Milano / Malpensa
'Sportello Giovani'
Si possono notare su un treno diretto in città, quando indossano abiti stretti e non conformi alla loro personalità. Spiccano a bordo delle loro citycar perché indossano una t-shirt colorata con il logo sbiadito del negozio in cui lavorano. Oppure mentre camminano a passo svelto con la cravatta del padre, sui marciapiedi, in estate, in cerca di un altro citofono. Negli irish pub, nel periodo natalizio, sono obbligati ad indossare un cappello da Babbo Natale e servire birra fino a notte fonda, per pochi euro. Si riconoscono al telefono, all’ora di cena, quando cercano di vendere qualsiasi prodotto digitale. E’ la realtà dei giovani italiani, i futuri genitori dello stivale, i prossimi adulti, coloro i quali possiedono un briciolo di speranza perché non hanno ancora varcato la sottile membrana della “bolla universitaria” e si sentono protetti dalle loro famiglie. Molti ragazzi si trovano a dover cedere e accettare che la loro vita venga organizzata dai datori di lavoro. Imprenditori e non, adulatori e maghi della speranza, che mettono a disposizione “transatlantici di carta” per navigare il mare del futuro. False promesse fatte di contratti a progetto, orari di lavoro atti a non avere più il controllo sulla propria vita quotidiana, chiamate all’ultimo minuto e disponibilità immediata. E poi ancora provvigioni senza un fisso, stage, apprendisti con esperienza. Regole ferree che prevedono la restituzione di denaro da parte del giovane lavoratore, qualora dovesse commettere un errore durante l’incarico. E’ il tempo del “ti faremo sapere”, del “mandaci una mail”, del “ti chiamo nel pomeriggio”, e poi il totale silenzio che dà sfogo allo sconforto. Tutto questo a norma di legge e sotto gli occhi di ognuno di noi, in una totale omertà in cui nessuno può e vuole parlare, perché dopo di lui qualcuno ricascherà nella trappola del “cacciatore”. Eppure basterebbe un utopico “no collettivo” per minare alle fondamenta il sistema. Utopico perché impossibile, la crisi italiana ha delineato traiettorie che offuscano la vista e annientano l’orgoglio. A quanto pare è importante lavorare, non badando al salario, per sentirsi in pace con la coscienza e non risultare fannulloni. Uno scopo forse troppo scialbo, in quanto, il primo motivo per il quale un individuo deve lavorare, è e deve essere quello di guadagnare denaro per vivere. Questa è la ragione che mi ha spinto al desiderio di aprire uno “sportello giovani” in cui, chiunque possa raccontare la propria esperienza. In chiave anonima, ovviamente. Con lo scopo di informare il prossimo su ciò che accade nel magico e allo stesso tempo tragico mondo del lavoro in Italia. L’invito è aperto a tutti coloro i quali hanno una storia da raccontare, e che sperano possa servire ad altri a non inciampare in una condizione di sfruttamento e mancanza di umanità. Credo sia molto importante tracciare una linea di informazioni atte ad aiutare chi sta approcciando a questo nuovo e difficile mondo. Basta una semplice intervista, informale, e la vostra esperienza, pubblicata tra le pagine di Logos, può finalmente prendere voce e aiutare, far riflettere sulle condizioni, su ciò che è giusto e soprattutto umano. Non dimenticandoci, però, che essere giovani è una grande risorsa. Bob Dylan diceva: “Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro”.
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