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Cancel culture
- 16/03/2022 - 10:19
- Attualità
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“La locuzione ‘cancel culture’ (in italiano cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio) è usata per indicare una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di indignate proteste e di conseguenza estromesso da cerchie sociali o professionali, sia online sui social media che nel mondo reale, o in entrambi.” Questa è la definizione che potete trovare su Wikipedia se andate a cercare la voce: “Cancel culture”. Ma che cos’è veramente la cancel culture? Un movimento politico? Una reazione di protesta contro il razzismo e le colpe dell’occidente bianco? O forse un’astuta mossa dei potenti per zittire ed omologare le masse? In questo articolo cercheremo di trattare un tema complesso e dalle varie sfaccettature; un tema al momento in perenne evoluzione e dagli esiti alquanto incerti, che potrebbero contribuire al progresso dell’umanità o alla sua disastrosa regressione ai periodi più bui che hanno caratterizzato la sua storia.
Un po' di storia
Il termine ‘Cancel culture’ si è diffuso a partire dal 2017 dal cosiddetto ‘Black Twitter’ (una comunità informale su Twitter composta per lo più da utenti afroamericani) e definiva inizialmente lo smettere di dare supporto a una determinata persona, con mezzi come il boicottaggio o la mancata promozione delle sue attività. Ciò nel tentativo di danneggiare anche economicamente quella persona, giudicata moralmente o socialmente deprecabile; in realtà questo tipo di fenomeno è molto più antico di quanto sembri. Già ai tempi dell’impero romano era in voga la pratica della “damnatio memoriae”, una pena riservata ai traditori e ai nemici del senato romano, che consisteva nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se essa non fosse mai esistita. Questa pratica si ampliò ulteriormente nel medioevo, con i processi della santa inquisizione contro i nemici della chiesa, etichettati come eretici. Ma torniamo ai nostri tempi e concentriamoci sui quattro tipi di ‘cancel culture’ che hanno caratterizzato la storia dagli anni Sessanta in poi.
1) Quella del fanatismo religioso, che in nome del proprio Dio vuol radere al suolo, desertificare, ogni altra civiltà, cultura, tradizione e religione. Nei nostri anni questo fanatismo è stato principalmente islamista, con la distruzione di monumenti e chiese dedicati a Buddha e Cristo, alle civiltà antiche, templi e biblioteche.
2) La pretesa del totalitarismo ideologico che nel nome di un’utopia vuole abolire la realtà e ridurre il passato. Come disse Mao Tse Tung: “a una pagina bianca”. Nei nostri anni questo fanatismo ha avuto soprattutto una matrice comunista, perché il nucleo del comunismo, lo dice Marx, è abolire la realtà.
3) Il suprematismo economico e tecno-militare che nel nome della potenza ha cancellato impunemente vestigia di civiltà in Medio Oriente, in Mesopotamia, ovunque, con l’imperialismo americano. Si pensi solo alla guerra del Golfo, le bombe sui luoghi sacri o sulle opere d’arte, distruzioni e profanazioni.
4) Il ‘politically correct’ nato sull’onda del Sessantotto, oggi imperante, che cancella tutto quanto non rientri nei suoi paradigmi su gender, razze, sessi, linguaggi.
Quattro diverse espressioni di un analogo abolizionismo radicale. Qual è il loro punto in comune? Elevano un punto di vista – religioso, ideologico, imperiale, politico-morale – ad assoluto: tutto viene relativizzato rispetto a quel punto di vista, e tutto può essere rimosso e cancellato in suo nome. Mutano i riferimenti temporali: i fanatici religiosi sacrificano ogni storia e ogni tradizione altrui sull’altare dell’eternità del loro Dio; i totalitari politici sacrificano ogni altra cultura al sogno della società perfetta nel nome del futuro; i suprematisti compiono il reset della tecnica sulla cultura nel nome della potenza, decretando la fine della storia; i fautori del ‘politically correct’ cancellano ogni passato e ogni tradizione non conforme al catechismo d’oggi. Queste quattro tipologie di ‘cancel culture’ sono la causa principale che frena il naturale progresso dell’occidente, e che rischiano di farlo regredire a modelli ideologici ormai vecchi, superati e potenzialmente autodistruttivi; modelli che invece di rafforzare le democrazie occidentali le corrodono dall’interno e le rendono più vulnerabili nei confronti delle così dette “civiltà guerriere”; gruppi etnici che non hanno avuto i nostri stessi processi di civilizzazione e che sono cresciuti con un forte risentimento nei confronti dell’occidente, che secondo la loro distorta visione del mondo sarebbe la causa principale di tutte le loro sventure.
