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sabato 21 dicembre 2024 | ore 17:13

Cinema lisergico

Sei film psichedelici che hanno fatto la storia del cinema. Un viaggio all’interno di sogni allucinati e visioni da incubo che hanno segnato e inspirato un’intera generazione.
CINEMA - Pellicola cinematografica colorata

Vi è mai capitato di andare al cinema per poi uscire dalla sala con la sensazione di aver appena assunto una droga psicotropa? Se la risposta è sì, allora molto probabilmente avete visto un film appartenete al genere psichedelico. Esploso sul finire degli anni sessanta con film come ‘2001: odissea nello spazio’ e ‘Yellow Submarine’, il cinema psichedelico, ha radici molto più profonde di quanto si creda. Bisogna infatti risalire ai primi del novecento e al cinema di Georges Méliès, per trovare i primi esempi del genere: nei film di Méliès, noto principalmente per essere il pioniere degli effetti speciali, il confine tra fantasia e realtà si assottiglia, fino a diventare un sogno a occhi aperti: le teste si gonfiano a dismisura, i dipinti prendono vita, gli scheletri ballano e la luna ha un volto umano il cui occhio viene centrato da un proiettile; da questo punto di vista, Méliès fu il primo a tentare di trasporre i sogni su pellicola, ma la vera svolta psichedelica avverrà decenni dopo, grazie alla copia formata da Luis Buñuel e Salvador Dalì. ‘Un cane Andaluso’ (anche noto come ‘Un chien andalou’), è stato il primo vero esempio di cinema psichedelico d’avanguardia, dove il futuro regista spagnolo e il grande pittore surrealista, danno sfogo alla loro immaginazione e creatività. Il film (strutturato come un sogno) ha l'obiettivo di provocare un impatto morale sullo spettatore attraverso l'aggressività delle immagini, offensive per l'epoca. È una temperie di assurdità, suggestioni oniriche, e stranezze varie, che i surrealisti utilizzano per evidenziare l'inafferrabilità dell'esistenza e quindi la sua intrinseca meraviglia. La vera esplosione del genere si ebbe però sul finire degli anni sessanta, con la nascita della cultura Hippy e la libera circolazione delle droghe psicotrope. In quel periodo, le sale cinematografiche di tutto il mondo vennero invase dalle storie più bizzarre e ai limiti dell’eccesso visivo, dove l’anarchia e la creatività dei giovani registi raggiunse vette inimmaginabili fino a quel momento. Non è facile parlare del cinema psichedelico, anche perché la mole del materiale prodotto dagli anni sessanta in poi è cosi imponente e vario, che servirebbe un opera in due volumi per trattare l’argomento. Per tanto, in questo articolo tratteremo solo sei film lisergici, che si sono maggiormente distinti per impatto culturale e visivo, e che hanno inspirato l’immaginazione di artisti, registi e scrittori fino ad oggi.

Dementia
Una ragazza, svegliatasi dopo un terribile incubo nella stanza di un hotel, si arma di un coltello a serramanico e si incammina per le strade della città. Avrà modo di incontrare orribili personaggi come ubriaconi, poliziotti e molestatori e più il tempo passa, più la sua mente precipita nella follia. Anni dopo l’uscita di ‘Un cane Andaluso’, un giovane regista californiano tentò di replicare le suggestioni oniriche e visive del film di Buñuel, in un contesto da rivista pulp. ‘Dementia’ di John Parker, è un mix di noir e horror girato con uno stile espressionista, in bianco e nero, senza dialoghi ma solo con rumori e musica. Il film è un delirio onirico e visionario, e allo stesso tempo pieno di feroci critiche alla società capitalista degli anni cinquanta. Un viaggio senza ritorno di una donna perseguitata dai suoi demoni interiori, tra traumi dolorosi e ferite mai rimarginate, senza farci mai sapere, ne a noi spettatori e nemmeno alla sua protagonista, i motivi di tale disagio. Eppure, nel volto estremamente espressivo dell’attrice Adrienne Barrett, passa tutto il terrore della vita e delle sue conseguenze e le sottili derive psicosessuali che dannano la sua anima. Le inquadrature, apparentemente statiche di Parker, richiamano quelle del Orson Welles di ‘Mr Arkadin’ (sotto effetto di acido); i suoi tempi rimangono sospesi e la logica va a benedirsi. Ma esiste una logica nei sogni? In un cupo scenario urbano, intorno alla donna si muovono figure misteriose che rimangono irrisolte, ma proprio per questo risultano affascinanti, come quelle che si incontrano nei sogni e che da li a poco popoleranno gli incubi di Catherine Deneuve in ‘Repulsion’ di Roman Polanski e che entreranno di diritto nel mondo onirico e surrealista di David Lynch.

