Il problema delle paghe basse in Italia non è legato alla dimensione contrattuale, ma a quella della produttività. Di fatto, la lotta per il salario minimo è uno specchietto per le allodole delle opposizioni.
La questione del salario minimo è tornata alla ribalta nel dibattito pubblico, ancora una volta però senza che le parti abbiano alcuna intenzione di scendere nel merito della questione e valutare, per davvero, se la misura possa essere utile a migliorare le condizioni di lavoro di alcune fasce di popolazione. In questi anni, come al giorno d’oggi d’altra parte, il discorso del salario minimo ha sempre rappresentato più una bandierina politica piuttosto che una reale intenzione legislativa, consentendo alle forze partitiche che più si agitavano in supporto di fare buon viso e cattivo gioco nei confronti di un paese speranzoso di poter ottenere un maggior benessere individuale. Invece, purtroppo, è praticamente certo che l’introduzione del salario minimo non avrebbe alcun effetto in questo senso. Le cause al problema dei bassi salari italiani non sono legate alla presenza di un salario minimo, bensì alla scarsa produttività del lavoro, ferma in Italia da oltre trent’anni, e all’elevatissimo costo dello stesso. In Italia, in effetti, pur non esistendo una legge che garantisca un salario minimo legale, è come se questo esistesse già. La Direttiva (UE) 2022/2041 relativa all’introduzione di salari minimi adeguati all’interno dell'Unione europea prevede infatti che un paese si adoperi per l’introduzione di un minimo salariale qualora non vi fosse sul territorio una copertura con contratti di lavoro con contratto collettivo nazionale del lavoro pari ad almeno all’80% del totale dei rapporti in essere. Considerando a tal proposito che in Italia esistono 992 CCNL con una copertura stimata dal servizio studi della Camera dei Deputati in oltre il 99% dei rapporti subordinati, possiamo allora comprendere come la garanzia del minimo orario sia già ben presente nei contratti degli italiani. Ma non solo: di questi 992 CCNL (un’assurdità), nessuno degli 11 più applicati prevede (secondo uno studio di Adapt riportato dal Sole24Ore) un trattamento economico pari o inferiore alla proposta di legge a firma PD, M5S, Azione e +Europa. In questa posizione non è solo l’Italia, ma anche diversi stati europei, che hanno scelto di garantire il giusto compenso con i CCNL, come l’Austria, la Danimarca, Cipro, la Finlandia e la Svezia. Quindi va tutto bene così? Non proprio. Ovviamente è da attenzionare la questione dei rinnovi dei contratti collettivi, troppo spesso rallentata per motivi banali, ma soprattutto ragionare su una riforma fiscale strutturale (non a tempo come siamo abituati), in grado di ridurre il cuneo per aumentare le buste dei lavoratori. Chiudiamo rispondendo all’obiezione finale tipica di chi ritiene il salario minimo la panacea di ogni disgrazia: “e i riders?” a questi si applica un CCNL specifico con salario minimo da 10 euro/ora. Il lavoro povero esiste ed è una piaga e spesso si consuma a nero o con contratti irregolari, ma far passare il minimo salariale come la soluzione al problema è soltanto un esercizio di demagogia.