L’arte di manipolare la realtà
Come è possibile che la gente accetti la soppressione dei propri usi e costumi in favore del conformismo di massa? Come disse una volta H. P. Lovecraft: “il sentimento più forte e potente della natura umana è la paura. E la paura più grande è quella dell’ignoto”; il succo della questione è tutto qui, basta dare alla gente qualcosa di cui avere paura, qualcosa da temere, da evitare. Grazie a questo meccanismo chiunque può manipolare la realtà che lo circonda e assoggettare le masse al suo volere; e questo non vale solo per i regimi autoritari di stampo fascista, comunista o fondamentalista religioso; anche le democrazie liberali sono affette da questa grave stortura politico-ideologica. L’esempio più comune lo si vede nel nostro paese, con il quotidiano scontro tra destra e sinistra: se ci fate caso noterete che il mantra che guida la sinistra è: “dobbiamo fermare la destra” mentre quello della destra è: “dobbiamo fermare la sinistra”. Ambedue i partiti puntano tutti i loro sforzi per infangare l’altro, senza rendersi conto che questo eterno scontro ideologico non fa altro che alimentare l’antipolitica, le spaccature sociali, e l’odio dei cittadini nei confronti delle istituzioni politiche. Come è possibile che nonostante questo tira e molla eterno, la gente non si ribelli a questa condizione di vita? Come scrisse una volta il grande scrittore satirico Decimo Giunio Giovenale: “il popolo due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi circensi”.
Il popolo italiano è talmente assuefatto a questo semplice principio che finché il governo gli fa trovare la bistecca pronta nel piatto tutte le sere, esso non morderà mai la mano che lo nutre. Gli italiani sono troppo presi a parlare di partite di calcio, di serie televisive, di sfilate di moda, di videogiochi e dell’ultimo film di James Bond; il risultato è che si dimenticano di parlare di cose serie come la politica, le crisi migratorie e il cambiamento climatico. I discorsi seri si perdono nel marasma della spettacolarizzazione che caratterizza la cultura occidentale, gli eventi drammatici e catastrofici diventano puro intrattenimento e al contempo clava con cui colpire un determinato gruppo etnico, politico e ideologico. Nessun italiano darà mai la colpa dei suoi problemi allo stato padrone che lo nutre e lo intrattiene, darà la colpa a quelli che lo stato dice di temere e odiare. Che siano migranti, fascisti, comunisti, leghisti, omosessuali, anarchici o altro, lo stato non darà mai la colpa a se stesso, poiché lo stato è perfetto, è infallibile e soprattutto ha sempre ragione.
