Milano / Malpensa
Dieci anni di cult
- 31/05/2022 - 22:01
- Over the Game
Ogni millennio è composto da decenni e ogni decennio è composto da dieci anni. In questo lasso di tempo tutto può succedere: dagli eventi più spaventosi ai progressi più importanti per la nostra specie. Se c'è una cosa che caratterizza maggiormente questo determinato periodo è la cultura popolare; ossia quell'insieme di tradizioni, saperi, idee, usanze, e altri aspetti di natura tecnologica o addirittura religiosa che rientrano nelle tendenze dominanti delle vaste comunità mondiali, caratterizzati da un determinato modello o paradigma socio-culturale. In questo articolo ci concentreremo soprattutto sul termine 'cult', ovvero quell'aggettivo che indica un oggetto o prodotto culturale che ha acquisito valore simbolico grazie al grande successo e al proprio carattere esemplare. È interessante notare come questo aggettivo si leghi molto facilmente al mondo della settima arte. Basta infatti una semplice frase, un oggetto o un personaggio per far scattare il ricordo di quella volta che andammo al cinema senza sapere che il film che stavamo guardando sarebbe diventato un cult a livello planetario. Immaginatevi di essere un ragazzino/a nel 1984, una sera il vostro migliore amico vi invita al cinema a vedere 'Ghostbusters'. Voi ci andate senza sapere nulla sulla trama, sui personaggi e sul titolo stesso, perché siete curiosi di sapere cosa sia tale 'Ghostbusters' e perché quella sera non avete niente di particolare da fare. Usciti dal cinema siete consapevoli di aver visto un bel film, ma quello che non sapete è che quel film anni dopo si guadagnerà lo status di cult generazionale della propria decade, che i vostri figli e i vostri nipoti vi avrebbero invidiato nel sapere che siete andati a vedere tale film su grande schermo, mentre loro lo hanno visto solo in TV o sul tablet. Inoltre, quando avreste sentito una battuta, la descrizione di una scena o il nome dell'attore o del regista del film, una piccola lacrimuccia sarebbe affiorata all'angolo del vostro sguardo al dolce ricordo di quella sera, quando non avevate niente da fare e decideste di seguire il vostro amico al cinema per vedere quella che sarebbe diventata una pietra miliare della cultura pop di quel decennio.
Il decennio 2010/2019 si è concluso con alti e bassi. Ecco una selezione di dieci film che si sono guadagnati (o si guadagneranno) il titolo di cult del sopracitato decennio, accompagnati dalle frasi che li hanno resi celebri alla fine di ogni recensione. Un decennio invaso da supereroi, sequel, reboot e adattamenti live-action delle vecchie glorie Disney. Con un piccolo sforzo abbiamo messo insieme una lista di quelli che, secondo noi, sono i film che si meritano a pieno titolo lo status di cult del decennio 2010/2019.
