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Da Ascari ad Alboreto: i grandi piloti milanesi nella storia della Formula 1

Quando il podio era milanese.
Sport - Formula 1

Negli ultimi anni nessun pilota italiano è stato in grado di farsi valere nel più seguito campionato di automobilismo. Di recente sono stati grandi talenti stranieri come Max Verstappen e Lewis Hamilton a dominare la scena, senza lasciare grande spazio ai rappresentanti del tricolore. Nessuno dei nostri, dunque, ha avuto modo di ottenere risultati di rilievo o è stato considerato tra i favoriti di un mondiale nell'ambito delle scommesse sulla F1 o da ogni altro tipo di pronostico. Al contrario di quanto avviene nel motociclismo, le vetture a quattro ruote sembrano diventate quasi stregate per chi è partito dallo Stivale.

Dando un’occhiata all’albo d’oro, ci si rende facilmente conto di come questa situazione permanga ormai da parecchio tempo. L’ultimo successo che può definirsi almeno in parte italiano è quello di Kimi Raikkonen del 2007, quando il finlandese era alla guida della Ferrari: da allora nessuna scuderia made in Italy è più riuscita ad eccellere nel massimo campionato. Le Rosse stanno attraversando non a caso un lungo periodo di crisi, che nemmeno piloti esperti come Charles Leclerc e Carlos Sainz Jr. riescono a concludere. La storia della Formula 1, però, narra anche di qualche pilota italiano che ha saputo mettersi decisamente in mostra. Uno di questi è sicuramente Alberto Ascari, campione del mondo nel 1952 e nel 1953, proprio con la Ferrari.

Gli anni d’oro di Ascari coincidono con l’avvio di una generazione importante di piloti milanesi, di cui il buon Alberto rimane ancora oggi esponente assoluto. Figlio di Antonio Ascari, che formava con Gastone Brilli-Peri e Giuseppe Campari il “tridente di punta” dell’Alfa Romeo, aveva perso il padre, anch’egli pilota, a causa di un incidente avvenuto nel corso del Gran Premio di Francia 1925. Alberto disputò in tutto solo 33 Gran Premi, prima che il tragico destino colpisse anche lui. Pochi giorni dopo essere sfuggito ad un incidente a Monte Carlo, Ascari provò la nuova Ferrari 750 all’autodromo di Monza, ma proprio verso la fine dei giri di allenamento la macchina sbandò capovolgendosi, schiacciando il pilota.

Un altro importante pilota milanese fu Giorgio Bassi, attivo negli anni ‘60. In un’epoca in cui era molto difficile imporsi ad alti livelli, Bassi riuscì a partecipare ad una gara di Formula 1, partendo dalla 22esima posizione in occasione del Gran Premio d'Italia disputato a Monza. Il suo BRM P57, tuttavia, fu costretto al ritiro al nono giro a causa di problemi tecnici. Da lì in avanti Bassi ha corso soprattutto nel campionato italiano di Formula 3. Leggermente più fortunato fu sicuramente Ivan Capelli, che da ragazzo pensò addirittura di tentare la carriera da calciatore, avendo giocato nelle giovanili della Pro Sesto. A 20 anni, invece, si ritrovò a vincere nella Formula 3 italiana siglando un primato di 9 vittorie stagionali. Poco dopo Capelli passò alla Formula 3000 e nel 1985 la Tyrrell gli propose di debuttare in Formula 1. In totale, il pilota prese parte a 2 corse: nel Gran Premio d'Europa sopraggiunse il ritiro, mentre in Australia riuscì ad arrivare quarto, senza riuscire però ad essere confermato a causa della mancanza di sponsor personali.

Infine, tra i grandi piloti originari di Milano non si può non citare Michele Alboreto. Tra gli anni ‘80 e ‘90 ha partecipato a 215 Gran Premi, vincendone 5. Il suo nome è legato comunque ad una delle più grandi imprese solo sfiorate da un pilota italiano, in quanto nel 1985 il titolo mondiale andò perduto a causa di alcuni piccoli cedimenti meccanici. Simbolo della classe operaia che sale in paradiso, Michele Alboreto è sempre stato un’icona dell’automobilismo italiano ed è rimasto nel cuore degli appassionati anche dopo il suo ritiro. Anche per lui, però, il fato aveva in serbo un triste epilogo: il 25 aprile 2001, mentre era impegnato a collaudare le nuove Audi R8 Sport in preparazione della 24 Ore di Le Mans, Alboreto perse la vita in un incidente al Lausitzring causato dalla foratura di uno pneumatico. La sua leggenda, però, è rimasta viva insieme a quella di quei pochi piloti italiani che hanno saputo brillare in Formula 1.

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