Milano / Malpensa
La terza guerra mondiale vista da Hollywood
- 20/12/2023 - 09:00
- Over the Game
Dopo quasi due anni di pandemia il mondo sembrava aver superato una delle congiunture critiche più importanti dai tempi della Spagnola. Invece l’invasione russa dell’Ucraina ha rievocato uno spettro che si credeva morto insieme al ventesimo secolo: lo spettro della Terza Guerra Mondiale. Ma come si è arrivati a questo nuovo clima da guerra fredda che rischia di sfociare in un conflitto effettivo? In questo articolo non parleremo dell’attuale situazione geopolitica, parleremo invece di come il cinema ha immaginato lo scoppio del terzo conflitto. Per buona parte del secolo scorso, l’incubo dello scoppio di una Terza Guerra Mondiale ha influenzato maggiormente la fantasia di autori e registi, che si sono cimentati nell’immaginare come gli uomini sarebbero arrivati a questa drammatica conclusione e come ne sarebbero usciti da essa. I film del genere possono essere divisi in tre categorie: pre-guerra (dove si immaginano le cause che portano al conflitto), dopobomba (dove si immagina la vita dopo il conflitto) e satira socio-politica (dove le spettro della guerra viene esorcizzato dalla farsa e dalla commedia). In questo articolo tratteremo il primo genere, dove vedremo come questo tipo di film condanni apertamente la Terza Guerra Mondiale, al fine di sensibilizzare il pubblico sul fatto che in un ipotetico conflitto atomico non ci sono vincitori o vinti come nella prima o nella seconda guerra mondiale, ma solo morti e sopravvissuti, e in molti casi nemmeno quest’ultimi.
A prova di errore
Il comando aereo strategico in stanza a Omaha viene allertato per l'avvistamento di un oggetto volante sconosciuto diretto verso gli Stati Uniti dando l'ordine di decollo ai bombardieri provvisti di testata nucleare, trattandosi invero di un aereo civile uscito dalla rotta. Il guasto temporaneo a un sistema elettronico si traduce in un ordine cifrato e irrevocabile di attacco ad uno stormo di pattuglia sull’oceano artico il quale penetra in territorio sovietico in direzione della capitale. Il Presidente degli Stati Uniti apre un canale telefonico diretto con l'omologo sovietico per tentare di fermare i velivoli prima che sia tardi. Uscito quasi in contemporanea con ‘Il dottor Stranamore’ di Stanley Kubrick, il film di Sidney Lumet (tratto anch’esso da un romanzo) si discosta completamente dalla satira fantapolitica del primo, per concentrarsi su una visione drammatica e spaventosamente verosimile. Effetti speciali praticamente assenti (le poche apparizioni dei mezzi militari sono immagini di repertorio), una messa in scena minimale (il racconto si svolge prevalentemente in tre scarne stanze) e l’azione affidata esclusivamente alla forza delle parole, ai ravvicinati primi piani di Lumet e alla capacità attoriale di interpreti formidabili come Henry Fonda (che interpreta il Presidente degli Stati Uniti), Larry Hagman (il timido e ansioso traduttore) e Walter Matthau (il cinico scienziato politico Groeteschele). A differenza del film di Kubrick (in cui i dialoghi e le azioni dei protagonisti viravano verso il grottesco), il film di Lumet gioca le sue carte su dialoghi e personaggi credibili, che riescono nell’impresa di infondere allo spettatore una sensazione di crescente inquietudine, senza mostrare praticamente nulla dell’escalation militare in atto. Il personaggio più suggestivo e allo stesso tempo inquietante del film, è il prof. Groeteschele di Matthau: per lui il fine giustifica qualsiasi mezzo e i milioni di morti in ballo sono solo un dato su cui tessere la strategia bellica. Una mentalità riassunta dalla sua raggelante frase: “Noi non avremmo mai incominciato volutamente, l’ha fatto per noi il sesto gruppo e per errore. E noi dobbiamo approfittarne, la storia lo esige”. ‘A prova di errore’ è considerato ancora oggi uno dei migliori film di fantapolitica che immagina lo scoppio della terza guerra mondiale con un realismo impressionante; un film che porta il cinismo e il fanatismo militare di ambo gli schieramenti a livelli esasperanti, che lasciano lo spettatore con la consapevolezza che basta un singolo errore per condannare l’umanità. Un errore da cui non c’è ritorno.
