Milano / Malpensa
Sanità Lombarda, qualche riflessione
E’ noto come le azioni di propaganda che caratterizzano una campagna elettorale, creino un terreno fertile per lo scambio e il confronto non solo con i cittadini ma anche con Organizzazioni che rappresentano settori specifici, caratterizzati da dinamiche e peculiarità che richiedono non solo un ascolto finalizzato alla ricerca del consenso, bensì la costruzione di un confronto continuo e generativo.
In tale scenario UNEBA vuole qui rappresentare brevemente gli elementi cardine del sociosanitario lombardo che richiedono adeguata e competente attenzione come base del confronto.
Premessa
Le criticità, nel sistema dei servizi sociosanitari, portate drammaticamente in evidenza dall’epidemia COVID-19, si inseriscono in un contesto di sofferenza complessiva del sistema sociosanitario, che, in larga misura preesistevano e che si sono manifestate in modo più evidente e drammatico. Un sistema, fatto di servizi dedicati alle persone fragili, che inevitabilmente costituisce una parte fondamentale del sistema dei servizi territoriali, che nel corso degli anni si sono rivelati residuali rispetto al sistema dei servizi ospedalieri il cui disegno complessivo risale a 20 anni fa ha costretto nostri Enti a lavorare con bisogni nuovi, in rapida evoluzione, e con nuove aspettative degli utenti in servizi caratterizzati da forti rigidità definite in un tempo passato.
Nel tempo la richiesta degli utenti si è spostata da una domanda di “prestazioni” destinate a rispondere a specifici bisogni alla richiesta di percorsi “condivisi” e attenti alle dimensioni personali connesse alla relazione di “aiuto”. Oggi più di ieri ci viene chiesto di essere servizi “attenti” alle persone e alle loro famiglie più che ai semplici bisogni di natura sociosanitaria.
A quanto sopra sembra qui doveroso sottolineare come, per i servizi sociosanitari, la gran parte dei quali è oggi a compartecipazione, il protrarsi di una pesante situazione economica, determinata dal momento attuale, richiede un’attenzione specifica e continuativa da parte di Regione Lombardia in quanto potrebbero essere messi in discussione gli stessi principi definiti nei LEA.
UNEBA rinnova quindi con forza la richiesta di istituire un tavolo permanente per la programmazione della rete dei servizi sociosanitari in tutte le aree di intervento: anziani, disabili, salute mentale, minori, assistenza domiciliare e cure palliative. I tavoli regionali devono rappresentare il luogo in cui Regione, Associazioni di categoria e ATS possono costruire percorsi di riforma e rappresentano anche un’opportunità di confronto sull’interpretazione delle normative e per lo sviluppo di un sistema dei servizi coerente con i nuovi bisogni e le attese delle persone fragili e delle loro famiglie.
Abbiamo bisogno di una programmazione che dia una prospettiva temporale che consenta di organizzare i servizi realizzando gli investimenti in tutte le aree di intervento, e questo confronto deve considerare il sociosanitario non come un erogatore di prestazioni ma come un attore con cui co-progettare e co-costruire quella dimensione del territorio accogliente, capace cioè di farsi carico delle persone fragili e delle loro famiglie.
All’interno di tale scenario, si evidenziano alcune delle tematiche più rilevanti per UNEBA e i propri associati, che dovranno trovare spazio nella programmazione regionale e nelle azioni della prossima Giunta.
Parola chiave: qualità della vita
Il concetto di qualità della vita è un concetto forse abusato, ma è fondamentale porlo al centro della riforma dei servizi dedicati alle persone fragili e vulnerabili rendendolo effettivamente centrale nelle politiche sociosanitarie di tutela delle persone. Tutela che, che secondo noi, si basa sull’esigenza di spostare l’attenzione dai temi della fragilità della persona alla persona nella sua interezza, nella complessità della sua storia personale e familiare, nelle aspettative e attese soprattutto centrate sui suoi percorsi di relazioni sociali e affettivi che il sistema dei servizi deve necessariamente fare propri.
Parola chiave: domiciliarità
Stiamo assistendo ad un’importante e profonda riforma dei modelli di presa in carico domiciliare: la recente riforma che vede la riclassificazione del servizio ADI in servizio di Cure-Domiciliare va nella direzione del superamento di una logica prestazionale e nell’introduzione di un orientamento alla presa in carico dell’utente nel proprio contesto di vita. Tuttavia la delibera di riforma, pur caratterizzata da importanti modifiche sia relative alla valutazione multidimensionale che alla profilazione del bisogno e all’erogazione delle prestazioni, rischia di essere un moltiplicatore di prestazioni comunque insufficiente a garantire cure adeguate al domicilio per una popolazione fragile e pluripatologica. È opinione di chi scrive che un nuovo modello di presa in carico domiciliare, per superare la mera dimensione prestazionale, non possa prescindere dall’integrazione del nuovo servizio di Cure Domiciliari, con altre misure, sia di natura sociosanitaria che sociali già in atto che dovrebbero svilupparsi per permettere che la presa in carico si trasformi in un “progetto di vita” della persona fragile e dei suoi familiari.
