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giovedì 21 novembre 2024 | ore 12:21

La fantascienza New Wave nel cinema

La storia della fantascienza d’avanguardia vista attraverso la settima arte. Sei film, sei storie, sei modi d’interpretare e reinventare la fantascienza, fino a raggiungere confini ritenuti invalicabili.
Cinema New Wave

Se state leggendo questo articolo, la prima domanda che vi passera per la testa è sicuramente: cos'è la fantascienza New Wave? Letteralmente “Nuova Ondata”, la New Wave della fantascienza identifica tanto un periodo (dal 1964 alla fine degli anni Settanta) quanto una serie di scrittori, registi e artisti, che in quel periodo esordirono, o che comunque realizzarono le loro opere più significative, sempre caratterizzate da un forte rinnovamento stilistico e tematico. Dagli anni Trenta ai Cinquanta, la fantascienza era principalmente nota per viaggi spaziali, invasioni aliene, mondi post – apocalittici, futuri utopici e distopici e strabilianti invenzioni che facevano progredire l’umanità. Negli anni Sessanta, con l’esplosione della controcultura underground, emersero nuovi e promettenti scrittori, che rivoluzionarono il genere in modi che nessuno si sarebbe immaginato. Peculiare fu l’apertura di questi autori alle influenze di ogni tipo di letteratura. Prima di allora, la science fiction aveva sempre trovato ispirazione in se stessa: gli autori di una generazione si limitavano ad assumere come modello le opere scritte dalla generazione precedente. Il primo passo che i nuovi giovani autori della New Wave intrapresero fu quello dell’assimilazione dei modelli sperimentali novecenteschi (James Joyce e John Dos Passos), coniugandoli alla prosa libera della beat generation americana (William S. Burroughs) e al nouveau roman ancora in pieno fermento (Alain Robbe – Grillet). È dunque sulla scia della sperimentazione letteraria intrapresa nella letteratura mainstream che nasce il movimento della fantascienza New Wave. Il genere è caratterizzato da una forte vena surrealista e psichedelica, la quale avrà un forte impatto sulla cultura di massa degli anni Sessanta e Settanta. In particolare, sono due le opere letterarie che segnano l’inizio della fantascienza New Wave, ossia: ‘Dune’ di Frank Herbert, e ‘Maestro del passato’ di Raphael A. Lafferty. Se il primo è una space opera, carica di elementi mistico religiosi e con un forte messaggio ecologista di fondo, il secondo è pura anarchia in stile ‘Monty Python’. Il 1964 è anche l’anno in cui il giovane scrittore Michael Moorcock (uno dei pilastri portanti del genere), assunse la direzione della rivista di fantascienza britannica ‘New Worlds’, trasformandola in breve tempo nel punto di raccolta di tutte le tendenze più sperimentali ed eversive della fantascienza di quel periodo. Tra le pagine della risvista, incominciano ad apparire nomi illustri del calibro di J. G. Ballard, Brian Aldiss, Anthony Burgess e John Brunner, ma anche grandi e stimati autori statunitensi come Ray Bradbury, Theodore Sturgeon, Philip K. Dick, Harlan Ellison e Kurt Voonegut. Con l’avvento della fantascienza New Wave, anche la settima arte fini per essere influenzata da questa nuova corrente artistica. In questo articolo tratteremo sei film appartenenti al suddetto genere, che si sono maggiormente distinti per creatività e innovazione, fino ad assumere lo status di cult generazionale del secolo.

