Controlli più stringenti nelle località da “seconda casa”: il comune può negare la residenza anche se i controlli dei vigili sono stati fatti in orario d’uffico.
Con l’Ordinanza n. 8982 del 30 marzo 2023, la Suprema Corte di Cassazione ha respinto il gravame proposto avverso la sentenza di secondo grado - emessa dalla Corte d’Appello di Aquila – a conferma della sentenza di primo grado, con la quale era stata rigettata la domanda di una donna che si era vista cancellare il nominativo dai registri dell’anagrafe del Comune.
Il Tribunale aveva disatteso la domanda della parte attrice, evidenziando l’assenza della stessa dall’abitazione di residenza in occasione dei ripetuti sopralluoghi effettuati, nonché l’inidoneità degli elementi di prova portati dall’attrice a sostegno delle proprie domande.
In breve, il Giudice d’Appello aveva condiviso le motivazioni del Tribunale in ordine alla mancata dimostrazione, da parte della donna, dei presupposti fattuali necessari per l’iscrizione al registro anagrafico del Comune interessato.
Nel merito, la principale doglianza di parte attrice consisteva nella contestazione circa il momento scelto dall’amministrazione comunale per le verifiche: tutti i sopralluoghi dei vigili comunali erano stati eseguiti sempre tra le 10 e le 12 dei giorni feriali quando, con tutta evidenza, la donna si trovava fuori casa per ragioni di lavoro; inoltre, a sostegno delle proprie ragioni si allegava che la donna era la proprietaria dell’immobile ed era, altresì, amministratrice del condominio ove lo stesso si trovava. Era evidente, quindi, che lei fosse ivi residente.
La Suprema Corte ha espresso, invece, parere contrario dichiarando inammissibile l’impugnazione in quanto la ricorrente, nei precedenti gradi di giudizio, non aveva fornito la prova della sua effettiva e costante frequentazione dell’abitazione sita nel Comune interessato, non ritenendo sufficienti i documenti dalla stessa allegati che, a detta della Corte, avrebbero ben potuto essere integrati, ad esempio, con la produzione in giudizio delle bollette con coerenti consumi delle utenze domestiche.
Parte attrice aveva argomentato affermando che l’attività lavorativa può essere svolta anche in Comuni diversi da quello di residenza, con ciò giustificando anche lunghe e ripetute assenze dall’abitazione principale pur mantenendo, nella predetta abitazione, il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.
La Corte non ha condiviso tali assunti evidenziando che: (i) la residenza di una persona, stando all’art. 43 del c.c., è determinata dalla volontaria e abituale dimora in un determinato luogo; (ii) che tale considerazione assume oggi una valenza ancor più pregnante stante l’epoca attuale caratterizzata da una pluralità di centri di interesse personali, da una più agevole a rapida possibilità di spostamento, nonché da nuove e alternative modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Per questo, la verifica dell’effettività della residenza dichiarata impone il ricorso a controlli più attenti – che seppur non devono essere incompatibili con le esigenze quotidiane di ogni cittadino – non possono essere preventivamente concordati con l’interessato proprio per non vanificare la ratio della norma.
In definitiva, la Corte ha voluto sottolineare, con la presente Ordinanza e richiamando altri precedenti, come la decisione n. 3841 del 15 febbraio 2021, che affinché siano contemperate le esigenze del Comune di svolgere i propri controlli in modo idoneo ed evitare ogni forma di abuso da parte del cittadino e, nel contempo, permettere al cittadino di svolgere serenamente le proprie occupazioni, occorre la leale collaborazione tra i due soggetti che prevede, ad esempio, la possibilità per il cittadino di indicare all’amministrazione i momenti in cui sarà certa la sua assenza (orari di lavoro), fornendo, ovviamente, allo scopo, adeguata motivazione. In caso contrario, le modalità scelte dall’amministrazione comunale per lo svolgimento dei sopralluoghi per la verifica della residenza, non potranno essere contestate.