è il sodalizio artistico che lo lega fin da questa pellicola con Danny Elfman, all'epoca membro del gruppo jazz-rock Oingo-Boingo, presenza che si rivelerà vitale per molte future produzioni del regista. In definitiva il film non vale più di qualche risata, ma è ben confezionato e gradevole se si è nello spirito.
John Landis - Slok
Provincia americana. Una distesa di cadaveri testimonia l'irruzione in un villaggio di un antropoide abitante dei boschi (dalla disposizione dei corpi si suppone una morte avvenuta per lo spavento generale). Sulle tracce del mostro il detective Wino, assistito da un giovane agente ritardato e tallonato da una troupe televisiva onnipresente, che trasforma la tragedia in un grande spot pubblicitario. Slok, così è soprannominata la creatura, ha un incontro fugace con l'adolescente Mindy, che reca delle bende sugli occhi per via di un recente intervento chirurgico per curare una cecità congenita. Ignorando la natura del visitatore, che le si mostra docile e paziente, nasce una tenera amicizia ma le autorità irrompono, così Slok fugge via rapendo la giovane e dando il via a una serie di eventi comici e bizzarri ai limiti della farsa e del demenziale. Amante del cinema di fantascienza anni cinquanta (con un particolare occhio per i film di Freddie Francis, Jack Arnold e Val Gust), il giovane John Landis fa il suo esordio nel mondo del cinema con un simpatico filmetto da drive-in, che lascia appena intravedere il suo futuro stile demenziale e sopra le righe, che caratterizzerà le sue opere future. La regia è molto buona (pur essendo il debutto del regista), e il trucco del personaggio è realizzato dal geniale Rick Baker, che in futuro aiuterà di nuovo Landis in film come ‘Un lupo mannaro americano a Londra’ e ‘Il principe cerca moglie’. Il vestito dello scimmione è veramente ben fatto, pur risultando in alcuni punti un po' finto; oltretutto Slok è interpretato dallo stesso Landis, che è bravissimo nella parte dello scimmione. Girato a minimo costo in 13 giorni e con espedienti rocamboleschi (si dice che per risparmiare i soldi del noleggio, Landis abbia sottratto per una notte le divise dei soldati al magazzino di una caserma), il film è una divertente parodia di fantahorror classici e non, carico di citazionismo e omaggi a pellicole famose; le citazioni a film cult non mancano sia nelle musiche (‘2001: Odissea nello spazio’), nella scena al cinema (‘Blob - Fluido mortale’) o in quella finale (‘King Kong’). Con goliardico umorismo e passione da cinefilo, Landis bersaglia le convenzioni borghesi della provincia americana e la stupidità del potere, con un particolare occhio critico nei confronti dei mass media. Un vero cult, che influenzerà i film demenziali a venire.
Ron Howard - Attenti a quella pazza Rolls Royce
Due giovani innamorati, Ricky Freeman e Paula Powers, vogliono sposarsi a Las Vegas. Quando Paula fa conoscere Ricky ai suoi genitori questi ultimi contestano la decisione della figlia: così incontrano Collins Hedgeworth, appartenente a una ricca famiglia della zona, per farlo conoscere alla figlia. I genitori di Paula sono ricchi e suo padre, Bigby Powers, sta progettando di candidarsi come governatore. Egli, pensando che Ricky voglia sposare la figlia solo per il denaro, lo getta fuori casa, mentre Paula viene mandata nella sua stanza. Lei riesce a scappare dalla finestra e ruba la Rolls Royce dei suoi genitori, fa salire Ricky e imbocca la strada: questo è l'inizio del viaggio dei due amanti verso il loro sogno d’amore. Hedgeworth, saputo della fuga dei due, offre una ricompensa di venticinquemila dollari per chiunque riuscirà a prendere Paula e Ricky prima che raggiungano Las Vegas. Come si diffonde la notizia della loro fuga e dalla ricompensa in palio molte persone si mettono sulle loro tracce per cercare di fermarli. Prima di dirigere ‘Apollo 13’ e ‘Il codice da Vinci’, il giovane Ron Howard (storico interprete di Ricky nella serie ‘Happy Days’), patrocinato da Roger Corman in qualità di produttore esecutivo, esordiva nella regia di un road movie a sfondo comico-romantico, semplice e modesto nel suo insieme. Seppur la trama sia molto banale e superficiale, Howard riesce a conferire alla storia un ritmo rapido e sfrenato, in parte anche grazie al montaggio curato da Joe Dante, futuro regista di ‘Gremlins’. Il film abbonda di eccezionali scontri e inseguimenti automobilistici mozzafiato, ciò nonostante risulta molto carente a livello registico e completamente privo di colpi di scena eclatanti; tutto si conclude con un finale basilare e a dir poco scontato. A parte queste note dolenti, la pellicola è molto godibile e divertente; la fuga d’amore di Ricky e Paula è il primo timido passo di Ron Howard che lo porterà a diventare uno dei più grandi e stimati registi del nostro tempo.