Stato d’allarme
Nel corso di una normale azione di vigilanza condotta nelle acque della Groenlandia, salgono a bordo del cacciatorpediniere americano Bedford, operante agli ordini della NATO, il giornalista Ben Munceford e Chester Potter, il nuovo medico di bordo. I due non tardano a notare come il comandante Eric Finlander sia non soltanto un rigidissimo cultore della disciplina militare, ma persegua il suo compito con freddo accanimento. La presenza di quattro pescherecci russi e l'esame di alcune sostanze organiche raccolte in mare, permette a Finlander di scoprire e localizzare un sottomarino russo con armamento atomico. È una palese violazione delle norme internazionali e Finlander, dopo aver chiesto istruzioni ai superiori, che gli rispondono di vigilare senza però intervenire, trascurando gli ordini ricevuti e gli ammonimenti del giornalista, segue da presso il sommergibile nemico; incomincia così un pericoloso gioco del gatto e del topo che rischia di minare la pace internazionale e scatenare un conflitto mondiale. Passato inosservato durante l’uscita di ‘A prova d’errore’ e ‘Il dottr Stranamore’, ‘Stato d'allarme’ è un perfetto esempio per riscoprire l'atmosfera tipica del periodo. Situazioni, come questa, dove il confine fra guerra fredda e calda è molto sottile e le cui conseguenze sono apocalittiche. James B. Harris, già produttore dei primi successi di Stanley Kubrick, dirige un film dove è fondamentale la costruzione di una tensione gradualmente crescente in cui le ossessioni e il fanatismo di un singolo al comando possono essere disastrose. Richard Widmark, al pari di un Achab in Moby Dick, conduce questa sua guerra personale sull'orlo del baratro e sul filo del rasoio. L'interpretazione dell'attore è a dir poco straordinaria sotto tutti gli aspetti e solo questa è più che sufficiente a giustificarne la visione. Il film di Harris è una grande lettera di denuncia contro la guerra e il fanatismo ideologico occidentale, un film ignorato e ormai dimenticato che andrebbe riscoperto per il bene delle future generazioni.
Wargames-giochi di guerra
Il giovane David Lightman, appassionato di informatica, è un abile e promettente hacker che vuole introdursi nel computer di una nota casa di videogiochi, la Protovision, per dare un'occhiata in anteprima alla nuova collana di prodotti che la ditta rilascerà per Natale; tentando di connettersi sistematicamente a tutti i computer dello stesso stato in cui ha sede l'azienda, la California, egli riesce invece a raggiungere un supercomputer del NORAD studiato per rispondere ad un attacco missilistico: lo WOPR (War Operation Plan Response). Questo evolutissimo calcolatore, ubicato nella base fortezza di comando NORAD, valuta azioni e contromosse ad un eventuale attacco russo basandosi sull'esecuzione di numerosi giochi strategici: una volta letto l'elenco di tali giochi, David si convince di aver raggiunto la Protovision (dato che lo WOPR non si lascia identificare), ed inizia una partita a Guerra Termonucleare Globale contro lo WOPR, partita nella quale assume il ruolo dei sovietici. Dopo pochi minuti David deve abbandonare la connessione, ma il supercomputer ha già allarmato gli stati maggiori dell'esercito segnalando un attacco nucleare imminente, che portano lo stato della difesa (DEFCON) degli Stati Uniti d'America sempre più verso la guerra; infatti se per il ragazzo si tratta solamente di un gioco, così non è per il calcolatore che non discriminando fra “realtà virtuale” e “realtà effettiva” continuerà le proprie mosse difensive. Toccherà a David, una sua amica e lo scienziato creatore del computer, fermare l’escalation prima che sia troppo tardi. Sulla falsa riga di ‘A prova di errore’, il film di John Badham prende le dovute distanze dal tono serioso e realista del film di Lumet, per raccontare una storia per tutta la famiglia, che però si fa catalizzatore di messaggi importanti. Ritmo scatenato nelle quasi due ore di visione che, dietro la solida mano del regista, mettono in mostra un giovane Matthew Broderick al suo primo film da protagonista; simpatico e sbruffoncello quanto basta, il personaggio di David è il progenitore degli hacker moderni, che da Anonymous sino alle recenti schermaglie tra Russia e Stati Uniti, stanno facendo parlare di loro in tutto il mondo. La sceneggiatura di Lawrence Lasker e Walter F. Parkes si fa apprezzare anche per il perfetto equilibrio, gestito benissimo dalla regia di Badham, col quale si muovono le varie scene del film. Commedia e thriller avventuroso vivono in perfetta simbiosi con i personaggi, anche se in alcuni punti la storia non regge, risultando un po' ingenua e irrealistica. Sul fatto che la storia regga poco dal punto di vista del realismo ne viene ovvio denotare che non era questo l'interesse primario del film, come ben sottolineato dalle caratterizzazioni al limite del caricaturale di alcune figure chiave dell'esercito. La frase "L'unica mossa vincente è quella di non giocare" sintetizza nel migliore dei modi la critica alla guerra fredda tra le due potenze sempre pronte a rispondere al presunto attacco nemico piuttosto di pensare ad un definitivo disarmo globale. ‘Wargames-giochi di guerra’ è un film divertente, fortemente profetico (l’avvento delle intelligenze artificiali e degli hacker nei conflitti) e con un aura tipicamente anni ottanta, velata di forti messaggi pacifisti. Un film dove il confine fra gioco e vita reale si assottiglia, e dove la domanda “si può vincere a un conflitto termonucleare globale?” diventa insensata e priva di ogni logica.