Deadpool
Il decennio che si è appena concluso passerà alla storia come il periodo che ha visto fiorire il genere dei cinecomic. In particolare con il trionfo del Marvel Cinematic Universe, che ha raggiunto il culmine con 'Avengers: Endgame' e ha posto le basi fondamentali per una saga che potrebbe durare per i prossimi cinquant'anni. I film Marvel sono tanti e sono tutti molto validi, ma se dovessimo sceglierne uno da inserire in questa lista, al primo posto ci sarebbe 'Deadpool' naturalmente. Un film geniale dalla prima all'ultima sequenza, estremamente divertente e politicamente scorretto oltre ogni limite. Il film d'esordio di Tim Miller, sulle avventure del mercenario chiacchierone è già passato alla storia come film vietato ai minori più visto in America nel lontano 2016. Il merito del successo dell'operazione va anche al duo di sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick, che traspongono il personaggio creato da Rob Liefeld e Fabian Nicieza a inizio anni novanta, esattamente così com'è: praticamente indistruttibile, irriverente e incredibilmente sboccato, capace di qualsiasi nefandezza e scorrettezza nei confronti dei cattivi mentre se la ride allegramente. Ma la cosa che rende questo film così unico è la capacità del personaggio principale (così come nei fumetti originali) di infrangere la quarta parete e rivolgersi al pubblico. Una cosa che succede solo nei cartoni animati, come ad esempio i 'Looney Tunes'; ma questo è un film d'azione e la cosa non passa certo inosservata. Fatta eccezione per Buster Keaton e Charlie Chaplin, quando mai si è visto un personaggio di un film d'azione, tipo Mel Gibson di 'Arma letale' o Bruce Willis di 'Die Hard', guardare in macchina e rivolgersi agli spettatori che lo stanno guardando come se nulla fosse? In nessun film d’azione si è mai vista una cosa simile, ed è principalmente questo che lo differenzia dagli altri film Marvel, perché Deadpool è l'unico personaggio a sapere di essere finto, sa che è il personaggio di un film (un bel film) e se ne vanta pure. Tim Miller, nel suo esordio dietro la macchina da presa, dimostra anche la sua bravura come animatore e tecnico degli effetti visivi. Infatti le animazioni e gli FX sono di un realismo impressionante. Basti pensare alla parte iniziale, dove la macchina da presa si sposta all'interno di una scena in fermo immagine e la riprende in ogni suo particolare e dettaglio. Quanti film possono vantare un inizio così dirompente? Nessuno, perché il film di 'Deadpool' era già un cult ancora prima di uscire in sala, una pellicola che ha fatto da apripista a tutte le produzioni rated-R (vietate ai minori senza accompagnamento di un adulto) che sarebbero venute dopo. Un film dall'umorismo spassoso e assolutamente dissacrante, un diamante ricoperto di scogli, ripulito e incastonato in quel grande mosaico noto come: eternità.
Frase cult: “Stasera mi tocco.”
Vizio di forma
Il detective privato, la femme fatale, il milionario scomparso, l'ispettore burbero, l'organizzazione criminale e tanti altri personaggi e situazioni tipiche dei romanzi Raymond Chandler incontrano le atmosfere lisergiche e sotto acido di Hunter S. Thomson in questo maestoso film corale d’annata. Tratto dal romanzo omonimo di Thomas Pynchon, il film diretto da Paul Thomas Aderson è un cult unico che riscrive a pieno un genere a partire dal suo protagonista. Prima di vestire i panni del più grande villan DC Comics (Joker), Joaquin Phoenix dava vita al simpatico personaggio di Doc Sportello, detective fattone dallo sguardo stralunato, propenso a farsi di ogni genere di sostanza stupefacente piuttosto che concentrarsi sul lavoro. Il film segue esattamente lo stile del libro di Pynchon, anche se viene privato delle sequenze psichedeliche, e dei viaggi allucinatori del protagonista; mentre alcune scene vengono riscritte per renderle più comprensibili al pubblico che non ha letto il libro. Prevale il gusto per il ‘pastiche’. La storia è un intrigo di personaggi in una spirale vorticosa di apparizioni e sparizioni, il tutto condito con droghe di ogni genere, nel rispetto della tradizione hippie di fine anni Sessanta. È proprio questo mix letale costituito da una trama ingarbugliata, personaggi a volontà e presenza costante di droghe, a rendere il film un’esperienza fuori dalle righe e totalmente psichedelica. Il protagonista è letteralmente in balia degli eventi e raramente lo vediamo impegnarsi a fondo per cercare di risolvere il caso. Doc si lascia trasportare dal flusso, mentre i confini tra immaginazione, sogno e realtà diventano labili e indistinti durante il corso della sua folle indagine tra le strade di una Los Angeles travolta dalle droghe psicotrope e dalla paranoia seguita dopo i brutali omicidi della Manson Family. Che sia per l'atmosfera allucinata, per il simpatico protagonista fattone o per la galassia di personaggi altamente variegati che incontra nel suo percorso verso la soluzione dell'enigma; 'Vizio di forma' non è soltanto un giallo, è un mix di generi. Così come il libro, il film riesce ad essere grottesco, noir e comico in una sola volta. Un cult assoluto, che ha dimostrato che per risolvere un caso non servono acume deduttivo e pistole, ma semplicemente starsene seduti e rilassati, ad aspettare che la soluzione si presenti da sola.
