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domenica 24 novembre 2024 | ore 12:22

Tre nuovi beati in Diocesi

Un sacerdote del lecchese lodato ne 'I promessi Sposi' , una suora miracolata 'mamma' dei carcerati, un'instancabile missionario in Birmania: domenica 26 giugno saranno beatificati in Duomo. Conosciamoli meglio.
Milano - I tre nuovi beati ambrosiani

Cosa hanno in comune Alessandro Manzoni, il carcere di san Vittore e la Birmania? Apparentemente ben poco. In realtà sono alcuni degli elementi che caratterizzano e identificano i tre nuovi beati della Diocesi di Milano. Il 26 giugno in piazza Duomo a Milano saranno beatificati tre cristiani che sono stati riconosciuti dalla Chiesa come esempi di fede; hanno operato in tempi, luoghi e missioni diverse traducendo nella vita quotidiana l'amore universale di Gesù. Si tratta di don Serafino Morazzone, sacerdote di grande carità e confessore di Manzoni, suor Enrichetta Alfieri, angelo per i detenuti di san Vittore, e padre Clemente Vismara, il patriarca della Birmania.
Conosciamo meglio queste tre prossimi beati, già amati e invocati da tanti fedeli.

Don Serafino Morazzone (Milano 1747- Chiuso 1822) era figlio del gestore di un negozio di granaglie proveniente da Arluno; nato in una famiglia numerosa e povera, lavorò in Duomo per pagarsi gli studi e divenne sacerdote ambrosiano spinto da una grande vocazione. Per 49 anni fu parroco di Chiuso, piccolo paese in provincia di Lecco; si contraddistinse per la profonda preghiera, la disponibilità, l'umiltà e la carità infinita verso i più bisognosi, gli ammalati i bambini analfabeti. Fu confessore di Alessandro Manzoni, che lo citò tessendone le lodi nel 'Fermo e Lucia' (antesignano de 'I Promessi Sposi') nell'episodio ambientato a Chiuso della conversione del Conte del Sagrato (colui che poi sarà l'Innominato). La gente di tutto il lecchese lo ha sempre chiamato beato e gli ha attributo diversi miracoli; il più significativo è la guarigione di un bimbo affetto da gravi malformazioni chiamato Serafino in suo onore.

Suor Enrichetta Alfieri (Borgo Vercelli 1891- Milano 1951) apparteneva alla Congregazione delle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret. Si ammalò gravemente della sindrome di Basedow-Graves, una malattia progressiva che porta alla paralisi e alla morte. Nel 1923 in fin di vita bevve un sorso dell'acqua del santuario mariano di Lourdes e subito guarì miracolosamente. Per allontanarla dalla curiosità popolare e per sottoporsi a esami medici più approfonditi, venne mandata nel carcere di san Vittore. Divenne per tutti l''angelo', la 'mamma' di san Vittore; per i detenuti e le detenute aveva sempre una parola di conforto e un gesto d'amore, perseguendo la missione di “far rinascere la speranza cristiana nel cuore dell'uomo disperato”. La conobbero anche i famosi Mike Bongiorno (oriundo americano rientrato illegalmente in Italia) e Indro Montanelli. Scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, collaborò con l'opera del cardinal Schuster per proteggere le vittime. Nel 1944 una detenuta di origine armena la convinse a recapitare ai suoi famigliari un bigliettino per salvare i fratelli ricercati; intercettata, venne accusata di spionaggio e detenuta per 11 giorni. Grazie all'intervento del Cardinal Schuster e di un amico di Mussolini fu graziata dalla fucilazione o dalla deportazione in Germania e condannata al confino. Tornò a san Vittore nel 1945 fino alla morte. Tante le testimonianze dei detenuti che hanno conosciuto suor Enrichetta e il suo immenso amore. Le è stata attribuita la miracolosa guarigione nel 1993 di Stefania Copelli, una ginnasta diciottenne colpita da un tumore devastante; ora Stefania è mamma di due bimbi e sarà in Duomo con tutti i devoti di suor Enrichetta.

Padre Clemente Vismara (Agrate Brianza 1897- Myanmar 1988) ci porta nelle lontane terre del Sud Est Asiatico. Figlio di una cucitrice e un sellaio, orfano giovanissimo, combatté in trincea da seminarista durante la prima Guerra Mondiale. Nel 1920 entrò nel Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) e partì nel 1923 per la Birmania. Con entusiasmo e fatica raggiunse foreste incontaminate e villaggi poverissimi per fondare e gestire missioni, con in testa e nel cuore l'idea che “la vita ha un valore solo se la si dona agli altri”. Visse in missione 64 anni pieni di avventure e difficoltà affrontate con il sorriso e la pipa sulle labbra; costruì chiese e orfanotrofi, incrementò le vocazioni con il suo esempio e assistette le popolazione in tutto e per tutto nonostante i problemi dovuti alla sempre precaria situazione politica. Sepolto tra la sua gente in Birmania (attuale Myanmar) ne è considerato il 'patriraca'. A padre Clemente viene attribuita la guarigione improvvisa e senza conseguenze di un ragazzino di 8 anni caduto da un albero dell'orfanotrofio della missione di Mong Yaung. Nel 1998 Joseph Tayasoe cadde procurandosi una profonda ferita alla testa ed un gravissimo trauma cranico; trasportato in monociclo all'ospedale, restò in coma per diversi giorni fino al suo risveglio improvviso e inspiegabilmente senza alcuna conseguenza.

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