Milano / Malpensa
'Pena e retribuzione'
- 20/10/2014 - 11:24
- Libri
“Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita”, un libro sulla concezione della pena, un viaggio puntiglioso attraverso il controverso mondo del modello della pena e quale tra essi sia giusto adottare: abbracciare un’ideologia retribuzionista o puntare alla riconciliazione, alla rieducazione del condannato? Punire il reo solo perché ha commesso il fatto e in quanto tale deve essere punito indipendentemente da ogni circostanza o cercare di reinserire e rieducare il condannato al fine di una riconciliazione con la società? Come il cristianesimo di pone dinnanzi a tale quesito? Ebbene, a tutti questi interrogativi, su cui la società odierna risulta ideologicamente molto frammentata, risponde il teologo austriaco Eugen Wiesnet.
L’autore affronta il tema della giustizia a livello biblico, nel vecchio e nel nuovo testamento, una parentesi cruciale al fine di giungere a comprendere gli albori della concezione attuale e rafforzare la propria tesi sulla estrema utilità della pena se volta alla riconciliazione del condannato e non alla sua eterna marchiatura come delinquente, come nemico, come persona da incarcerare sine die o da condannare a morte. L’interpretazione proposta da Wiesnet permette di trovare un ulteriore difetto del sistema retribuzionista: la volontà di cercare ideali religiosi a sostegno della punizione. L’autore ribalta questa forma mentis, affermando che non esiste fondamento teologico alla pena come retribuzione formale del reato anzi sostenendo che la giustizia di Dio, espressa dalla Bibbia, è quella del primo passo, quella della riconciliazione. La giustizia inoltre non deve essere il fine ma il mezzo, perché la finalità è appunto un’idea riconciliatrice della convivenza civile, con la conclusione che punire il male non permette di capirlo.
A prima vista pare in ogni sfaccettatura un vero paradosso, eppure, basti vedere le statistiche. Invero, Paesi di stampo neo-retribuzionista, emblematici sono gli Stati Uniti, hanno un crescente tasso di criminalità, che porta ogni hanno a spendere milioni di dollari nella giustizia, per la costruzione di nuove carceri, incrementi della vigilanza e molto altro. Ma come, condannare a morte un delinquente non favorisce la deterrenza? No, e ancora no. Sono i dati che parlano, a dimostrazione del fatto che un idea neo-retribuzionista che permane per rispondere ad esigenze di pena della collettività, non può funzionare; negli Stati Uniti la percentuale di recidività è pari al 56,7% dopo un anno dal rilascio, sino a giungere all’incredibile cifra dell’77% entro cinque anni. Inoltre, come asserisce Wiesnet, molteplici ricerche psicologiche hanno dimostrato che l’85% dei detenuti incarcerati hanno subito un “abbruttimento spirituale”, insomma, le prigioni sono vere e proprie fabbriche di desocializzazione con un elevatissima quota di recidivismo. Ecco che la retribuzione, trasforma ogni misura di pena adottata in una contro-misura.
Un grande confronto quello proposto da Eugen Wiesnet, un interessante dibattito che ancora oggi è insito nella società, tuttora offuscata da un’ideologia di stampo kantiano-hegeliano quale la retribuzione che continua a germinare inesorabile nel pensiero penalistico comune.
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