Frase cult: “Non andavo bene in storia, ma... ebrei e fratellanza ariana... Non c'è di mezzo dell'odio?”
Drive
Ipnotico, iperteso, iperviolento, ma soprattutto romantico e incredibilmente unico. Dopo averci deliziato con il film biografico sul nemico pubblico numero uno del Regno Unito e dopo la breve parentesi nel mondo delle leggende norrene, Nicolas Winding Refn torna al genere che l'ha consacrato, con un film che trasuda Cult da ogni poro. Liberamente tratto dal romanzo omonimo di James Sallis, 'Drive' è un noir potente e visionario, un mix di emozioni contrastanti in un film che omaggia, cita e de-costruisce un genere. Nel film sono molti i riferimenti al cinema noir anni settanta ottanta che Refn dissemina in maniera quasi feticistica all'interno della pellicola, ma senza mai cadere nel pacchiano o nel già visto. Che sia per la fotografia, per le scenografie o per l'atmosfera al neon e volutamente vintage, il vero punto di forza del film risiede nel suo protagonista; un meccanico full time e stuntman part time che, sfruttando la sua estrema abilità alla guida, a volte lavora come autista per la malavita. Ryan Gosling da vita a un personaggio che sembra uscito da un film di Sergio Leone; silenzioso, misterioso e, a suo modo, buono, ma costretto alla violenza dalle circostanze e dall’amore, estremo e incontrollato. Con appena una quindicina di battute in tutto il film, Gosling sa essere più espressivo di quanto non sia lecito immaginare: sguardi, sorrisi, lacrime e gestualità dicono tutto quello che c’è da sapere riguardo il suo personaggio dalla doppia vita e disposto a sacrificare tutto in nome della ragazza che ama. 'Drive' è romanticismo puro, doloroso, ovattato, ultraviolento. Lasciarsi dilaniare dalla sua tensione e ipnotizzare dalla visione generosa e selvaggia di Refn è un esperienza cinematografica unica, un grande schiaffo morale ai blokbustre hollywoodiani, un segno che difficilmente andrà via.
Frase cult: “Io guido e basta.”
Birdman (l'imprevedibile virtù dell'ignoranza)
Vi è mai capitato di andare al cinema a vedere un film di supereroi e di trovare al suo posto qualcosa di totalmente inaspettato? Se la risposta è si, allora anche voi avete visto 'Birdman' di Alejandro Iñárritu, un film assolutamente fuori di testa in tutti i sensi, una commedia satirica che colpisce allo stomaco i meccanismi più abbietti dello starsystem Hollywoodiano e della cultura di massa, un film sospeso tra realtà e fantasia, dove i confini del palcoscenico e della vita reale si confondono e ci fanno dubitare che quello che stiamo guardando stia accadendo veramente. La cinepresa è velocissima, insegue i personaggi come se fossero prede, i piani sequenza rievocano a tratti Hitchock e a tratti Kubrick e i dialoghi a volte interminabili e inconcludenti sembrano quelli di un film alla Quentin Tarantino. Nel film assistiamo soprattutto alla lenta discesa nella follia del protagonista; un attore che cerca di risollevarsi mettendo in scena una grande opera teatrale che dimostrerà al mondo il suo talento. Ma il personaggio che l'ha reso famoso e conosciuto in tutto il mondo, non vuole saperne di staccarsi da lui, il che, porta a delle conseguenze surreali e distruttive per la psiche del nostro eroe. Come già citato, ‘Birdman’ è un grande manifesto di denuncia sociale contro la cultura di massa, ormai satura di blockbuster ad alto budget, fatti soltanto per racimolare