Il caso di Eluana Englaro e il dibattito di bioetica che ne consegue
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su una situazione di vita drammatica. Eluana Englaro è una donna di 38 anni che, a seguito di un grave incidente d’auto, dal 1992 si trova in uno stato medico particolare denominato Stato Vegetativo Persistente (SVP). Eluana non è in coma: lo SVP è una condizione in cui il cervello si trova danneggiato in modo che la zona che gestisce tutte le attività coscienti è compromessa o isolata dal resto del sistema nervoso. Resta attiva la parte del cervello che gestisce le attività vitali: un paziente in SVP conosce il ciclo veglia-sonno, gestisce normalmente la regolazione termica del corpo, respira autonomamente e realizza, in modo più o meno compiuto, i riflessi fondamentali (tra cui la deglutizione, la tosse, etc). Eluana ha una famiglia, degli amici, che con lei condividono questo dramma terribile. Ciò che costoro affermano è che la condizione in cui Eluana si trova non doveva essere. La stessa giovane aveva più volte espresso di fronte all’esperienza di alcuni amici sottoposti a rianimazione, che non avrebbe mai voluto essere rianimata. Purtroppo questa volontà non è stata rispettata e quell’intervento l’ha condotta all’SVP. Il padre chiede che sia ripristinata la volontà della figlia, ma qui sta il serio problema che potremmo esprimere così: il tempo non può essere riportato indietro. Non si può cancellare quella pratica di rianimazione pur in nome di un principio bioetico fondamentale quale quello dell’autodeterminazione delle cure. Ecco perché questa richiesta si trasforma in qualcosa di diverso: togliere Eluana da questo stato diventa toglierle l’unica cosa che la tiene in vita, come tiene in vita ciascuno di noi: l’alimentazione. Eluana infatti è alimentata attraverso un sondino naso-gastrico e una flebo. Ma questa procedura non è chiaramente una terapia (il sondino nutre Eluana, non la cura) e tanto meno una cura sostitutiva (cioè non sostituisce una funzione mancante come può essere un respiratore artificiale per chi ha una carenza polmonare). Questa è la questione moralmente drammatica: Eluana vive in una condizione al limite e non voluta da lei, ma non c’è nulla che la tenga in questo stato se non il cibo, come per ciascun altro di noi. Una seria riflessione morale su questo caso comporterebbe un’analisi di tutta una serie di problematiche relative al senso di un aiuto artificiale alla vita e al valore e alla gestione di una determinazione personale delle cure . Ci sembra però, che tutto ciò debba partire da questa consapevolezza: il dramma fondamentale di ogni vita è l’irreversibilità degli errori vissuti e subiti. Pretendere un’inversione della linea del tempo significa in questo caso privare quella giovane donna del cibo che la nutre. Esito di questa pretesa però non potrà essere il ripristino della volontà, ma semplicemente la sua morte per fame. (Don Stefano Cucchetti, nato a Cuggiono nel 1978, è stato assistente di Teologia Morale presso la ‘Pontificia Università Gregoriana’, ora insegna Bioetica presso il Seminario di Venegono). Di don Stefano Cucchetti.