Alba rossa
Nel 1989, l’Unione Sovietica è cresciuta militarmente come i suoi alleati centroamericani (Cuba e Nicaragua), ma registra la peggiore crescita degli ultimi cinquantacinque anni e ha così bisogno di rifornirsi altrove. In Europa la NATO è stata sciolta a causa degli ormai elevati costi di mantenimento, lasciando gli Stati Uniti a loro stessi. Infine, dopo la vittoria in Germania Ovest del Partito Verde, c’è stata la messa al bando delle armi nucleari nel vecchio continente. A causa di questa instabile situazione geopolitica, l’Unione Sovietica ne approfitta per invadere gli Stati Uniti insieme ai suoi alleati centroamericani. Mentre la loro città viene occupata dai soldati stranieri, otto ragazzi riescono a scappare sulle montagne. Prendendo il nome dalla squadra di football della loro scuola, i Wolverines, iniziano un'incessante guerriglia in difesa dei loro genitori, degli amici e del loro paese. Nel settembre del 1984, John Milius (reduce dal grande successo di ‘Conan il barbaro’) faceva il suo ritorno sul grande schermo con un film, che face discutere più la gente interessata alla politica che i critici cinematografici. A differenza degli altri film del genere (dove la terza guerra mondiale è sempre stata vista con un disastroso conflitto termonucleare e apertamente condannata dal genere), il film di Milius è il primo a mostrare un invasione armata del suolo americano da parte di un esercito straniero e ad esaltare lo spirito guerriero dei suoi cittadini. Le immagini e il ritmo sono da western; infatti, ‘Alba rossa’ venne definito ‘un western della guerra fredda’; ma nella pellicola la guerra è calda, sanguinolenta, una catena di carneficine, di plotoni di esecuzione comandati da ufficiali sovietici dallo sguardo bieco, e di campi di concentramento pensati per il lavaggio del cervello. I protagonisti a pochi minuti dall’inizio del film, vengono scaraventati direttamente nell’orrore della guerra, confusi e frastornati da un evento che ritenevano impossibile e inimmaginabile. Superato lo shock iniziale, i ragazzi si organizzano prima per sopravvivere e poi per respingere l’invasore straniero con atti di guerriglia e sabotaggio ai danni del nemico. ‘Alba rossa’ è un concentrato della filosofia cinematografica del miglior Milius, un western alla John Ford, dove gli accerchiati sono gli yankee, e i pelle rossa, sono i soldati dell’armata bolscevica e i Barbudos Cubani, dove l’amicizia è il collante per lottare e rimanere uniti, immersi come anime disperate in una natura bellissima e indomita, madre disperata di un’umanità sull’orlo del baratro. Un crepuscolo degli ideali dove la brama di potere lacera il coraggio dell’eroe senza macchia. Sono queste le solide basi dove il film di Milius poggia lo sguardo, un tessuto connettivo dove uno stile asciutto distende la sua elegia visiva, immaginando le debolezze di un paese innalzatosi a garante delle libertà mondiali senza mai guardarsi allo specchio.
Al vertice della tensione
Jack Ryan, giovane analista, da poco entrato alla CIA, viene incaricato da William Cabot, capo del controspionaggio, di una missione particolarmente pericolosa: mettersi sulle tracce di una bomba atomica smarrita trent'anni prima dagli israeliani, rimasta inesplosa sottoterra, e ritrovata per caso anni dopo. La bomba rappresenta un pericolo nucleare rivolto verso gli Stati Uniti, di cui minaccia la sicurezza. Assistito dal collega John Clark, Ryan segue varie piste, anche se i sospetti sono indirizzati verso la Russia. Mentre il reciproco scambio di accuse tra Stati Uniti e Russia prosegue e raggiunge livelli molto delicati, Ryan arriva ad individuare i veri colpevoli: si tratta di un gruppo neonazista europeo, che vuole scatenare il conflitto fra le due superpotenze per fare in modo che si distruggano a vicenda e per poter instaurare un nuovo ordine mondiale. Tratto dal romanzo ‘Paura senza limiti’, il film di Phil Alden Robinson è la quarta avventura cinematografica di Jack Ryan, l’analista della CIA protagonista dei romanzi di Tom Clancy. Il film dimostra delle differenze sostanziali rispetto al libro da cui è tratto, a partire dal protagonista principale; se nel romanzo Jack Ryan è un uomo maturo, navigato e sicuro dei suoi principi, nel film, il personaggio è un giovanotto alle prime armi, impacciato e senza grandi ambizioni. L’altra differenza sostanziale del film, è che al posto dei terroristi Palestinesi, abbiamo un gruppo neonazista con ramificazioni internazionali; questo cambio radicale della trama è dovuto al periodo in cui il film è uscito, ossia un anno dopo il drammatico attentato alle torri gemelle. Nonostante questi cambiamenti radicali, la sceneggiatura è di incontestabile attualità e ci propone un disarmante affresco di inquietante realismo sulla terribile tragedia che si verrebbe a creare se un’arma di distruzione di massa cadesse nelle mani di un qualsiasi gruppo terroristico e ci fa riflettere sulla facilità dello scoppio di un conflitto globale scatenato dalle supposizioni e dagli stereotipi della mentalità da guerra fredda, che oggi come allora sono dannosi e controproducenti per la pace mondiale.
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