soldi, e completamente privi di anima e contenuto. Da questo punto di vista, il film riprende le opere della politologa Hannah Arendt, che diceva: ‘La società di massa non vuole cultura, ma intrattenimento’. Oltre alla Arendt, la pellicola incarna anche la filosofia di Luigi Pirandello (sono fortissime le analogie con 'Sei personaggi in cerca d'autore') secondo cui gli uomini vestono dei ruoli che la società ha loro affibbiato, ruoli in cui spesso non si ritrovano e dai quali tentano di fuggire. Noi non conosciamo noi stessi, diceva l’autore, ma conosciamo soltanto il nostro ruolo. Birdman è un film presuntuoso, con un protagonista altrettanto presuntuoso, che trae ispirazione dai più grandi maestri del cinema e riunisce in un lungometraggio tutto ciò che un regista vorrebbe sperimentare. Bisogna dire che Birdman, registicamente, è un film riuscito; ma la cosa che rende questo film un vero Cult è il fatto che nessuna pellicola prima d'ora aveva mostrato in maniera così originale il dramma umano che vivono gli artisti del mondo dello spettacolo. Uomini e donne incatenati ai loro personaggi, incapaci di scrollarseli di dosso senza prima affrontare un calvario personale alla scoperta di loro stessi.
Frase cult: “Ecco di che cosa sto parlando, mascelle che scricchiolano, maestoso, rumoroso, veloce! Guarda queste persone, guarda i loro occhi, scintillano di piacere, amano questa merda, amano il sangue, amano l'azione! Non quelle stronzate deprimenti, filosofiche e pallose.”
Pacific Rim
Goldrake, Mazinga, Jeeg Robot d'Acciaio, Voltron, Daitarn tre, Gundam. Questi sono solo alcuni dei tanti robot giganti che hanno invaso il globo nei favolosi anni ottanta e che fanno sognare ancora oggi le generazioni di bambini e ragazzi cresciuti in quel decennio. Sebbene sia stato annunciato un'adattamento di 'Gundam' (la cui sceneggiatura è stata scritta da Brian K. Vaughan, con la regia di Jordan Vogt-Roberts), prima di 'Pacific rim' il genere dei robottoni che prendevano a cazzotti mostri e alieni giganti, era impensabile da vedere al cinema ai nostri giorni. Un opinione non condivisa dal geniale regista Guillermo del Toro, che, tramontato il tentativo di adattamento del racconto di Lovecraft 'Alle montagne della follia', si cimentò in un soggetto originale e all'apparenza rischioso insieme allo sceneggiatore Travis Beacham. Nell'agosto del 2013, l'epica battaglia degli Jaegers contro i possenti Kaijù arrivo al cinema con una potenza e un successo del tutto inaspettati. Pur non essendo tratto da un manga o un anime, il film di del Toro raccoglie al suo interno le stesse tematiche del genere: c'è la situazione disperata, la lotta, la tenacia, la fratellanza, il sacrificio e la vittoria che trascende dal risultato finale. Un tipo di epica riconoscibile e universalmente apprezzata, alla base del successo di molti anime e manga, un perfetto adattamento di una filosofia applicata ad un soggetto originale e ben strutturato nella trama e nei personaggi. Anche se il seguito non ha soddisfatto le aspettative del primo film e ha compromesso i progetti per un terzo capitolo, il mega giocattolone creato da Guillermo del Toro è il Cult che molti stavano aspettando. E poi diciamolo, l'idea di base di un mostrone intergalattico preso a sprangate (perdi più con una petroliera usata in guisa di mazza) da un robot alto 90 metri, farebbe urlare di gioia il ragazzino insito in ognuno di noi.
