I risultati delle elezioni inglesi di giovedì 4 luglio hanno premiato la visione politica di Keir Starmer e completamente sventrato il gruppo conservatore.
L’ultima volta di un laburista al 10 di Downing street era il 2010; era Gordon Brown e succedeva allo storico Primo Ministro labour, Tony Blair. Basterebbe questo per misurare l’importanza dei risultati delle elezioni inglesi di giovedì 4 luglio, i quali hanno premiato la visione politica di Keir Starmer e completamente sventrato il gruppo conservatore. La vittoria, a dir la verità, era piuttosto annunciata, ma è la distanza e la maniera con la quale si è concretizzata, che impone di non categorizzarla come semplice esito elettorale. Dopo 14 anni consecutivi di governo i conservatori sono a “rischio estinzione”, un unicum nella storia dei tories, che mai avevano fatto registrare un così basso numero di parlamentari eletti. Il disastro, oggi attribuito al leader Sunak, è però figlio di un mal governo che viene da lontano. Già dall’ultimo vero leader dei tory, David Cameron, il quale, certo di un successo del “remain” accordò il referendum sulla Brexit, trovandosi a dover fronteggiare un’improvvisa onda di euroscetticismo populista. Da qui un rincorrersi di politiche volte a contenere i danni di una così folle scelta, dunque Theresa May e Boris Johnson, che, nel tentativo di dirimere la questione, senza affossare l’economia inglese hanno dovuto lavorare con l’acqua alla gola e strappare un accordo quadro con l’Unione Europea. Il disastroso mese di Lizz Truss e i problemi interni (anche legati alla gestione del Covid di Boris Johnson) hanno consegnato a Rishi Sunak un anno di governo dal destino segnato. L’economia è peggiorata, le tasse aumentate, il mercato del lavoro ingolfato, i servizi peggiorati e i rapporti con i propri alleati sempre più difficili a causa di una distanza non più soltanto fisica. Oggi gli inglesi hanno punito severamente i tories (154 seggi su 650) per le condizioni di salute di un paese, che hanno voluto loro stessi. Certamente non abbiamo visto la migliore generazione conservatrice della storia della monarchia parlamentare inglese, ma il risultato è, forse, troppo pesante. In Inghilterra comincia adesso l’era Starmer, democratico, riformista, progressista e che, a differenza del suo inadeguato predecessore, Corbyn, ha saputo parlare di misure per la crescita dopo anni in cui il principale tema a sinistra era come contrastare i ricchi. Una ventata di freschezza, certo, supportata da una maggioranza che sarà forte (405 seggi grazie al sistema elettorale) e monocromatica. Nei prossimi giorni si comporrà il gabinetto esecutivo, nella speranza che Starmer possa legittimare quella che, ad oggi, sembra più una sconfitta dei conservatori, che un trionfo dei laburisti.