Parola chiave: prossimità
L’attuale scenario pone il concetto di prossimità al centro della programmazione nazionale e regionale: la definizione di un diverso modello di sanità territoriale, fondato sull’integrazione fra ambiti sociale e sanitario e sulla partecipazione delle comunità territoriali alla definizione delle politiche e dei servizi, è infatti propedeutica all’attuazione di tale principio. Prossimità va qui intesa non solo nella sua dimensione territoriale, ma anche come elemento di natura psicologica. Siamo convinti che la “vicinanza” sia intesa non solo nella sua dimensione fisica, ma anche come atteggiamento del sistema dei servizi nella capacità di ascolto, di comprensione dei bisogni espressi e non solo, cui far corrispondere interventi in termini di servizi.
Se da un lato è evidente come il PNRR punti, nella missione 6, a ridisegnare completamente la medicina di prossimità in modo da essere più vicina alle persone, dall’altro non si dà evidenza del ruolo essenziale che le reti di offerta sociosanitaria possono ricoprire. Le strutture sociosanitarie, (si pensi ad esempio alle 715 RSA Lombarde), sono distribuite in modo capillare nei territori, anche i più impervi e sono spesso il punto di riferimento per la popolazione più fragile e cronica. Lo sviluppo del pensiero di prossimità non può, quindi, prescindere da un ruolo attivo del comparto sociosanitario e dei professionisti che in esso operano.
Parola chiave: multiservizi
Ed è proprio ragionando in termini di prossimità che, come anticipato al punto precedente, le nostre strutture possono e devono assumere un ruolo attivo non solo nella programmazione ma anche nell’erogazione di prestazioni specialistiche, focalizzate e calibrate sulla cronicità e sulle grandi fragilità. Le nostre strutture, a partire dalle RSA passando per la rete delle Unità d’Offerta per la disabilità (RSD o Comunità alloggio) per passare alla rete dei Servizi dedicati ai minori fino ad arrivare ai servizi per le persone in fase avanzata della malattia o dedicate a persone con dipendenze o della psichiatria, lavorano da tempo in un’ottica di filiera che, negli ultimi ann,i si è sviluppata sempre più verso il continuum assistenziale. Noi pensiamo che le strutture ed i servizi oltre che essere una risposta a specifici bisogni di specifiche persone siano un patrimonio del territorio capace di realizzare sinergie e comunicazioni tra i cittadini e i servizi in una logica nella quale sia possibile porsi, per i servizi – divenuti multiservizi – in relazione d’aiuto con le famiglie e le persone fragili.
Parola chiave: risorse
Il settore socio sanitario necessità di maggiori risorse finanziarie e del superamento della stagione delle sperimentazioni gestionali. Occorre definire e stabilizzare il contratto di filiera per ogni ente gestore e introdurre il budget di fragilità per ogni struttura e per ogni gestore. Incrementando le risorse in aderenza ai bisogni territoriali.
Occorre un piano di budget triennale nel quale ogni ente sia sviluppatore di risorse e di dimensione sociale nel territorio in stretta sinergia con la Pubblica Amministrazione e il mondo dell’associazionismo e del volontariato (Terzo Settore in chiave moderna). Il piano triennale di budget (unitamente al contratto triennale di filiera) rappresenta il budget di fragilità che ogni ente, nel suo territorio di appartenenza, deve condividere con il Piano di Zona, con la Conferenza dei Sindaci e con l’ASST/ATS (distretto, COT, Casa della Comunità) locale portando “a terra” e concretamente la rete socio sanitaria e la vera e reale integrazione. Ogni budget di fragilità è diverso ente per ente, deve essere flessibile, variabile, modulare e personalizzato perché deve contenere ciò che ha bisogno il territorio partendo dai settori e servizi residenziali e contenendo almeno un servizio a filiera; si supera il paradigma degli accreditamenti settoriali a “silos” e il girovagare degli accreditamenti sul territorio regionale. L’ente deve restituire al territorio la dimensione sociale, valoriale e dei servizi (contenendo i costi e le tariffe) rispetto a quanto il territorio ha fornito per la nascita e lo sviluppo di ogni ente, anche partendo dall’occupazione lavorativa.
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