Frase cult: “Oggi affronteremo i mostri che sono alle nostre porte e non proveremo nessuna paura! Tutti noi oggi cancelleremo l'apocalisse!”
Mad Max: Fury Road
Un umanità allo sbaraglio, un eroe solitario che cerca di fuggire dal suo passato, una leder ribelle che vuole condurre le altre schiave come lei alla terra promessa e una corsa disperata per un futuro incerto. A distanza di anni dal primo film della trilogia che ha lanciato la carriera di Mel Gibson, il regista George Miller fa il suo grande ritorno nel mondo desertico dell'antieroe post-apocalittico più famoso del mondo. Il seguito/reboot della saga di 'Mad Max' è una vera gioia, non solo per i fan, ma anche per le giovani generazioni assetate d'azione e adrenalina allo stato puro. Capace di riscrivere le coordinate dell’action, Miller sfrutta ogni granello di tecnologia a disposizione per far esplodere lo schermo lungo tutte le due ore del racconto, che immaginiamo poggiato su una sceneggiatura davvero molto scarna, ma discendente di un lavoro maniacale per quello che riguarda stesura di storyboard e coreografie. Il testimone del guerriero della strada viene colto al volo da Tom Hardy, il quale offre un interpretazione che non fa rimpiangere il suo predecessore Mel Gibson, ma riesce a donare al personaggio una dimensione diversa, più tragica e decadente, oltremodo leggendaria. Nonostante questo, il personaggio di Max è più una figura di contorno che vero e proprio perno su cui ruota la trama del film. Infatti la storia (come precisato dal titolo) si concentra principalmente sulla fuga disperata dell'imperatrice Furiosa (interpretata da una magnifica Charlize Theron), nel folle tentativo di portare in salvo le spose del tirannico Immortan Joe da un destino che le vede rilegate come animali da riproduzione sottomesse al folle monarca. I personaggi di Max e Furiosa sono ambedue la controparte dell'altro, ma con due strade e due punti di vista molto differenti tra loro, che però, trovano un punto di congiunzione nel desiderio comune di fuga e sopravvivenza. Che sia per l'attenzione al dettaglio nelle scene d'azione, per la colonna sonora estremamente coinvolgente, per il messaggio di denuncia socio-politica o per l'assoluto stato di grazia della regia di Miller, il rilancio di 'Mad Max' su grande schermo è paragonabile a un grande concerto degli anni d'oro dell'heavy metal in salsa post-apocalittica. Un cult al primo colpo.
Frase cult: “Che giornata! Che splendida giornata!”
Ave, cesare
A distanza di anni da quel superbo cult con Jeff Bridges ('Il grande Lebowski'), i fratelli Coen tornano in grande stile a quell'umorismo anarchico e sopra le righe che gli ha resi famosi in tutto il mondo. Il luogo: Hollywood. Il periodo: i favolosi anni cinquanta della golden age cinematografica americana. Un periodo gioioso e ottimista, dove i generi come i sandaloni, i western avventurosi e sentimentali, le commedie sofisticate, i grandi musical alla Gene Kelly e le fantasie acquatiche alla Ester Williams, dominavano incontrastati il panorama mondiale, prima di essere travolti dall'assassinio di Kennedy, il Vietnam e le rivolte studentesche e sociali del sessantotto accompagnate dai famelici zombi di George A. Romero. In questo scenario idilliaco, si sposta il nostro protagonista (interpretato da un eccellente Jason Brolin), una sorta di Mr. Wolf della situazione, a cui spetta il compito di risolvere determinati problemi che potrebbero compromette la reputazione degli studios per cui lavora e mandare in tilt i fragili meccanismi che regolano la fabbrica dei sogni. Mentre il nostro protagonista è stanco del lavoro che svolge e inizia a subire la tentazione di lasciarlo in favore della fiorente industria degli armamenti nucleari; nel corso del film assistiamo a una sequela di eventi fondamentali per la nostra storia, il primo di tutti è il rapimento a scopo di lucro dell'attore Baird Whitlock (interpretato da un esilarante George Clooney) da parte di un manipolo di sceneggiatori discepoli della dottrina