L'attuale situazione migratoria somiglia più a una tendenza consolidata piuttosto che a un’emergenza che richieda quei mezzi e poteri straordinari che sono stati concessi dal governo Meloni.
È notizia delle ultime ore che il Consiglio dei Ministri presieduto da Giorgia Meloni ha deliberato lo stato di emergenza “per dare risposte più efficaci e tempestive alla gestione dei flussi migratori”. L’approvazione è avvenuta, come da prassi, in virtù delle disposizioni previste nell’art. 24 del Codice della Protezione Civile, secondo le quali è possibile intervenire dichiarando lo stato emergenziale davanti a “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo, che in ragione della loro intensità o estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari”.
Ma siamo davvero certi che la situazione sia tale da richiedere tutto questo? Dichiarare lo stato di emergenza, benché abusato, non è un formalismo e non è banale. Partiamo allora dai numeri per inquadrare un contesto che, effettivamente, racconta di un flusso in ingresso dal Nordafrica quadruplicato rispetto ai valori dello stesso periodo nell’anno passato (7928 ingressi ad aprile ’22 vs 31292 ingressi ad aprile ’23). Numeri, però, che se contestualizzati all’interno di un frame temporale più ampio, ci dicono anche che negli anni più difficili del fenomeno migratorio (dopo gli eventi bellici in Libia e Siria e le primavere arabe) nello stesso periodo dell’anno (aprile) nel 2014 si registravano 27mila ingressi; nel 2015 26mila ingressi; nel 2016 27mila ingressi; nel 2017 37mila ingressi. Questi dati non hanno mai legittimato uno stato di emergenza, tanto che si sono poi stabilizzati per mano degli interventi ordinari del Ministro Minnici.
Sembrerebbe, dunque, che ci troviamo innanzi ad una situazione che somiglia più ad una tendenza consolidata degli ultimi anni, piuttosto che un’emergenza che richiede mezzi e poteri straordinari. Se possibile, anzi, che richiede una soluzione perseguita con mezzi ordinari, ampliando e rendendo funzionanti e strutturali i piani di accoglienza e affiancando ad essi un piano di azione strategico, coordinato e scadenzato nel tempo che possa contenere le partenze per ridurre l’immigrazione irregolare (e le migliaia di morti innocenti ogni anno).
L’esperienza dello stato di emergenza perenne vissuto durante la pandemia da Covid-19 dovrebbe averci insegnato che l’efficienza di un paese si trova nel funzionamento regolare delle sue strutture routinarie, non in super capi responsabili di bypassare i limiti di un apparato ingessato. Se il problema è la struttura, intervenire sulla struttura dovrebbe costituire la misura emergenziale per eccellenza; rendere ordinario lo straordinario non ci aiuterà.