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sabato 23 novembre 2024 | ore 23:29

Imparare dalla pandemia?

E' giusto aver paura di ciò che sta accadendo? Il Prof. Antonio Barberini, in videoconferenza, invita gli studenti del 'Torno' a non “sprecare” la crisi.
Salute - Persone in giro con le mascherine (foto internet)

E' giusto aver paura di ciò che sta accadendo? Che cosa penserebbe lo “storico intergalattico” immaginato da Eric Hobsbawm di come il nostro Pianeta ha gestito l'emergenza pandemia? In quale direzione si sta muovendo l'economia mondiale? Sono solo alcuni degli interrogativi attorno ai quali il Prof. Antonio Barberini ha articolato il suo intervento nel corso di una videoconferenza dal titolo “Cosa possiamo imparare dalla crisi pandemica?”, tenutasi nella mattinata di Giovedi 14 maggio sulla piattaforma digitale adottata dal “Torno” per la didattica a distanza.
Ex docente, responsabile del Dipartimento di storia del Centro “Filippo Buonarroti” di Milano, esperto di storia dell'economia e delle relazioni internazionali, Barberini ha intrattenuto gli studenti delle classi quarte e quinte dell'Istituto, stimolando una serie di riflessioni circa gli effetti della pandemia e la “lezione” che è possibile trarre dalla esperienza drammatica che stiamo vivendo.
I giovani italiani – ha sottolineato il relatore in apertura – sono i più pessimisti in Europa. Uno su due – ha riferito, citando i dati di un recente sondaggio – nutre scarse speranze in relazione al proprio futuro e ciò soprattutto alla luce delle conseguenze prodotte dalla diffusione del coronavirus nel nostro Paese.
L'ansia e la paura sono emozioni in parte giustificabili, data la situazione; se non dominate, tuttavia, impediscono di ragionare, compromettono la lucidità mentale e inibiscono l'azione. Che fare, dunque? Come reagire?
<>: facendo propria la celebre formula del filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-1677), il professore ha suggerito agli studenti una preliminare e assai preziosa indicazione di metodo.
Le pandemie – ha spiegato - sono una costante nella storia dell'umanità. Nell'ultimo secolo se ne sono verificate almeno cinque. Oltre ad essere frequenti, esse risultano, a quanto pare, abbastanza prevedibili. Se ben affrontate, dunque, i loro effetti possono essere di molto ridotti. Se ben affrontate, appunto.
Purtroppo – ha osservato Barberini - ogni nazione non solo ha combattuto per conto proprio, ignorando deliberatamente le esperienze delle altre, ma ha cercato addirittura di strumentalizzare la pandemia a fini propagandistici.
Ripensando alle pagine iniziali del saggio di Hobsbawm (Nazioni e nazionalismi. Programma, mito, realtà, Einaudi, 2002, ndr.), questa vicenda risulterebbe assai difficile da spiegare ad uno storico intergalattico improvvisamente sceso sulla Terra. Come concepire, del resto, un mondo frammentato in centinaia di Stati, ciascuno dei quali arroccato entro i propri confini e sempre più affaccendato ad erigere muri per tener dentro o, più spesso, per tener fuori le persone? Diciamocelo: anche noi “terrestri”, talvolta, facciamo fatica a comprenderlo...
La crisi peggiore nel momento peggiore.
E' questa, probabilmente, la definizione più appropriata, nella sua apparente banalità. Citando il diplomatico americano Richard Haass, Barberini ha sottolineato la portata gigantesca dell'attuale crisi pandemica, paragonabile all'effetto distruttivo degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2011 sommato alle conseguenze della grande recessione, iniziata negli USA dal crollo dei mutui subprime e proseguita su scala mondiale almeno sino al 2013.
Nel prosieguo del suo intervento, il professore ha fornito ai ragazzi uno schema semplice ed efficace per orientarsi fra le assordanti e confuse chiacchiere dei media in materia di shock economico da Coronavirus. Il lockdown ha innescato una recessione di dimensioni a dir poco allarmanti per il cedimento della domanda e dell'offerta aggregate. Centinaia di migliaia di aziende sono candidate al fallimento, il numero dei disoccupati è destinato a salire vertiginosamente, milioni di persone stanno entrando nel circuito della povertà.
Per impedire il collasso delle loro economie, i governi nazionali sono costretti a prendere a prestito denaro dai mercati, pagando interessi. Per non pagare interessi troppo elevati hanno bisogno della garanzia delle Banche centrali (per l'Italia e l'Europa è la BCE ad acquistare i titoli di Stato). Ma questi debiti andranno ripagati prima o poi. Quello che ci apprestiamo a lasciare in eredità ai giovani, in definitiva, è un mondo sommerso dai debiti.
Come salvarsi? In barba ai sovranismi, l'Europa potrà farcela solo restando unita. E noi con lei. In preda da tempo ad un calo progressivo di tensione e di interesse, riguardata con sempre maggior scetticismo e indifferenza da gran parte dell'opinione pubblica, quando non apertamente avversata e vituperata, l'Europa è il solo baluardo difensivo che ci resti. Fuori dall'Europa, l'Italia non avrebbe alcun tipo di credito presso gli investitori stranieri e rischierebbe il default.
Non sembra esserci molto da stare allegri, ma nonostante tutto il prof. Barberini ha inteso concludere in tono confortante, con l'invito rivolto ai ragazzi a non “sprecare” la crisi, ad impiegare questa fase come occasione per immaginare un mondo diverso, trovare nuove strade, creare nuove opportunità.
La scienza – ha assicurato - vincerà la battaglia contro il virus ed avremo il vaccino. La vittoria avrebbe certo potuto essere più rapida se i singoli Stati avessero rinunciato, almeno per una volta, a difendere i propri interessi particolari (con oltre un centinaio di laboratori sparsi nel mondo lanciati nella corsa al “preparato” vincente), dedicandosi concordemente a risolvere i problemi dell'umanità intera.
Ma in tutta questa triste vicenda risuona, infine, una nota positiva, e questa viene dall'altruismo che hanno saputo dimostrare i medici e gli operatori sanitari, impegnati in prima linea nella battaglia contro il nemico invisibile, e in generale i lavoratori che hanno garantito i beni e i servizi essenziali alla metà di popolazione mondiale chiusa in casa. Ma soprattutto l'elemento che ci deve far più sperare – ha sottolineato il relatore - è quel 3% degli italiani che ha scelto di mettersi al servizio dei più fragili e bisognosi. Sembra niente? Si tratta di un vero e proprio esercito di volontari: 2 milioni di persone, tra cui moltissimi giovani. In loro sicuramente il nostro storico intergalattico avrebbe riconosciuto un elemento di grande speranza per il futuro dell'umanità.
Inutile nasconderselo: l'avvenire non si preannuncia roseo. Quella che stiamo vivendo, come ha sottolineato di recente anche Papa Francesco, non è tanto un'epoca di cambiamenti, quanto un autentico e radicale cambiamento d'epoca. Ci stiamo muovendo faticosamente verso nuovi equilibri, la cui sostanza non è, ad oggi, chiaramente identificabile. Spetterà ai giovani costruire un mondo nuovo, più umano, più sano e vivibile per tutti e non sarà affatto un'impresa facile. Ma come recita un proverbio africano: “chi vuol fare qualcosa sul serio trova una strada; gli altri trovano una scusa”.

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