Robert Zemeckis - 1964 allarme a New York: arrivano i Beatles
9 febbraio 1964: i Beatles sono sbarcati da due giorni negli Stati Uniti, scatenando un enorme entusiasmo tra i giovani del Paese, e stanno per esibirsi in diretta televisiva all’‘Ed Sullivan Show’. Quattro amiche del New Jersey decidono di andare a New York per vedere i Beatles dal vivo, a loro si aggiungono altri due amici. Una volta a New York i ragazzi riescono ad eludere i controlli della polizia e ad entrare nell'hotel dove alloggiano i Beatles. Riusciranno le ragazze ad avvicinare i loro idoli prima della ripartenza? Dopo aver firmato la sceneggiatura dello sfortunato ‘1941:allarme a Hollywood’, il giovane sceneggiatore Robert Zemeckis, esordiva alla regia con una commedia adolescenziale d’altri tempi. Quest’opera prima, contiene già tutto lo spirito tra il goliardico e il caricaturale con cui Zemeckis ama affrontare i sogni che si trasformano in fenomeni sociali, le assurdità che generano mode, ossessioni ed utopie di massa. Il delirio scatenato, in un’intera generazione, dalla musica dei Beatles, è lo spunto per uno studio di costume articolato in un’antologia di gag, ognuna delle quali è un caratteristico accento personale all’interno di una follia collettiva. Il piccolo gruppo di adolescenti che, con vari stratagemmi, cerca ad ogni costo di conquistarsi il diritto ad assistere, dal vivo, alla prima esibizione americana del quartetto di Liverpool, è protagonista della solita avventura affrontata con pochi mezzi, e molta fantasiosa incoscienza. L’ispirazione all’action movie si traduce già qui, in questo film d’esordio, in una serie di claunesche prodezze, accompagnate (tra vertiginose corse in auto e rocamboleschi viaggi in ascensore) dai primi cenni a quell’ingegneria fantastica che contraddistinguerà buona parte della sua produzione successiva.