L’uomo illustrato
Will, un ragazzo che con mezzi di fortuna vuole andare in California, incontra Karl, un tizio che lo costringe ad ascoltare la sua storia. Clown in un circo, l'uomo si fece tatuare da una donna, che lo aveva completamente soggiogato, alcune strane figure su tutto il corpo. Anche Will si sente attratto da quelle incomprensibili figure e senza rendersene conto, soffermandosi su alcune di esse, si trova trasportato in un lontano e terrificante futuro. Nel 1969, il regista Jack Smight, decise di adattare per il grande schermo il romanzo ‘L’uomo illustrato’ di Ray Bradbury, pubblicato per la prima volta nel lontano 1951. Il romanzo è una raccolta di racconti brevi, pubblicati da Bradbury su varie riviste nel corso degli anni, e raccolti all’interno di una storia, il cui protagonista è lo spettatore involontario di queste storie, narrate dai tatuaggi che ornano il corpo del narratore involontario che da il titolo al libro; un metodo decisamente d’avanguardia per raccontare una storia, che è sia un romanzo che una raccolta di racconti brevi. Sebbene la raccolta originale conti ben venti racconti, il film di Smight (per motivi di Budget e limitazione degli effetti speciali) ne adatta solo tre di essi: ‘La savana’, ‘La lunga pioggia’ e ‘L’ultima notte del mondo’. Il risultato finale non è certo dei migliori: Il prologo e l’epilogo sono completamente distanti dalla controparte cartacea; il protagonista Rod Steiger si produce in un’interpretazione molto caricata, forse per sopperire alle carenze di una sceneggiatura che fatica a trasporre sul grande schermo i caleidoscopici racconti frutto dell’immaginazione di Bradbury; e per finire, salvo la prima storia, le altre due che vengono raccontate all’interno del film sono tediose e mal gestite all’interno della trama, e a nulla servono gli intermezzi che raccontano il burrascoso rapporto tra l’uomo illustrato e la misteriosa tatuatrice. La fantascienza New Wave, cerca di fare un primo timido passo nel mondo del cinema con il film di Smight, ma inciampa miserevolmente in un groviglio di problemi tecnici ed economici, che ne affossano il potenziale visivo e narrativo, trasformando il tutto in una farsa pomposa e senza senso. Nel 2007 si è parlato di un nuovo adattamento per la regia di Zack Snyder, sotto la supervisione di Frank Darabount, in qualità di produttore esecutivo; ma da allora non ci sono state più notizie, né sul progetto, né sulla sua provabile cancellazione.

Mattatoio n.5
Il soldato americano Billy Pilgrim, ex prigioniero dei tedeschi nel "Mattatoio 5" di Dresda, torna in patria, ma fatica a dimenticare il trauma subito. L'uomo trova rifugia nelle fantasticherie della sua mente, che hanno a che fare con una seconda vita aliena. Tra i vari autori che diedero lustro alla fantascienza New Wave, il nome di Kurt Vonnegut è certamente il più noto e apprezzato dai lettori del genere. Il suo stile a meta strada fra quello si Jonathan Swift e di Mark Twain, ha saputo rinnovare e influenzare tutta la letteratura del novecento fino ad oggi. Titoli come ‘Ghiaccio nove’ o ‘Le sirene di titano’ sono ufficialmente diventati dei cult della fantascienza del XX secolo. ‘Mattatoio n. 5’ (anche noto con il titolo ‘La crociata dei bambini’) è sicuramente il titolo per il quale è più conosciuto e apprezzato dai lettori odierni. Insieme a classici del periodo come ‘E Johnny prese il fucile’ di Dalton Trumbo e ‘Comma 22’ di Joseph Heller, il romanzo di Vonnegut è anch’esso una cruda parabola anti – militariesta, alla quale però si aggiunge l’elemento fantascientifico condito con una satira pungente e corrosiva. Estremamente complesso e pieno di elementi autobiografici (la storia di Billy si basa sull’esperienza vissuta in prima persona dall’autore), ‘Mattatoio n. 5’ è uno dei romanzi della fantascienza New Wave, più difficili da adattare per il grande schermo. Nel 1970 il produttore Jennings Lang, acquisì i diritti del romanzo, con l’intenzione di adattarlo per il cinema. Per scrivere la sceneggiatura, venne scelto il giovane sceneggiatore Stephen Geller, mentre per la regia vennero inizialmente contattati Stanley Kubrick, Robert Altman e Arthur Penn, ma alla fine venne scelto George Roy Hill, esule dal grande successo di ‘Butch Cassidy’ e futuro regista del cult ‘La stangata’. Il film di Hill (cosi come il romanzo da cui è tratto) è un oggetto che a tutta prima non si sa bene come interpretare. Le direzioni in cui si muove sono cosi eterogenee da lasciare perplesso lo spettatore abituato ad appoggiare la sua routine, cioè la sua pigrizia, ai muri maestri di ben collaudati e ben riconoscibili “generi”: il film di guerra, la commedia americana, il ritratto di costume, il film satirico, il film di fantascienza, il film comico e cosi via. Ora succede che i “generi”, in ‘Mattatoio 5’, ci sono tutti. Lo spettatore (cosi come il lettore) si trova letteralmente spaesato dalla multimedialità della storia di Vonnegut, il ché rende possibile veicolare il messaggio pacifista di fondo: puoi fantasticare nel sogno fin che vuoi, ma non sarà fantasticando che potrai contribuire a cambiare le cose.

