Milano / Malpensa
"Io, inviato e direttore..."
- 18/03/2016 - 16:34
- Attualità
- Televisione
Uno dei volti storici e tra i più conosciuti del giornalismo, in Italia, ma in fondo in tutto il mondo. Un punto di riferimento dell'informazione per anni ed anni. "No, chiamami più semplicemente Emilio Fede". Eh già, incontrarlo l'altro giorno, per chi come me vuole provare proprio a fare strada in questa professione, è stata un'occasione e un'opportunità unica e importante. Allora, grazie e ancora grazie direttore. Ottantarè anni (e mezzo), con lei sarebbe riduttivo parlare soltanto di ciò che tutti conoscono, quindi le chiedo... a quanti anni ha cominciato? “Siamo nel ’46 ed ero un ragazzino quando nella mia terra, la Sicilia, ci fu uno dei grandi terremoti dell’Etna. Spinto da una grande curiosità, quindi, mi recai a Bronte per riportare quanto stava avvenendo. Lì incontrai una troupè che svolse il primo servizio a colori”. L’allora bambino Emilio Fede, sotto suo espresso interesse, ebbe l’opportunità di “spingere il mulo” giacchè un operatore era poliomelitico. “In seguito questa esperienza si rivelò molto similare nella mia carriera”. Ed è a quel punto che si precipitò a contattare il Corriere, fingendo di essere un giornalista, e propose la sua cronaca in diretta dall’Etna. Da quel primo contatto ne seguirono altrettanti e molti ancora, tanto da vederlo sul pezzo di testate di prestigio, tra le quali la Gazzetta del Popolo che lo inquadrerà come “primo inviato speciale”. Il primo incarico da direttore, poi, arrivò nel 1976 e per cinque anni rimase alla conduzione del TG1, consacrandosi ufficialmente come “il primo della conduzione a colori”. Quindi, qualche tempo dopo eccola a Rete A, dove fondò il TgA, per poi cominciare la sua straordinaria carriera in Fininvest. Un direttore che raccomandava ai suoi inviati di “portare con sè un cestino per buttarci gli aggettivi”, le cose di troppo e di “affidarsi al momento, senza copioni nè discorsi preimpostati”. Una serie di consueti appuntamenti con la coincidenza, a braccetto con la bravura di una giovane promessa del giornalismo tutto italiano che lo portarono negli anni ’60, e per otto lunghe e travagliate primavere, a ricoprire il ruolo di inviato speciale in Africa. E alla domanda “Qual’è stato il ricordo giornalistico che più di tutti porta nel suo cuore della sua carriera?” "Certamente in tanti viaggi con la valigetta tenuta sempre dietro la schiena, le numerose interviste ai grandi personaggi del mondo e la visita a Papa Giovanni Paolo II - dice guardando la foto che li ritrae insieme, ai tempi in cui rappresentava il volto delle cronache di guerra, in particolare quella del Golfo, da lui per primo annunciata il 17 gennaio del ‘91". Però i suoi orgogli non sono terminati e mentre giro il terzo foglio del blocco, Fede mi chiede di attenderlo un secondo. Pochi istanti ed eccoli comparire di nuovo in salotto con una sciarpa bianca, la sciarpa che gli ha consegnato il Dalai Lama. "Era un segno di amicizia - ricorda". Tanti, alla fine, gli amici incontrato strada facendo, tutti ben descritti nel suo libro ('Se tornassi ad Arcore', Marsilio Editori) uscito un paio di mesi fa e che è stato preso d'assalto in moltissime librerie. "Le cose sono due: o hanno buttato tutte le copie oppure le hanno davvero vendute", scherza l'autore che nelle sue 86 pagine racconta le avventure con Montale, Calvino e altri colossi della storia italiana. Con tutti questi oracoli e una carriera, basata molto sulla sua abile intuizione, come trascorre le giornate? “Devo dire che il mio tempo lo dedico anche alle Onlus, ma mi rendo conto che oggigiorno è venuta a mancare una cosa che prima era di primaria importanza: la solidarietà. Ricordo ancora un episodio di quando ero alla conduzione del TG4: mi chiamò il comandante della Polizia di Bisceglie per comunicarmi la morte di una donna. Io non conoscendola ho chiesto come mai di questa segnalazione, al che mi disse che la defunta aveva lasciato una lettera in cui venivo citato come una persona che nell’arco della sua vita l’è stato di grande aiuto, nonostante fosse dallo schermo, e che mi rendeva il benefattore di due case e qualche centinaio di euro. Ecco, quell’importo lo girai interamente ad un’associazione del suo paese che ne aveva bisogno”. Emilio Fede guarda al sociale e lo fa con particolare attenzione ai giovani, come quello che durante l’intervista lo ha contattato al cellulare per alcuni spunti sulla maturità. “Sempre più allo sbando e con le armi della tecnologia in mano, i giovani delle nuove generazioni vanno condotti all’educazione e guariti dal virus della violenza e dell’invidia. Questo problema l’ho sottoposto anche a Renzi”. Per concludere, quando pensa alle “scarpe da appendere al chiodo” enfatizza dicendo che ogni mattina controlla se sui necrologi c’è il suo nome, dopodichè se non risulta va in bagno e si fa la barba. “Mi sento di aver fatto tutto e non ho rimpianti, ma per precauzione tengo il telefono spento prima che possa arrivarmi quella chiamata”, ironizza il direttore che ride alla battuta “Dunque se non dovesse rispondere alla mia, so che è occupato allo specchio”.
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