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domenica 24 novembre 2024 | ore 08:38

"Dove serve una carezza..."

La storia di Sonia Manzetti, infermiera al Centro Psicosociale di Somma Lombardo, ha chiesto e ottenuto di essere assegnata temporaneamente al COVID 2 dell’ospedale di Busto Arsizio.
Salute - Sonia Manzetti

Un trasferimento temporaneo motivato dall’emergenza COVID-19. Sonia Manzetti, infermiera al Centro Psicosociale (Cps) di Somma Lombardo, ha lavorato dal 23 marzo fino alla fine di maggio nel reparto COVID 2 dell’ospedale di Busto Arsizio. Ha, quindi, inviato al Sitra (Servizio infermieristico tecnico riabilitativo aziendale) una lettera in cui ripercorre la sua esperienza e le motivazioni che l’hanno originata. Dagli inizi di giugno ha fatto ritorno al Cps. La missiva ha sollecitato una riflessione da parte del direttore sociosanitario ASST Valle Olona, dottor Marino Dell’Acqua: “Ringrazio Sonia per la sua preziosissima testimonianza: nel percorrere la propria esperienza, ci ha insegnato quanto è di valore la professione di infermiera. Valore che sta nella grande capacità di saper apprendere le novità cliniche che cambiano continuamente, e che non ci devono mai trovare impreparati. Valore racchiuso nella grande competenza e nel fare ogni giorno (e in situazioni così diverse) quello che veramente serve al nostro malato, perché ogni nostro malato è diverso. Valore espresso nella grande volontà di essere e di esserci quando qualcuno ha bisogno, senza ripensamenti, senza esitazioni. Questo è essere infermieri e noi siamo orgogliosi dei nostri infermieri che tutti i giorni dimostrano di sapere, di fare e soprattutto di essere. Grazie Sonia e grazie a tutti gli infermieri”.

"IL MIO POSTO E' DOVE SERVE UNA CAREZZA..."

Memorie di un’infermiera. Anno 2020
Mi chiamo Sonia, ho 55 anni, abito a Gallarate e sono madre di due figli stupendi e nonna di una bimba meravigliosa, svolgo la professione di infermiera da 37 anni e ne sono orgogliosa. Marzo 2020. L’umanità è colpita da un nemico invisibile e sconosciuto, un virus, inizialmente sottovalutato, che in poco tempo miete moltissime vittime, il suo nome è Coronavirus e causa una malattia detta SARS-COVID 19 che uccide in pochi giorni le persone fragili e soprattutto gli anziani. La scelta. La notte non dormo, penso a chi soffre, a chi ha bisogno di aiuto, a chi non ce la fa più e a chi muore. Mi chiedo se posso fare qualcosa anch’io. Decido di entrare a far parte dell’esercito per combattere questa guerra, al fianco dei miei colleghi che già stanno operando sul fronte, nel mio piccolo devo e voglio aiutare chi soffre e chi fatica, chi crolla e si dispera, chi stringe i denti in mezzo a questo caos surreale. Decido: nonostante la paura del contagio, la paura di non poter più vedere i miei cari, il dissenso di chi non mi può capire. I miei familiari si preoccupano per me ma tutti rispettano la mia decisione e mi sostengono, sono più orgogliosa di loro che di me stessa. Aderisco volontariamente al reclutamento del personale per lavorare presso un reparto COVID, la mia richiesta viene subito accolta. Parto per il fronte, metto in stand-by il mio lavoro in psichiatria, saluto i miei cari colleghi con un po’ di magone, inizio una nuova esperienza, di lavoro e di vita, un viaggio nell’ignoto. Cosa mi aspetto. Chi si arruola nell’esercito è consapevole che in caso di guerra sarà chiamato e dovrà combattere. Ho scelto di fare l’infermiera, in caso di pandemia devo combattere contro il virus! Il mio senso del dovere mi ha spinta, ma è stato il mio cuore a decidere. Il mio posto è al fianco delle persone che soffrono, poter dare loro conforto e sostegno in questo immenso vuoto causato da un’invisibile nemico, un virus che costringe a vivere isolati, a stare lontani dai nostri cari, a non poter avere vicino un familiare nemmeno nel momento dell’agonia. Il mio posto è dove servono, oltre che le cure mediche e l’assistenza, una parola di conforto, un sorriso, una carezza. Ė stata dura, durissima, ma alla fine è apparsa una luce all’orizzonte che ci guida a credere che ce la possiamo fare, dobbiamo farcela. Sarò all’altezza del mio compito? Resisterò? Da 29 anni la mia professione mi ha portata a specializzarmi in una branca della Medicina lontana dalle pratiche infermieristiche svolte nei reparti ospedalieri, situazione stressante e poco tempo a disposizione per imparare ma tanta volontà di rimettersi in gioco. Ce l’ho fatta grazie ai miei nuovi e preziosi colleghi che con pazienza e competenza mi hanno aiutata e sostenuta. Ho potuto mettere in campo anche le mie competenze, maturate in 29 anni di lavoro accanto al paziente psichiatrico: la relazione empatica, l’ascolto attento, l’osservazione accurata e il confronto costruttivo con tutto il team. La gratificazione più grande è arrivata da loro, i veri eroi di questa guerra, i pazienti. Non dimenticherò mai il novantatreenne che cerca di accarezzarmi il viso celato da una maschera e una rigida visiera. La signora affetta da un ritardo cognitivo, all’ingresso agitata, spaventata e incontenibile che mi prende un braccio con forza per accarezzarlo e sorridendo mi manda baci. Il paziente grave e consapevole che dice: "Io non mollo grazie a voi", pochi giorni dopo muore. Il vecchietto sordo che mi urla: "sei la mia gioia". Il paziente dimesso che uscendo dal reparto piangendo dichiara: "Mi mancate già". Ne ho centinaia di questi esempi che mi hanno scaldato il cuore nella buia e fredda trincea sul fronte di questa brutta guerra. Non dimenticherò mai gli sguardi dei malati, la paura nei loro occhi, la tristezza, ma anche la riconoscenza e l’affetto. In questo percorso della mia vita ho affrontato la paura, ho vinto la fatica, ho spazzato via la tristezza, ho ascoltato le richieste di aiuto, udito urla di dolore ma anche sussurri di gioia e pianti commossi. Ho dato tutto quello che ho potuto, tutti noi l’abbiamo fatto, ho ricevuto molto di più da tutti quelli che ho incontrato lungo questa strada tortuosa, dalle anime che sono volate via, da quelle che ce l’hanno fatta, da tutti gli operatori sanitari che hanno lavorato con me, dalle gentili signore addette alla pulizia del reparto alle operatrici dell’URP, dai generosi volontari della Protezione civile agli Alpini (chiedo perdono se ho dimenticato qualcuno). Credo che tutti noi ci siamo sentiti una squadra, che si sia creato un legame che ci unirà per sempre e che terremo nello scrigno delle cose preziose questa esperienza Alla fine del viaggio mi sento molto più ricca e contenta di me, ho fatto la scelta giusta. Ringrazio tutti. (Sonia Manzetti)

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