La vergine di Shandigor
Il professor Von Kranz, sfiduciato dal comportamento degli uomini, ha scelto di ritirarsi in volontario esilio nella sua proprietà, una villa simile ad una roccaforte protetta da ingegnosi sistemi di difesa, tra cui anche uno spaventoso mostro anfibio che si nutre di scorie velenose. La totale sfiducia nel genere umano lo ha spinto a costruire quello che lui stesso ha chiamano ‘L’annullatore nucleare’, un congegno in grado di neutralizzare qualsiasi ordigno atomico del pianeta. Quando le grandi potenze mondiali vengono a conoscenza dell’invenzione, inviano i loro agenti segreti al fine di impadronirsi del prototipo. Anni Sessanta: tempo di spie, nella realtà e nel cinema; tempo di intricate avventure sullo schermo, dove la logica narrativa abdica volentieri all’attrazione visiva e all’intrattenimento; tempo, anche e soprattutto, di contrapposti blocchi mondiali, di superpotenze che si guardano in cagnesco; tempo di minacce atomiche e di contestuali, spericolate innovazioni tecnologiche che possono mettere a rischio i destini dell’intero pianeta. Se da un lato proliferano sullo schermo figure di agenti segreti (da James Bond in giù) che si dibattono tra complotti internazionali intorno ad armi avveniristiche e potentissime, dall’altro il tema del nucleare si adatta bene a tali tendenze ma apre anche verso riflessioni di altro genere. In questa atmosfera sull’orlo dell’abisso, il giovane regista franco-svizzero Jean-Louis Roy, esordiva sul grande schermo con un film che seguiva la traccia lasciata dal ‘Dottor Stranamore’ di Kubrick, ma con esiti molto surreali e al limite del grottesco. In un clima freddissimo, reso ancora più psichedelico dalle riprese (in grandangolo laterale e dal basso verso l’alto) che rendono gli ambienti e gli oggetti incombenti e schiaccianti, assistiamo alla strana vicenda del professor Von Kranz e all’assurda guerra di spie scatenata da esso. L’opera è un caleidoscopio di situazioni e luoghi come un sogno legato da una logica interna assolutamente non con-sequenziale. Nel film tutto inchioda lo spettatore in una esperienza obbligata, in cui chi guarda non ha libertà di scelta, non può farsi un’idea delle motivazioni, non riesce a prendere le parti di qualcuno, è come se fosse incatenato e passivo nei confronti delle immagini. Infatti ad ogni stacco scenico corrisponde un quadro completamente differente, prima vicinissimo con primi piani inquietanti, poi campi lunghi dominati da architetture moderne e surrealiste. Le immagini e i suoni potenti e bizzarri in realtà non vogliono descrivere oggettivamente dei fatti ma suggerirne una dimensione onirica; tutto è per lo spettatore, niente per la storia in sé, tutto esiste in funzione di chi guarda, anche se chi guarda vede alla fine ciò che intuisce.

Il serpente di fuoco
Un giovane regista pubblicitario cerca sé stesso con l'LSD. Fra incubi, allucinazioni, fughe e visioni, intraprende un viaggio lisergico alla scoperta di se stesso e del senso dell’esistenza. Dopo le contestazioni e gli scontri del sessantotto, la moda delle droghe psicotrope, esplose nella cultura americana come una bomba atomica. Tutti facevano a gara per accaparrarsi l’ultimo tipo di acido sul mercato. Prima che ciò accadesse, il poliedrico Roger Corman, dopo aver esplorato il mondo dei bikers con ‘I selvaggi’, decise di lanciarsi a capofitto nel mondo psichedelico degli allucinogeni, con un film altamente sbroccato e anarchico. ‘Il serpente di fuoco’, è noto principalmente, per essere stato il primo a riprodurre su pellicola gli effetti visivi e le varie situazioni che si provano dopo aver assunto un acido. Per realizzare il film, il regista e il cast (fra cui spicca un giovane Jack Nicholson alla sceneggiatura) fecero uso controllato di LSD, sotto la supervisione di una equipe medica specializzata, al fine di rendere l’esperienza visiva il più fedele possibile agli effetti che si provano assumendo un allucinogeno. L’effetto dell’acido viene reso mediante un curioso gioco di caleidoscopi colorati, alternandolo con un girato allucinato di Peter Fonda vestito in maniera diversa, all’interno di un esotico (e non meglio specificato) ambiente, caratterizzato da una spiaggia che velatamente vorrebbe omaggiare ‘Il settimo sigillo’ di Ingrid Bergman. È notevole come Corman abbia saputo destreggiarsi tra vari effetti psichedelici visuali, ben accompagnati dalle improvvisazioni della band ‘The Electric Flag’ e di qualità davvero eccellente, considerando l’epoca ed il fatto che ‘Il serpente di fuoco’ è considerato un film low budget. Oggi il film di Corman è a tutti gli effetti una singolare gemma del periodo, un unicum divenuto manifesto di un intera generazione che sarebbe stata inspirata e influenzata dal viaggio lisergico di Peter Fonda, il quale anni dopo allargherà ulteriormente l’esperienza con il film cult ‘Easy Rider’.