Cecità ideologica
Perché l’uomo forte al comando non si accorge del male che sta facendo al popolo? Perché chi lo spalleggia non cerca di farlo ragionare? E perché il popolo nonostante la sua sofferenza accetta tutte le direttive che arrivano dall’alto senza fare niente per impedire i soprusi e le ingiustizie di cui è vittima? Molti studi hanno concordato che alla base di questo fenomeno di omertà generale, si trova una determinata condizione psicologica che può essere definita come ‘Cecità Ideologica’. Il soggetto è talmente accecato dalla sua visione del mondo perfetto che ignora la realtà che lo circonda, convincendosi che è egli stesso a dominare la realtà. Quelli che spalleggiano tali soggetti sono per la maggior parte collusi con essi, o in altri casi hanno il timore di essere bollati come traditori e di finire reclusi a vita o peggio. Il popolo invece subisce una sindrome di Stoccolma generale, che lo trasforma in gregge, e che denuncia ogni effrazione commessa dai soggetti non allineati con la visione dell'élite dominante. Nel corso della storia abbiamo avuto molti esempi di cecità ideologica, non solo nei regimi totalitari, ma anche nelle nazioni democratiche (si pensi al Maccartismo o al Trumpismo). Per citarne uno: durante il periodo del grande balzo in avanti, il presidente Mao mise in atto delle assurde politiche agricole che portarono a una carestia devastante. Oltre tutto questa carestia fu aggravata dalla campagna di eliminazione dei cosiddetti quattro flagelli capitalisti, ossia: i ratti, le zanzare, le mosche e i passeri. Secondo la folle visione di Mao, questi animali erano dei parassiti insidiosi asserviti al capitalismo occidentale, che combattevano contro il popolo cinese al fine di causare malattie e magri raccolti. È risaputo che i ratti, le zanzare e le mosche sono animali parassitari portatori di malattie, il guaio è che tra questi suddetti parassiti capitalisti, c’era anche il passero comune; esso è molto importante per l’ecosistema, poiché si nutre di piccoli insetti parassitari. Lo sterminio dei passeri, porto ad un rapido incremento della popolazione degli insetti, in particolare: delle locuste, dei bruchi e delle cimici. Interi raccolti vennero devastati da questi eserciti in miniatura, e mentre i contadini lottavano per debellare questa piaga, ad aggravare ancora di più la situazione ci pensò la massiccia industrializzazione forzata imposta da Mao. A causa delle numerose fornaci per la produzione dell’acciaio sparse in tutto il paese, (che portarono a una massiccia deforestazione del territorio rurale) il terreno si impoverì ulteriormente e divenne più soggetto a inondazioni e smottamenti. Oltretutto Mao aveva anche incentivato la caccia ai ratti dicendo al popolo che se avessero consegnato alla fine dalla giornata un certo numero di code di ratti, essi sarebbero stati ricompensati con una somma in denaro equivalente al numero di code di ratti uccisi. A causa di questa ennesima direttiva completamente folle sorsero centinaia di allevamenti clandestini di ratti, che portarono allo scoppio di epidemie di Peste e Tifo. Il numero esatto delle vittime del grande balzo in avanti è tuttora sconosciuto. Ciònonostante esso è forse il più fulgido esempio dei danni che può fare la cecità ideologica: un gruppo di uomini e il loro leader illuminato che credono di avere tutto sotto controllo, quando in realtà la loro è solo un’illusione di potere assoluto, e che in questo caso portarono a una delle più devastanti carestie che colpirono il continente asiatico nel corso de XX secolo.