Marxista. È poi interessante notare come la finzione si fonde con la realtà: nel film seguiamo il protagonista attraverso i vari set degli studios e insieme a lui assistiamo anche alla proiezione degli spezzoni di alcuni film in produzione. I vari film si intrecciano grazie ai loro protagonisti in un complicato gioco di scatole cinesi che si incastrano alla perfezione, dando vita a una sotto trama che coinvolge tutto e tutti, a partire dal protagonista principale, vero e proprio punto di congiunzione delle varie storie. I fratelli Coen si divertono a sollevare il cofano per mostrarci i vari retroscena e meccanismi che regolano la fabbrica dei sogni: gli intrighi, le operazioni sotto banco, i compromessi, gli scandali sottaciuti e gli ingenti fiumi di denaro, che sono alla base del funzionamento della Hollywood di ieri e di oggi. Però i Coen non lo fanno per dispetto o per denunciare il degrado insito nella terra del sole. I Coen non dirigono un film su un determinato periodo storico del cinema, dirigono una grande lettera d'amore al cinema in generale, senza soffermarsi con nostalgia su quello che è stato, ma guardando al futuro in termini di fede. Infatti questo è un film sulla fede. I due fratelli celebrano la loro fede nel mezzo cinematografico, ma non lo fanno con fanatismo o idolatria sconsiderata, lo fanno con rispetto e irriverenza nei confronti di un'arte che eleva lo spirito umano al pari del divino. Come disse una volta Federico Fellini: il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio, una frase che i fratelli Coen sembrano aver colto in pieno nel loro nuovo cult.
Frase cult: “Signor Mannix, so che sembra folle ma qualcuno chiama dal futuro!”
Alita angelo della battaglia
Per Hollywood adattare un manga o un anime è un operazione complessa e dall'esito incerto. Ne sono un esempio film come 'Aeon Flux', 'Dragonball Evolution', 'Death Note' e 'Ghost in the shell', che a differenza della loro controparte cartacea o animata presentano delle gravi differenze con il materiale di partenza, a partire dai protagonisti volutamente occidentalizzati per rendere la pellicola più appetibile al pubblico occidentale. Inutile dire che il risultato finale è spesso un prodotto senza anima e che presenta una trama ridotta all'osso dagli sceneggiatori, costretti per limiti di tempo e di budget a tagliare il superfluo e incapsulare il tutto in un film della durata di novanta minuti circa. Ora, perché 'Alita angelo della battaglia' è diverso degli altri adattamenti di manga e anime? Prima di tutto per il periodo storico in cui è ambientato, l'anno 2563, secoli e secoli nel futuro, dove l'umanità vive in un contesto globalizzato e multiculturale, che scongiura la produzione dal pericolo di essere accusata di razzismo. In secondo, il film è strutturato per essere una origin story, con la protagonista che intraprende un percorso di crescita personale che la porterà a diventare l'eroina che tutti noi conosciamo. Se molti criticano il film per essere concentrato più sul lato action che su quello filosofico e fantascientifico che sta alla base dell'opera originale, è bene che ricordino che questo è solo il primo capitolo di quello che dovrebbe essere un frachise, per tanto quello che a molti è mancato o di cui hanno sentito la mancanza nel film, potrebbe benissimo essere affrontato e ampliato in quello successivo (anche se ci sono dei forti dubbi sulla certezza del sequel, dopo l'acquisto di Fox da parte della Disney). Nonostante la trama sia molto lineare e priva di colpi di scena così eclatanti, il film riesce (almeno in parte) a mantenere lo spirito del manga originale di Yukito Kishiro, a partire dalla sua protagonista: una cyborg senza memoria, che intraprende un viaggio alla ricerca di risposte sul suo passato. Il lavoro svolto da James Cameron (in veste di sceneggiatore e produttore esecutivo) e da Robert Rodriguez (in veste di regista) è veramente degno di nota, soprattutto sul fronte degli effetti speciali, che sono di un iperrealismo mai visto