La montagna sacra
Città del Messico. Un ladro, dopo una serie di peripezie giunge in cime ad una torre dove si trova il laboratorio un misterioso alchimista. Questi trasmuta gli escrementi del ladro in oro, chiedendogli poi se desidera essere trasformato lui stesso in metallo prezioso, ovvero in un essere immortale. L'uomo accetta. L'Alchimista lo conduce così in una sala le cui pareti rappresentano gli arcani maggiori delle carte dei Tarocchi e gli presenta coloro che gli saranno compagni nel lungo e faticoso viaggio iniziatico si tratta di altri sette ladri, ma di alto livello poiché sono tra gli uomini più potenti della Terra. Ciascuno di essi è associato a un pianeta del sistema solare: Venere è incarnato da Fon, fabbricante di cosmetici e protesi anatomiche. Isla, produttrice di armi, è rappresentata invece dal pianeta Marte. Klen, collezionista d'arte contemporanea, ha per pianeta Giove. Sel, ideatrice di giocattoli di guerra, ha come pianeta di riferimento Saturno. Berg, consigliere economico di un presidente-dittatore è dominato da Urano. Nettuno è rappresentato da Axon, capo della polizia nazifascista. Collegato a Plutone è infine Lut, architetto che progetta habitat disumani. L'obiettivo da raggiungere è la Montagna Sacra: qui infatti risiedono i nove saggi, detentori del segreto dell'Immortalità, di cui loro dovranno prendere il posto. Il pellegrinaggio può dunque avere inizio. Gli anni settanta sono ufficialmente conosciuti come il periodo d’oro del cinema psichedelico. Un periodo in cui ai registi e agli sceneggiatori veniva lasciata più libertà creativa per le loro opere. In questo decennio sorsero grandi nomi che diedero lustro al genere, come Ken Russel, Nicolas Roge e Werner Herzog. Fra di essi, il nome di Alejandro Jodorowsky, è sicuramente il più conosciuto e stimato dai fan del genere; con il suo stile onirico e misticheggiante, è riuscito a innovare e rivoluzionare il concetto stesso di viaggio lisergico al cinema, e a diventare fonte d’ispirazione per registi odierni come Nicolas Winding Refn e Panos Cosmatos. ‘La montagna sacra’ del 1973, è l’opera più significativa di tutta la sua filmografia; pieno di riferimenti alchemici e suggestioni new age, il film è la trasposizione su grande schermo del concetto di viaggio iniziatico; dall’inizio alla fine, lo spettatore assiste a una serie di eventi e situazioni che lo conducono attraverso un percorso propiziatorio, fino all’incredibile (e inattesa) conclusione del viaggio. Il film non è di facile lettura per tutti; anche perché il regista lo riempie di tutte le sue ossessioni e critiche nei confronti del sistema mondo, in particolare spicca maggiormente la critica verso il cattolicesimo, di cui il film abbonda in maniera esagerata, a partire dal suo protagonista principale, che è letteralmente la copia speculare di Gesù. Con il passare del tempo ‘La montagna sacra’, è diventato un cult movie appartenete al movimento dei film della mezzanotte, e a distanza di anni riesce ancora a incantare, colpire e scioccare lo spettatore che lo guarda, e che si ritrova immerso in un sogno lisergico portato alle sue estreme conseguenze.