Guillermo del Toro - Cronos
L'antiquario Jésus Gris entra in possesso di un misterioso congegno ad orologeria, posto alla base della statuetta di un angelo, costruito da un alchimista sfuggito in Messico ad una condanna dell'Inquisizione verso la metà del XVI secolo. All'interno è racchiuso uno scarabeo meccanico la cui puntura dona l'immortalità. Il ritrovamento del prezioso manufatto infiamma l'avido Dieter De la Guardia, un anziano miliardario affetto da un male incurabile, che affida al nipote Angel il compito di impadronirsene a tutti i costi. Sconfiggere la morte e sopravvivere in una età senza tempo è l'inconfessato sogno di milioni di uomini, ma come si scoprirà ben presto, la meravigliosa invenzione infonde, sì, vita eterna, ma a prezzo di trasformare in vampiro colui che ne fa uso. Guillermo Del Toro esordisce nel lungometraggio con quest'opera stilisticamente raffinata che reinterpreta con originalità la tradizione fanta-orrorifica gotica, cinematografica e letteraria, arricchendola di spunti satirici diretti contro il dogmatismo religioso e le ipocrisie di una certa mentalità borghese. Orrore e violenza sono suggeriti più che mostrati e il racconto sviluppa una crescente tensione giocando sull'attesa e su elaborate inquadrature che generano un'angoscia sottile, quasi psicologica. Seppur il film non sia così conosciuto a livello internazionale, in esso vediamo già l’amore di Del Toro per il gotico, il bizzarro e il fantastico; tre elementi che caratterizzeranno tutta la sua produzione futura: dai film per il cinema alle serie televisive il lavoro del regista messicano ha letteralmente spalancato le porte per una nuova dimensione dell’intrattenimento; un nuovo mondo che inspirerà le prossime generazioni nei tempi a venire.
Norman Jewison - 20 chili di guai!... e una tonnellata di gioia
Steve McCluskey è il direttore di un lussuoso casinò in Nevada, molto ben gestito e soprattutto molto redditizio. Ogni tanto passa il confine con la California dove è ricercato per morosità nei confronti della ex-moglie a cui non paga gli alimenti da anni. Steve cerca di gestire nel miglior modo possibile e senza inconvenienti tutta l'organizzazione, compreso l'albergo e il teatro annesso al casinò, anche per accontentare e farsi voler bene del proprietario della struttura Bernie (chiamato Bill) Friedman. L'arrivo della nipote del proprietario, che intende esibirsi nel teatro annesso al casinò e organizzare al meglio il debutto, e la presenza di una bambina di soli cinque anni lasciata nell'albergo il giorno prima da suo padre, incallito e ben poco fortunato giocatore d'azzardo misteriosamente scomparso dopo aver perso una somma di denaro considerevole, complicherà la già movimentata vita di Steve, con la giustizia che nel frattempo è sulle sue tracce, decide di realizzare il desiderio della piccola, quello di visitare il parco giochi di Disneyland, per quella che sarà una giornata indimenticabile. Nel 1963, il giovane Norman Jewison (futuro regista di ‘Jesus Christ superstar’ e ‘Stregata dalla luna’) esordiva nel lugometraggio con questa allegra commedia dai toni tragicomici. Il film è un remake della pellicola ‘Little Miss Marker’ diretta da Alexander Hall nel 1934 e tratta da un racconto di Damon Runyan. Nonostante il cambio d’ambientazione (lo stato di New York a quello del Nevada) l’impianto narrativo del racconto rimane lo stesso: un giocatore d’azzardo cinico e disilluso dalla vita che trova una forma di riscatto nel prendersi cura di una bambina rimasta orfana da poco. All’inizio del film, Steve McCluskey (interpretato da un eccellente Tony Curtis perfettamente calato nella parte), è il classico uomo medio americano emancipato, gran lavoratore e che mira al successo personale. A causa della sua precedente esperienza matrimoniale, il personaggio nutre una vera e propria allergia nei confronti della famiglia e dei rapporti sentimentali, ma cambia completamente quando nella sua vita irrompe la piccola Penny. Anche se all’inizio dimostra un po' di ritrosia nei confronti della bambina, Steve incomincia a vederla come l’unica cosa buona che gli sia mai capitata, tanto che arriverà a rischiare la galera per lei. La visita al parco giochi di Disneyland è uno dei momenti più divertenti e cruciali di tutto il film; in questa parte, viene mostrato il leggendario parco di divertimenti quando era ancora agli esordi della sua lunga carriera: le ambientazioni e le giostre vengono riprese da Jewison in uno stile quasi da spot pubblicitario, il che fa pensare a una forma di pubblicità occulta astutamente incorporata nella trama del film; a parte questo, il film funziona egregiamente, alternando momenti spassosi ad altri di commossa tenerezza. ‘20 chili di guai… e una tonnellata di gioia’ non è certo uno dei film più memorabili di Norman Jewison, ma in esso è possibile cogliere tutto il duro lavoro e la buona volontà di un autore che in futuro ci avrebbe regalato alcune delle perle più pregiate della settima arte, capolavori senza tempo che fanno sognare ancora oggi come all’ora.