Una cultura non allineata con il potere dominante
La ‘cancel culture’ ha come obiettivo principale la soppressione delle identità nazionali, dei liberi pensieri e delle culture non allineate con il potere dominante, al fine di appiattire il tutto a un così detto pensiero unico; questo termine venne cognato nel 1995 da Ignacio Ramonet, scrittore e giornalista spagnolo, direttore del periodico francese ‘Le Monde diplomatique’ dal 1991 al 2008. Esso sostiene che la concezione del pensiero unico sia essenzialmente una ideologia vuota, edificata al solo scopo di difendere gli interessi degli ultramilionari. Oggi molti studiosi, filosofi, politici e giornalisti sostengono che il suddetto pensiero unico non sia altro che una pseudoscienza che rischia di fare dei danni gravi, anziché portare benefici per tutti. Un esempio dei danni che causa una sola visione del mondo lo abbiamo nell’America degli anni cinquanta: un periodo considerato da tutti perfetto e idilliaco, in realtà le cose erano tutt’altro che serene. Secondo la visione del cosiddetto ‘Sogno Americano’ attraverso il duro lavoro, il coraggio, la determinazione è possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica a condizione di creare la famiglia perfetta. Ossia un lavoro stabile, la casa, la macchina, una moglie fedele, i figli ubbidienti e il padre come figura di riferimento che ha sempre la risposta a tutti i problemi. Naturalmente la realtà era molto distante da quello che raccontavano i cartelloni pubblicitari, i film e le prime serie TV di quel periodo, ma molti pubblicitari e produttori di Hollywood erano convinti che se offrivano al grande pubblico la loro visione del mondo, essa sarebbe diventata la realtà. Nel tentativo di seguire il modello della famiglia perfetta molti nuclei famigliari andarono incontro al disastro nel vano tentativo di replicare quello che la cultura di massa del periodo propinava a loro come unico modello da seguire. Innumerevoli furono i casi di divorzio e abbandono del tetto coniugale, per non parlare dei numerosi femminicidi commessi da mariti violenti (per la maggior parte con problemi di alcol) che sospettavano un tradimento da parte della loro compagna. Le donne lasciate sole in casa a sgobbare tutto il giorno, andarono incontro ad attacchi di isteria e depressione, che culminarono o con il ricovero in clinica o con il suicidio. I giovani cresciuti alla fine dell’era post-bellica e l’inizio di quella atomica erano tutt’altro che ubbidienti. Molti film del periodo mostravano i giovani teenagers americani come bravi boy scout rispettosi delle leggi, fino all’arrivo del film ‘Gioventù bruciata’ di Nicolas Ray. Nel film viene mostrato per la prima volta il dramma vissuto dagli adolescenti del periodo: i conflitti famigliari, la violenza, il bullismo, le incomprensioni con le autorità, il malessere e il disincanto di una generazione cresciuta con una ideologia che non li rappresenta e che vede in loro solo una copia dei genitori già asserviti a essa. Oltre ai problemi già esistenti, si aggiunse anche la folle caccia ai comunisti del senatore McCarthy e la campagna contro la corruzione dell’innocenza dello psichiatra Fredric Wertham. Se il primo con la sua folle crociata anticomunista causò dei gravi danni a livello economico e sociale, il secondo con il saggio ‘La seduzione dell’innocente’ causò un’ondata di protezionismo isterico nei confronti dei giovani. Nel saggio, Wertham sosteneva che a causare la violenza nei ragazzi e negli adolescenti fossero i fumetti a sfondo macabro e violento, editi principalmente dalla EC Comics. Queste accuse si concretizzarono in campagne denigratorie, volte a boicottare la vendita e la pubblicazione di tali fumetti; si arrivò addirittura alla messa al rogo dei fumetti sulla pubblica piazza nelle periferie di tutto il paese. Il caso arrivò anche in commissione al senato, e nonostante il rapporto finale della Commissione non avesse accusato i fumetti di alcun crimine, fu raccomandato che gli editori di fumetti rendessero (spontaneamente) meno forti i contenuti degli albi. Probabilmente questa fu considerata una velata minaccia di censura, tanto da spingere gli editori a creare la Comics Code Authority (ossia: Autorità del codice fumettistico) perché si occupasse di una sorta di autocensura. Questo clima di oppressione e conformismo asfissiante, scatenò una forte ondata reazionaria da parte delle nuove generazioni che, nel tentativo di opporsi alla cultura di massa del periodo, ne crearono una propria. La controcultura nacque come forma di resistenza al conformismo degli anni cinquanta, che culminò con le rivolte studentesche nel sessantotto. Oggi la controcultura è stata largamente assorbita dalla cultura di massa e assoggettata alle leggi del mercato. Essa è degenerata in una nuova forma di moralismo di stampo conformista, che ha fatto del politicamente corretto la sua bandiera e che periodicamente si scaglia contro tutti quei comportamenti che giudica fascisti, razzisti, sessisti, omofobi e conservatori. Tutto ciò è altamente controproducente, poiché invece di pacificare e conformare, crea ancora più divisione, odio e forme di dissimilazione che possono degenerare in estremismo politico. Come detto sopra, non serve a niente reprimere o censurare i comportamenti non conformi alla cultura di massa, poiché essi troveranno un modo per emergere in superficie e scatenare la loro furia nei confronti del potere dominante.
