Milano / Malpensa
I 'ritirati sociali'...
- 07/12/2017 - 16:25
- Frecce sui nostri giorni
In Giappone sono già oltre settecentomila; in Europa, sconosciuti fino a vent’anni fa, vanno crescendo a ritmi preoccupanti: sono i ritirati sociali, o neet (not education, employment, training), o alla giapponese, Hikikomori. Si tratta del problema, nuovo e crescente, dei giovani che smettono di andare a scuola, non cercano un lavoro, troncano le relazioni sociali, si ritirano nella propria stanza e guardano il mondo attraverso lo schermo del proprio pc, unica via di accesso che lasciano aperta. Purtroppo, spesso, in questi casi, il pc serve come nicchia di riparo, un luogo, una realtà alternativa e fasulla, nella quale rinchiudersi per proteggersi dalla realtà autentica e dalle sfide che comporta, considerate troppo ardue per essere affrontate. Non è un caso che il fenomeno, che da qualche anno si è cominciato a studiare con grande serietà, sia più diffuso nelle società e nelle culture più competitive e meno “empatiche”, cioè dove le persone faticano di più ad entrare in sintonia. Il giovane, generalmente maschio, sente un pesante senso di insicurezza davanti al mondo dei coetanei e degli adulti, che avverte lontani e indifferenti; l’autoreclusione scatta generalmente dopo un atto di prepotenza o di bullismo del quale egli è vittima: la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. I tempi di recupero e di rieducazione ad una sana vita sociale, possono essere lunghi e vanno accompagnati da specialisti attenti e competenti, che devono intervenire su tutto il nucleo familiare, non solo sul ragazzo che si isola. Scrive lo psicoanalista Luigi Zoja: “Forse la loro rinuncia è, all’origine, una ricerca di qualcosa che è assente dalla società” (‘La morte del prossimo’). Certo se dedicassimo maggiore attenzione, delicatezza e ascolto a chi ci sta vicino, contribuiremmo significativamente ad arginare il disagio dal quale questi ragazzi fuggono. Possiamo molto per migliorare il mondo nel quale viviamo.
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