Alfa Omega il principio della fine
Mentre sul mondo incombe la minaccia di una guerra atomica, a Londra, Jerry Cornelius genio riconosciuto in fisica nucleare, viene in possesso di un microfilm contenente la formula del segreto "Final Programme", elaborato da suo padre già premio Nobel. Convinto da un gruppo di scienziati a studiarne le proprietà, Cornelius, al lavoro con la dottoressa Brunner, comprende che la formula consentirebbe, mediante un processo di clonazione, la creazione in laboratorio dell'uomo perfetto. Nel 1968 il poliedrico scrittore Micheal Moorcock, dava alle stampe la prima avventura di Jerry Cornelius, un personaggio a meta strada fra James Bond e John Lennon, alle prese con avventure e situazioni al limite del pulp e del bizzarro, nonché perfetti esempi di fantascienza New Wave. Nel 1973 usci la versione cinematografica, diretta dal regista britannico Robert Fuest (noto per l’horror cult con Vincent Price ‘L’abominevole dr. Phibes’). Con divertite allusioni alle serie televisive de ‘Il Prigioniero’ e ‘The Avengers’ (di cui alcuni episodi sono diretti guarda caso da Fuest), il film (così come il libro) avanza l'interessante ipotesi che l'ultimo traguardo dell'umanità potrebbe essere il ritorno alle origini. Un destino che si fa beffe del progresso della scienza e che anzi piega la scienza alle proprie finalità. Oggi può sembrare un delirante esercizio stilistico di pop-art psichedelica, in realtà è la testimonianza di uno dei modi di fare fantascienza in Inghilterra durante gli anni sessanta e settanta. Decadenza, eccentricità, una sorta di sfacelo morale ed esistenziale che conduce lo spettatore in un dedalo infinito di creatività e non sense al limite del barocco e del puro kitsch made in British.

Zardoz
nell'anno 2293 gli Immortali, che sono i ricchi, i potenti e gli intelligenti, per mezzo del massimo ottenibile dal progresso scientifico e tecnologico, hanno costituito il Vortex: un'oasi di asfissiante immortalità. Accanto a loro vegetano per sempre gli Apatici (i disadattati) e i Rinnegati (incoerenti condannati a perenne vecchiaia). La colonia viene nutrita dai Bruti, schiavi che lavorano la terra, dominati con violenza dagli Sterminatori, che tuttavia, sono Mortali come i loro sudditi. Tutto il sistema è retto da due invenzioni di Arthur Frayn: il Cristallo (o tabernacolo o cervello di quanto avviene nel Vortex) e Zardoz (una divinità di pietra, volante, dispensatrice di ordini e di armi per gli sterminatori). Zed, mortale sterminatore che brama tanto l’avventura e la ricerca della verità, introdottosi in Zardoz con un trucco, riesce a penetrare anche nel Vortex. Incomincia così un percorso che lo porterà a diventare il salvatore della razza umana. Tra i film di questa classifica, ‘Zardoz’ di John Boorman, è sicuramente il più singolare; poiché a differenza degli altri è l’unico a non essere tratto da un’opera letteraria. Ciò nonostante, il film di Boorman è a tutti gli effetti uno dei mirabili esempi di fantascienza New Wave del XX secolo. Molteplici sono i riferimenti in questa congerie di spunti visivi e filosofici, rimanendo purtroppo nel complesso parecchio confuso proprio per tale eccesso di suggestioni che travolgono lo spettatore, lasciandolo in una vaghezza psichedelica e rapsodica. È difficile fare un resoconto di ‘Zardoz’, anche perché la pellicola abbonda di citazioni e rimandi alla letteratura fantasy e sci-fi del periodo. La storia di Zed (interpretato da Sean Connery) ricorda per molti versi quella del protagonista de ‘Il mondo nuovo’ di Aldous Huxley, mentre lo scienziato Arthur Frayn, che comanda la testa di pietra volante del Dio Zardoz è un chiaro riferimento al mago di Oz (lo stesso nome di ‘Zardoz’ è un acronimo del titolo dell’opera di Baum: ‘The wizard of Oz’). Il resto delle citazioni comprendono le opere di Theodore Sturgeon, Michael Moorcock e Robert E. Haward. A ciò si sommano alcune libere reminiscenze classicheggianti, oltre alla testa volante che ricorda parecchio la Bocca della verità di Roma, anche gli Immortali stessi rimandano a un singolare Olimpo in veste new age. Infine c’è l’estetica e la scelta dei costumi, che non solo sono indimenticabili, quanto tanto kitsch da essere geniali, ma riescono a regalarci un memorabile Connery/Zed lo Sterminatore con una sorta di mutandone rosso e annessa cartucciera incorporata in foggia di bretelle, nonché stivali di pelle nera alla coscia; tocco finale sono poi una lunga treccia e un paio di baffoni che fanno somigliare l’ex James Bond a un folle incrocio con Lara Croft e Zapata. Anche se non è invecchiato bene, sotto certi aspetti, ‘Zardoz’ è un notevole esercizio di stile e sfoggio di buona volontà, che preme a tavoletta sull'acceleratore della fantascienza New Wave, consegnandoci un prodotto carico di creatività, ma privo di qualsiasi senso logico di fondo.