finora. Alita è resa magnificamente, in particolare negli occhi (volutamente grandi per omaggiare lo stile del disegno manga), un vero prodigio di tecnologia, realistici e magici al tempo stesso, ricchi di fascino e profondità, che guardano al mondo con curiosità e stupore, a volte con tenacia, altre con infinita tristezza. Sono passati circa vent'anni da quando James Cameron acquisto i diritti di sfruttamento del manga di Kishiro e anche se alla fine non è stato lui a dirigere il film, possiamo dire in tutta tranquillità che l'attesa è stata lautamente ripagata. Il film di Cameron e Rodriguez è uno spettacolo per gli occhi, una storia originale (questo si) che rispetta, omaggia ed eleva l'opera su cui si basa, regalandoci momenti di sano stupore e meraviglia dinanzi a un film che con il tempo si guadagnerà lo status di cult di una generazione.
Frase cult: “Io non resterò ferma al cospetto del male!”
Cosmopolis
Può una giornata come tante, trasformarsi in un viaggio straordinario e a suo modo epico? La risposta c'è la danno il regista David Cronenberg e il romanzo omonimo di Don DeLillo. New York non è mai stata così sporca e pericolosa come in 'Cosmopolis', anche perché per le strade si è riversata praticamente tutta la popolazione, vista la visita del Presidente degli Stati Uniti, e il traffico è quasi inaffrontabile. Nonostante questo, il protagonista (un giovane golden boy dell'alta finanza) vuole assolutamente andare dal suo parrucchiere dall'altra parte di Manhattan per aggiustarsi il taglio. Con questa premessa si sviluppa una vicenda surreale ai limiti della denuncia socio-politica, che però, prende le dovute distanze dalla solita parabola sulla decadenza della cultura capitalista, per concentrarsi sul viaggio del protagonista principale e sui personaggi pittoreschi che incontra in questa sua anti-odissea. Pubblicato nel 2003, il romanzo di DeLillo è incredibilmente e paradossalmente ricco di ossessioni e temi cari al regista, che adatta in maniera maniacale, con una fedeltà assoluta, l'opera di partenza quasi a livello simbiotico con l'autore di essa. Nel film c’è tutto Cronenberg, dagli esordi ad oggi. C’è la metamorfosi, il senso di colpa, il peccato, la redenzione, il marcio della natura umana e della società, che ci schiaccia e ci soffoca senza distinzioni. Sullo schermo assistiamo alla lenta (e voluta) discesa del protagonista in questo incubo post-moderno, malato e corrotto. Egli è un sovrano di un mondo invisibile, attanagliato dalla noia e dalla paura della morte. La sua limousine è l'equivalente di una fortezza su ruote ipertecnologica e accessoriata, dalla quale osserva il mondo con fredda e distaccata indifferenza. All'interno di questo involucro di metallo bianco si svolgono molti dei dialoghi che fanno, senza dubbio, da cuore pulsante a tutta la pellicola. Da questi traspare tutta una serie di significati simbolici che Cronenberg vuole attribuire alla sua storia, abbastanza potenti da lasciare il segno ed essere compresi anche se non spiegati. 'Cosmopolis' è principalmente un film concentrato sui dialoghi, ma non c'è solo questo che lo rende ipnotico e affascinante, c'è anche pathos, adrenalina e inquietudine, sensazioni che vengono rese appieno dal regista e da un Robert Pattinson alla sua prima, vera prova attoriale, risultando una scommessa quantomeno azzardata, ma sorprendentemente vinta. Il bello del nuovo cult di David Cronenberg è che ha più di una chiave di lettura. Che lo si veda come una feroce lettera di denuncia sulla decadenza del capitalismo o come un opera d'arte post-moderna o ancora come una riflessione sulla condizione dell'essere umano in un mondo multiculturale invaso dalla tecnologia e dalla presenza invadente e onnipresente dei mass media, 'Cosmopolis' è l'opera più audace di Cronnenberg, capace di entrare nell'immaginario collettivo di molti, incarnando le ansie e le paure della società globalizzata, dandoci una visione perversa e malata dell'imminente futuro che si trova subito dietro l'angolo.
