Milano / Malpensa
Corso... l'artista delle punizioni
La palla che rimbalza sul terreno di gioco, la straordinaria visione del campo e quei tocchi che ne hanno fatto uno dei grandi del 'nostro' calcio ed un punto di riferimento per compagni e allenatori. Un simbolo e un esempio, perché Mario Corso era molto di più di un semplice giocatore, era un campione con la 'C' maiuscola; i colori nerazzurri sulla maglia e sul cuore, la forza e la grinta di chi aveva fatto della sua passione un vero e proprio amore e che, mai, si tirava indietro quando c'era da metterci impegno, dedizione e concentrazione. I ricordi, inevitabilmente, sono tanti, tantissimi, ma oggi più che mai è la voce a risuonare forte e chiara. Un unico, immenso messaggio, o meglio un saluto ad un calciatore e ad un uomo che rimarrà per sempre nella mente di tutti i tifosi e gli appassionati dell'Inter e, in generale, di ogni altra squadra. "Ciao Mariolino (così come lo chiamavano)... continua a deliziarci da lassù, con la tua classe e le tue enormi qualità". La vita intera dedicata al pallone, lui che si era fatto strada con il sudore, la fatica e il duro lavoro. Classe 1941, Corso ha legato il proprio nome a quello dell'Inter, dove ha militato dal 1957 al 1973 prima di trasferirsi al Genoa e concludere la carriera nel 1975. Con la maglia nerazzurra ha collezionato ben 509 presenze, segnando 94 reti e vincendo quattro campionati nazionali, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Dei nerazzurri è stato anche allenatore nella stagione 1985/1986, subentrando all'esonerato Ilario Castagner e portando la squadra al sesto posto finale. Meno esaltante, purtroppo, l'esperienza con la Nazionale Italiana, con la quale ha collezionato 23 presenze e 4 reti, senza mai prendere parte ad una rassegna continentale o mondiale. Candidato per tre volte al Pallone d'oro, si è classificato 7º nell'edizione del 1964. Riconoscibile dai calzettoni arrotolati (in omaggio a Omar Sívori), è stato un grande specialista delle punizioni; il cosiddetto tiro a foglia morta, infatti, è stato uno dei suoi marchi di fabbrica, accompagnato allo straordinario estro ed alla fantasia, ma anche a prestazioni altalenanti, tanto che, abituato a far viaggiare la palla piuttosto che macinare chilometri, è stato ironicamente ribattezzato "participio passato del verbo correre" da Gianni Brera. Simbolo e punto di riferimento, dicevamo; campione e uomo che resterà per sempre nelle pagine e nella memoria del calcio.
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