Gore Verbinski - Un topolino sotto sfratto
Dopo la morte del padre, il magnate Rudolf Smuntz, i fratelli Ernie e Lars Smuntz ereditano la fabbrica di spago del genitore, dotata di attrezzature arretrate e in grave crisi finanziaria; a loro insaputa, ereditano anche una vecchia casa in campagna, di cui il padre stranamente non aveva mai accennato loro. I due, decidono di andare a visitare la pericolante casa e scoprono che è stata progettata da un grande architetto: Charles Lyle Larue. La particolarità di questa magione è il fatto che nessuno è al corrente della sua esistenza. Molti intenditori si presentano per valutare e acquistare la casa. Tra loro, vi sono molti milionari, in particolare Alexander Falko, il quale è uno dei più appassionati collezionisti di Larue ed è deciso ad aggiudicarsi l'edificio a qualsiasi cifra inferiore ai 10 milioni di dollari. Viene quindi organizzata un'asta per superare la soglia dei 600.000 dollari, il suo effettivo valore. I due fratelli iniziano le operazioni di ristrutturazione per renderla vendibile. Ma non sono i soli nella casa: si accorgono, infatti, di avere un altro inquilino, un topolino. I due fratelli danno la caccia all'animaletto e cercano di eliminarlo in ogni modo. Ma tutto si dimostra inutile e il topolino riesce in ogni situazione a dimostrare la sua intelligenza e la sua volontà di cacciare i due intrusi. Per i due fratelli è l’inizio di una guerra senza esclusione di colpi e dai risultati sempre più catastrofici. Dopo aver diretto una serie di videoclip, cortometraggi e spot pubblicitari (il più famoso e apprezzato rimane lo spot con le rane della birra ‘Budweiser’), il futuro regista della saga di ‘Pirati dei Caraibi’ e del disturbante ‘The ring’, faceva il suo esordio sul grande schermo con una commedia esilarante e dagli avveniristici effetti speciali. Il film comincia con la frase “Un mondo senza spago è il caos”, subito dopo assistiamo al funerale del magnate Rudolf Smuntz e alla presentazione dei due protagonisti, mentre portano la bara del padre e hanno un diverbio sul cappotto di Lars che sembra piu grigio che nero. A un certo punto, una delle maniglie della bara si rompe facendola scivolare giù dalla scalinata della chiesa; la salma (dopo essere finita contro una macchina) viene sbalzata fuori dalla bara, per poi finire dritta in un tombino aperto. Da questo preludio possiamo già vedere quello che sarà il futuro stile cinematografico di Gore Verbinski: la cinepresa è rapida e veloce, e quasi tutte le sequenze del film si rifanno allo stile di Sam Raimi e dei fratelli Coen; l’umorismo è macabro e surreale, e omaggia sia i film di Tim Burton che quelli di Staglio e Olio (i due protagonisti sono letteralmente la copia speculativa del celebre duo); dalle comiche si passa con disinvoltura allo slapstick catastrofico dei cartoons (modello Tom & Jerry), mentre la vorticosa macchina da presa di Verbinski segue per i cunicoli, alla sua altezza, il topolino, un personaggio scaltro ed adorabile, frutto dell'eccellente integrazione fra addestramento d’animali veri, modelli meccanici e computer grafica. Grazie a tutti questi elementi, il film è una perfetta favola nera con lo stile dei celebri ‘Looney Tunes’, e che racchiude al suo interno un prezioso insegnamento morale: bisogna inseguire gli affetti e le tradizioni, non i soldi facili.
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