Stalker
Forse un meteorite, oppure la visita di alieni? Fatto sta che, nei pressi di un centro abitato, s'è creata una strana "Zona", un luogo dove avvengono fenomeni inspiegabili e al centro del quale sorge la "Stanza dei desideri". Le autorità, inizialmente, hanno mandato degli uomini per perlustrarla, ma quelli non sono tornati. S'è quindi pensato bene di recintarla con del filo spinato, mettendovi a guardia i soldati affinché nessuno vi abbia accesso. Gli "stalker" sono delle guide illegali, gli unici che riescono a muoversi all'interno della Zona senza rischiare la vita. Molte persone sono disposte a pagarle pur di raggiungere il centro di essa: la Stanza dei desideri. Anni dopo il monumentale adattamento di ‘Solaris’, il regista Russo Andrej Tarkovski decise di tornare nel mondo della fantascienza con il libero adattamento del romanzo ‘Picnic sul ciglio della strada’ dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Come già sperimentato con l’adattamento del classico di Stanislaw Lem, Tarkovskij non si limita ad utilizzare la fantascienza entro i limiti di genere ma ne travalica gli argini raggiungendo l’obiettivo: un intensa meditazione sul significato dell’esistenza e sul fardello del pensare e del desiderare. Propedeutico a ciò è lo stile visivo, intriso di lente carrellate e long take, caratterizzato da una fotografia d’eccezione che alterna il colore al bianco e nero “seppia” ed impreziosito dal fascino del suo immaginifico; fondamentale è anche la complessa struttura di dialoghi della sceneggiatura che, rifiutando un normale dipanarsi della narrazione, gira vorticosamente intorno ai tre personaggi in uno stile che ricorda quello di Ingmar Bergman. il film si sorregge su tre pilastri, i protagonisti (non hanno nomi propri, come fossero archetipi), e sul loro confronto continuo, ognuno dei quali ha un punto di vista della Zona (quindi dell’esistenza) differente. Lo Stalker incarna la visione teologica della realtà; si muove all’interno della Zona come uno sciamano, compiendo una serie di riti a cui solo la fede può dare spiegazione, come compiere un giro lunghissimo a spirale per giungere al punto nevralgico, un rudere, al cui interno si trova l’oggetto della ricerca. Il Professore è agli antipodi poiché è portavoce del pensiero razionale e scientifico, mentre nel mezzo abbiamo lo Scrittore, filosofo nichilista. In un dialogo si parla del triangolo come figura geometrica; la dialettica del lungometraggio è proprio qui: agli angoli le tre prospettive, i tre protagonisti, uniti dai lati, incontro/scontro tra fisico e metafisico, che incorniciano l’area, la questione del dibattito, la conoscenza, la vita, la Zona. Il simbolismo marcato di alcune immagini ricorrenti ne arricchisce il significato; ad esempio l’acqua, brodo primordiale cui è riflesso passato e presente, il cane nero che furtivo accompagna i curiosi nell’esplorazione figurando come essere mistico ed ancestrale, o pali della corrente che, in bilico ed obliqui, si stagliano in secondo piano come fossero crocifissi, recessi di un’antica civiltà. I tre protagonisti torneranno, forse, con la consapevolezza di ciò che si cela all’interno della stanza dei desideri, o forse nessuno può sapere cosa essa nasconda al suo interno? Se questo fosse un film americano, la Zona pullulerebbe di mostri, effetti speciali e svolte spettacolari. Ma poiché si tratta di un film d’autore russo, opera di un regista spirituale come Andrej Tarkovskij, non c’è bisogno di tali orpelli. Tarkovskij non mira alla nostra adrenalina o al nostro portafoglio: punta alle nostre anime. Questo non significa che ‘Stalker’, non sia costellato di splendide immagini o non sia appassionante nelle sue (ambigue) conclusioni. ‘Stalker’ insieme a ‘Solaris’, rappresenta il punto più alto nella carriera artistica di Tarkovskij, nonché un notevole esempio di fantascienza New Wave russa, che avrebbe inspirato anni dopo lo scrittore Jeffrey VanderMeer, per la ‘Trilogia dell’Area X’.

