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Cultura, Storie

San Biagio, la storia del protettore della gola

La ricorrenza di San Biagio porta con sè un grande carico di tradizioni, dal panettone conservato alla benedizione della gola. È proprio la storia del santo che ci permette di capire tutti i riti che ancora oggi celebriamo.

La ricorrenza liturgica di san Biagio si celebra il tre febbraio. Nel nostro territorio è ancora viva la devozione particolare per il santo, che si lega strettamente alla benedizione della gola. ancora viva infatti la tradizione di conservare per l’occasione un panettone (o comunque un dolce natalizio) che viene consumato una volta benedetto durante la celebrazione eucaristica del giorno, alla fine della quale per altro si svolge il rito della benedizione della gola con le due candele incrociate.

Riti e tradizioni il cui fondamento risiede proprio nella vita del santo. Biagio infatti fu un medico di origini armene che visse nel quarto secolo, in un periodo nel quale la religione cristiana iniziava a farsi strada anche nelle istituzioni dell’Impero romano (l’editto di Milano, che concesse ai sudditi la libertà di celebrare la propria fede, è del 313) nonostante dovesse affrontare ancora molte resistenze.

Biagio visse una vita intensa, durante la quale era solito guarire con l’arte medica chiunque gli chiedesse aiuto; venne anche nominato vescovo della sua città, Sebaste (attualmente in Turchia, al centro dell’Anatolia), e in quel contesto di lotta religiosa venne anche imprigionato. Anche nella prigione riceveva e sanava molti ammalati e un giorno si recò da lui una madre il cui figlio stava morendo soffocato, per aver ingoiato una spina di pesce: Biagio lo benedisse e lo risanò immediatamente. La buona mamma, per ringraziarlo, gli offrì una candela per illuminare di notte la cella e un po’ di cibo. Da qui nacque la tradizione di benedire, con due ceri incrociati, la gola dei fedeli nel giorno della sua festa. Questo episodio valse a san Biagio la qualifica di protettore di tutti i mali della gola.

La tradizione che ancora oggi viviamo, dunque, risale all’agiografia di un santo che, per dedizione e cura del prossimo, sa dire ancora molto anche alle coscienze del 21esimo secolo.

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