Milano / Malpensa
"La Cultura contro la corruzione"
Corruzione. Quante volte, per colpa di questa parola, abbiamo visto il nostro Paese scalare le classifiche ed essere in cima a tutti gli altri Stati europei. Come se le attività illecite fossero parte integrante di noi in quanto italiani. Come se nel nostro codice genetico fossimo predisposti alle mazzette. Al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano si è cercato di ragionare su questa malattia atavica che ci “condanna” a primeggiare su tutti. E si è pensato a come fronteggiarla. L’Italia, più di molte altre nazioni, ha un’arma segreta su cui può far leva per combattere il malaffare, ed è la cultura. Rilanciando quest’ultima e promuovendo una moralizzazione di tutti i cittadini, lo sviluppo economico non rimarrebbe quel miraggio a cui ci hanno da tempo abituato i media. Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha dimostrato un certo ottimismo, dubitando della crescita della corruzione nel Bel Paese negli ultimi anni. <>. Se la corruzione fa notizia, significa che essa viene contrastata dalle istituzioni, e questo non deve far altro che consolarci. Questo, in sostanza, il pensiero espresso nel suo breve discorso dal primo cittadino di Milano, che ha definito la cultura un <> per i mali della società. Guidati da Lucia Annunziata, gli esperti sul palco si sono alternati al microfono per tracciare il quadro di una situazione tutt’altro che positiva. Il rettore del Politecnico, Giovanni Azzone, dopo aver sottolineato il ruolo fondamentale della città meneghina come centro di attrazione di “capitale umano” e come porta di collegamento fra l’Italia e il mondo, ha elogiato l’iniziativa di “Universiday”, che, unendo le 8 università milanesi in un unico grande ateneo virtuale, ha contribuito a far sì che Milano compaia al 36° posto come città universitaria del pianeta e soprattutto al 10° per la qualità dei laureati. Ma le buone notizie prima o poi dovevano finire. Il presidente di Makno (una fondazione nata nel 1979 per ricerche sociali e di mercato), Mario Abis, ha illustrato con grafici semplici e chiari la drammatica posizione nostrana in merito a corruzione e cultura. Se i Paesi scandinavi sono infatti al top per una bassa corruzione e alti investimenti in ambito culturale, l’Italia viaggia a fianco di paesi come la Grecia, la Bulgaria, la Romania e Cipro. Una piaga endemica, capillare e stabile, insita nel tessuto sociale e culturale del Paese, mina la credibilità delle istituzioni e porta a quella disaffezione per la cosa pubblica cui tanto assistiamo in questi anni. Per avvicinarsi agli Stati del Nord Europa risulta necessaria e urgente la nascita di una cultura italiana di appartenenza e partecipazione, anche perché – e questo è un conforto non da poco – secondo le statistiche la sete di conoscenza è sempre più forte. Due italiani su tre, infatti, vorrebbero che lo Stato investisse sulla cultura, per cominciare a recuperare quei 15 punti di PIL – sì, 15 – persi dal 2009 rispetto agli altri Paesi del vecchio continente. Ma nella “tavola rotonda” riunitasi al termine dell’incontro sono emersi, grazie all’intervento del vicepresidente di Confindustria Ivanhoe Lo Bello e a quello del direttore del Sole 24 Ore Salvatore Carrubba, la debolezza dello Stato italiano e il fatalismo diffuso tra la popolazione. Un popolo colpevole di omertà che associa la corruzione a ogni istituzione politica necessita più che mai di una “pedagogia civica”. I discorsi conclusivi del rettore dello IULM Gianni Puglisi e del giudice della Corte Costituzionale Giuliano Amato hanno infatti insistito su questo punto: su quanto sia necessaria una formazione di coscienza per le nuove generazioni, sul fatto che ciascuno di noi possa fare qualcosa per contrastare la corruzione. L’aumento della severità delle pene non la eliminerà mai, la vera sanzione è quella sociale, e spetta a ogni italiano il dovere di rispettare le leggi e farle rispettare. Sembra un miracolo irrearizzabile, ma con una cultura veramente diffusa si farebbe già un notevole passo avanti.
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