High-rise – la rivolta
A metà Anni Settanta, a Londra, una torre di appartamenti spicca in alto sul Tamigi, segnando l’inizio di quello che diventerà un grande quartiere della finanza. Tutti chiamano la torre ‘Il condominio’. Il più importante dei residenti è Robert Laing, un ambizioso e giovane dottore che, grazie all’incontro con l’eccentrico Wilder, viene introdotto nel luogo più oscuro della torre. Ben presto, la situazione degenera nella follia e nella violenza e Laing si ritrova tra gruppi di condomini assetati di sangue. Correva il glorioso anno 1975 quando la fervida immaginazione del visionario scrittore J. G. Ballard, partorì ‘High Rise’ (in Italia conosciuto come ‘Il condominio’), spietata e grottesca satira sulle pericolose e inquietanti derive di un microcosmo abitativo i cui componenti si trovano a vivere una terribile involuzione specchio di una società già allora vicina al collasso totale. Con una gestazione che risale agli inizi degli anni ottanta, l’adattamento del romanzo omonimo, dopo tante peripezie e il susseguirsi di registi illustri come Stanley Kubrick e Nicolas Roeg, è finalmente arrivato su grande schermo con il regista britannico Ben Wheatley in cabina di regia. Adattare un opera di Ballard per il cinema e la televisione(così come per qualsiasi opera di fantascienza New Wave) non è mai una cosa facile, ma il regista compie una scelta molto azzardata e per certi versi molto coraggiosa: oltre a rimanere fedele alla trama del romanzo, ne adatta anche la dimensione temporale dove si svolgono le azioni dei protagonisti. Questa scelta serve principalmente a sottolineare come la storia raccontata sia ancora attualissima nonostante siano passati quarant'anni. Quarant'anni in cui il consumismo e il capitalismo hanno prosperato e si sono espansi a macchia d'olio anche in quei paesi che, nel 1975, ne erano acerrimi nemici. Il pubblico viene introdotto in questo universo autarchico tramite il punto di vista di Robert Laing, un medico che si è trasferito lì da poco. Al suo arrivo l'atmosfera è già tesa, surreale, ma a un certo punto le cose sfuggono di mano: manca l'elettricità e inizia la caduta verso la neo-barbarie. Le risorse scarseggiano, la gente perde il controllo e inizia a depredare, a lottare per le scorte, mossa da un sempre più acceso odio di classe. Il film che si sviluppa da queste premesse è una discesa nel caos e nella violenza ben servita da una regia altrettanto violenta. I set eccelsi si deteriorano sempre di più, fungendo da proiezione delle psicologie logore dei personaggi. Wheatley, in sostanza, ha l'idea giusta: spiegare poco, addirittura liquidare, con rapidi montaggi, passaggi narrativi che in altre sedi sarebbero ritenuti fondamentali; e lasciare il resto alla messa in scena. Perché le immagini sanno dire molto più di tante chiacchiere inutili. Insieme a ‘Dune’ di Dennis Villeneuve e ‘Annientamento’ di Alex Garland, il film di Ben Wheatley è uno dei più recenti e apprezzati esempi di fantascienza New Wave del XXI secolo, che con la sua feroce critica sociale e la sua estetica squisitamente retrofuturista è riuscito a fare breccia nel cuore dei neofiti e a regalare alle nuove generazioni un’oscura parabola sul declino della civiltà e il suo totale annichilimento.

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