Frase cult: “Morire è uno scandalo, ma lo facciamo tutti.”
Scott Pilgrim vs the world
Immaginate di andare al cinema a vedere quello che sembra il solito film dell'adolescente sfigato che prova a sfondare con la sua rock band e che cerca di conquistare la ragazza dei sui sogni. Non appena compare il logo della Universal, capite che questo non sarà il solito film, poiché il logo è rappresentato come una schermata in pixel in stile avventura grafica della Lucas Art con tanto di musichetta sintetizzata. E questo e solo l'inizio. Passo dopo passo capite che quello che state guardando è un qualcosa di mai visto prima su grande schermo, una perfetta commistione di generi e meccanismi visivo-narrativi, che avete visto solo nei fumetti, nei manga e per ultimo nei videogiochi. All'inizio del decennio, il talentuoso cineasta Edgar Wright presenta al pubblico 'Scott Pilgrim vs the world', col non facile intento di accontentare sia i fan della serie a fumetti di Bryan Lee O'Malley sia il pubblico generalista, che non conosce la graphic novel né, con molta probabilità, gran parte delle citazioni e fonti di ispirazione insite in essa. Infatti la serie originale è piena zeppa di citazioni e rimandi alla cultura nerd, in particolare nella struttura della trama e nel desing dei personaggi che richiama lo stile dei manga giapponesi. Ma la particolarità dell'opera originale risiede principalmente nel suo forte legame con il mondo videoludico. Infatti sono parecchie le situazioni che fanno pensare che questo film sia tratto da un videogioco invece che da una serie a fumetti. Dai combattimenti in stile 'Street Fighter' agli scontri con peltro e chitarra in stile 'Guitar Hero'. Dai nemici che esplodono in nuvole di monetine alle vite extra in stile videogioco 8-16 bit. Dalle mosse speciali per mettere al tappeto l'avversario alle armi e oggetti che aiutano il personaggio ad avanzare di livello. Tutto ciò condito con un montaggio fluido e quel tocco demenziale e citazionista tipico del cineasta britannico che si sposa perfettamente con l'opera di O'Malley a un livello narrativo e grafico a dir poco impressionante. E' proprio nell'approccio grafico al materiale originale si nota l'estro e la perizia di Wright, che ha saputo riprodurre perfettamente sul grande schermo ritmi, stilemi e caratteristiche grafiche di videogiochi e fumetti. Non è certo il primo a tentarci, ma la lezione appresa da pellicole come '300', 'Sin City', 'Kick-Ass' e lo 'Spider Man' di Sam Raimi ha sorbito evidentemente i suoi frutti. Le soluzioni grafiche applicate all'immagine, con onomatopee e linee cinetiche che sembrano aggiungere una terza dimensione al film anche senza occhialetti 3D, sono infatti perfettamente integrate nel corpus della pellicola, così come i vari effetti, sia grafici che sonori, tratti dalla più comune pratica videoludica. In conclusione, 'Scott Pilgrim vs the world' è un film paragonabile a 'Grosso guaio a Chinatown' di John Carpenter: grosso flop al botteghino, ma grande cult amato e rispettato anni dopo.
Frase cult: “Se la tua esistenza avesse una faccia, la prenderei a pugni!”
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