Il fallimento del pensiero unico globalista
Lo scorso agosto il mondo intero ha assistito alla drammatica ritirata dall’Afghanistan da parte dell’esercito americano. Dopo anni di guerra tutto si è concluso con quella che gli storici stanno già definendo come la più grande sconfitta americana dai tempi del Vietnam, che rischia di avere conseguenze gravi in un lontano futuro. Ma come si è arrivati a questo epilogo disastroso? I motivi sono molteplici, ma il primo di tutti rimane l’aspetto culturale sviluppatosi in questi anni di conflitto. Come l’ex Unione Sovietica non è riuscita a instaurare il socialismo in una società tribale con la forza della baionetta, così gli Stati Uniti dopo vent’anni di guerra non sono riusciti a impiantare lì il proprio modello di democrazia liberale, per il semplice fatto che la maggioranza della popolazione afghana vedeva tale modello come un’ideologia imposta con la forza da un movimento d'occupazione straniera, e che cozzava con i loro principi religiosi e culturali. Complice di questo clima di malcontento generale è stata anche l’estrema corruzione e incompetenza del governo afghano, che non è stato capace di conciliare e unificare il popolo sui principi e gli aiuti offerti dal governo statunitense. Il risultato è stato lo sviluppo di una controcultura celata sotto la superficie della società afghana, che è esplosa quando gli americani hanno incominciato la ritirata dal paese. La tragedia del popolo Afghano non è soltanto una sconfitta sul piano bellico, ma è anche una sconfitta sul piano morale, poiché dimostra che è impossibile esportare una sola visione del mondo a livello globale.
Perché cerchi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello?
Manipolazione, sottomissione, cancellazione; questi sono i tre principi che l’occidente sta pericolosamente abbracciando negli ultimi tempi, e che rischiano in un prossimo futuro di minare le fondamenta della civiltà occidentale dall’interno e causarne il definitivo crollo. Al giorno d’oggi la democrazia non è mai stata così in pericolo come in passato. Con l’avvento di internet e dei social media, siamo letteralmente diventati i controllori di noi stessi e degli altri, dando vita a uno dei tanti incubi immaginati da George Orwell e Philip K. Dick. “Perché” come diceva Gesù “cerchiamo la pagliuzza nell’occhio dei nostri fratelli e non vediamo il trave che è nel nostro?” Siamo talmente occupati ad accanirci su un solo soggetto, che dimentichiamo i veri problemi che affliggono la società civile, come: il crollo demografico galoppante, i dissesti idrogeologici del territorio, l’immigrazione clandestina selvaggia, l’inquinamento delle metropoli, e lo strapotere delle banche e delle multinazionali straniere. In questo clima di instabilità globale, la ‘cancel culture’ sta ulteriormente aggravando i conflitti già presenti nella nostra società, con il rischio che essi si concretizzino nel prossimo futuro in una controcultura antioccidentale, che come la controcultura degli anni sessanta, rischia di esplodere con una potenza devastante, ponendo le basi per una nuova era di secoli bui ipertecnologici. L’occidente deve assolutamente imparare dai propri errori, e per farlo non deve cancellare il suo passato perché lo ritiene inadatto alle nuove generazioni, ne tanto meno esaltarlo o glorificarlo. In questo momento storico, l’ occidente deve smetterla di penalizzare se stesso, se vuole risolvere i suoi problemi interni e percorrere quella strada di pace e progresso che sbandiera da anni; e per farlo deve capire che questa non è più una battaglia tra buoni e cattivi, è una battaglia tra la civiltà e l’anti-civiltà, tra la ragione e l’anti-ragione, tra la vita e l’anti-vita.
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