Milano / Malpensa
La 'speranza' oltre la terapia
La speranza non guarisce, ma aiuta ad affrontare la malattia. Un’affermazione di parere comune, ma che per la prima volta in Italia ha ora un fondamento scientifico. A realizzare lo studio è stato l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, pubblicato da ‘Tumori Journal’, rivista edita da Wichtig per promuovere la ricerca e la clinica d’avanguardia in oncologia. La ricerca “Hope in cancer patients: the relational domain as a crucial factor”, ha coinvolto 320 pazienti dell’Istituto Nazionale dei Tumori milanese di cui 185 degenti ricoverati, 57,8%, e 135 pazienti ambulatoriali, 42,2 %) ed è stato condotta da un’équipe di lavoro multidisciplinare composta da oncologi, statistici, psicologi clinici e da un sacerdote ospedaliero. La ‘speranza’ non viene qui intesa solo in termini religiosi (credenza in Dio, vita oltre la morte, ecc) ma anche nella sfera affettiva: vicinanza dei parenti, empatia con altri malati e fiducia nel personale medico che propone la cura. Avere speranza, come dimostrato da numerosi studi, implica una correlazione con una migliore tolleranza al dolore, una migliore qualità della vita e maggiore autostima, mentre la mancanza di speranza porta spesso a paura, disagio psicologico, deterioramento fisico e depressione. Il 95,3 per cento degli intervistati, non tutti credenti, ha affermato che sapere di non essere soli offre speranza, portando conseguentemente ad un’accettazione delle terapie, anche invasive e dolorose. Nel percorso di cura, risulta fondamentale l’impatto della dimensione relazionale, spirituale e religiosa sul rafforzamento della dimensione clinica. Questo avviene sia verso i ‘rappresentanti’ del mondo medico (medici, infermieri, pscicologi), sia nella condivisione dell’esperienza e nella vicinanza emotiva degli altri ammalati: l’88 per cento, infatti, dichiara di pregare, anche se talvolta raramente (20,3 per cento) per gli altri pazienti. Tra quanti pregano anche per gli altri malati, una percentuale, anche se minima (0,93%) si dichiara non credente. Per il 75,4% del campione intervistato, la risposta positiva alla malattia (miglioramento della propria condizione) può essere dovuta anche dalla speranza di guarigione, supportata da una corretta e continua informazione e dalla fiducia nel proprio medico e rafforzata dall’affetto della famiglia.
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