Eraserhead - La mente che cancella
Henry Spencer, tipografo, vive da solo in uno squallido appartamento fra le allucinazioni che la sua mente malata visualizza. Durante un grottesco pranzo in casa dei suoceri, apprende che Mary, la sua ragazza è incinta e viene obbligato a sposarla. Nasce un baby mostriciattolo orrendo e frignante che la madre, disgustata, abbandona alle cure di Henry; dopo questo fatto il suo equilibrio psichico, già fragile, va in frantumi e la sua mente si scatena in allucinazioni e incubi. Dopo una serie di cortometraggi, il regista David Lynch, esordiva sul grande schermo, con un film destinato a passare alla storia come il più allucinato esempio di quello che può produrre la mente umana su celluloide. Il film (interamente girato in bianco e nero) è un viaggio all’interno della psiche malata di un uomo al di sotto della media, incastrato in una situazione al quale non è preparato. La pellicola di Lynch è una fosca parabola sull’ansia genitoriale in chiave lisergica, dove il protagonista principale, con il suo sguardo stralunato e la sua improbabile capigliatura, incarna lo spaesamento delle nuove generazioni nell’età moderna. L’ambiente circostante, attraverso lo sguardo del protagonista, appare distorto e degradato, ricco di pesanti suoni industriali e popolato da personaggi bizzarri e pittoreschi. Le situazioni grottesche a cui assistiamo nel film, non sono altro che le allucinazioni e gli incubi che affliggono Henry, in bilico fra mondo reale e fantasie frutto di una psiche contorta, che si manifestano con un dirompente senso d’oppressione e uno stato d’ansia ai limiti del sopportabile. L’altro elemento di disturbo del film è rappresentato dal neonato mostruoso di cui Mary ed Henry si prendono cura. Dopo l’abbandono di Mary, la situazione precipita verso la disperazione più totale, con il bambino che, sempre più frignante e malaticcio, schiavizza il povero Henry al suo capezzale; il tutto è reso ancora più grottesco dai tentativi di flert con l’avvenente vicina di casa, e la visione tormentata di una ragazza dal volto deforme che vive nel termosifone dell’appartamento di Henry, che lo invita a porre fine alle sofferenze del piccolo abominio. ‘Eraserhead – la mente che cancella’ è l’opera più personale e visionaria di Lynch. Mostruosa allegoria del sogno americano, la storia è un folle bad trip all’interno delle ossessioni e delle ansie del genere umano. Un film che ha coniato il termine di horror surrealista, e che ha ispirato grandi registi come Brad Anderson, Nicolas Winding Refn, Shinya Tsukamoto e Tim Burton, ma anche grandi fumettisti del calibro di Junji Ito e Charles Burns.

Paura e delirio a Las Vegas
Nel 1971 dalla California partono su una decappottabile rosso scuro Raoul Duke, giornalista, e il suo avvocato, dr. Gonzo. La direzione è Las Vegas, dove Duke deve realizzare un servizio su una corsa di moto, e Gonzo deve partecipare ad una convention di avvocati e procuratori. In macchina si portano una scorta illimitata di mescalina, erba, allucinogeni e droghe di varia qualità, di cui fanno abbondante uso durante il viaggio, che li porterà a incontrarsi con personaggi bizzarri e situazioni grottesche al limite dell’assurdo. Uno stravagante road trip del grottesco, odissea lisergica della controcultura degli anni sessanta e dei primi settanta trasfigurata dagli effetti delle droghe; basterebbero queste poche frasi per riassumere a pieno ‘Paura e delirio a Las Vegas’, capolavoro indiscusso del magistrale Terry Gilliam, qui alle prese con le allucinazioni e le paranoie della coppia formata da Johnny Depp e Benicio Del Toro. La pellicola è un adattamento del romanzo omonimo di Hunter S. Thompson, una sorta di assurdo resoconto, di un periodo trascorso dall’autore nella capitale del divertimento. Commedia eccentrica intrisa di un black humour grezzo e genuino, la pellicola vive su un esasperato surrealismo che non latita di spunti riflessivi sui cambiamenti sociali del periodo narrato, con critiche all'America di allora che trovano adito nei folli, ma paradossalmente lucidi, monologhi di Duke (alter-ego di Thompson), recitati in un ossessionato voice over da un insolitamente rasato Johnny Depp, vero e proprio mostro di bravura nel suo eccentrico trasformismo, che trova nella complementare performance di Benicio Del Toro il partner ideale. Lo spettatore non può fare a meno di rimanere basito, mentre segue le assurde e lisergiche avventure dei due protagonisti, in una Las Vegas carica di luci ed eccesso, che conferisce alle visioni allucinate dei due un’aura carica di paranoia e senso d’oppressione, come se qualcosa di brutto stia per succedere da un momento all’altro. Ricco di personaggi e situazioni ai limiti del ridicolo, la pellicola di Terry Gilliam è un'opera visionaria e intensa che, lontana da qualsivoglia moralismo, ci offre un ritratto surreale degli effetti delle droghe veicolandolo su spunti riflessivi che indagano in quella generazione americana che fu, divisa tra sogni e cocenti delusioni. Un mezzo per scavare nei sogni infranti di una generazione perduta e nelle amare contraddizioni di un intero Paese.

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