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Robecchetto, Cultura

'Play': il Quaderno n.7 del Guado

Un mix praticamente perfetto di storia, arte e cultura che, partendo dal passato, guarda con grande attenzione al presente e al futuro. Si intitola 'Play', il 'Quaderno' n.7 dato alle stampe cinquant’anni dopo quelli del Guado usciti assieme alle esperienze di 'Guadolibro' e di 'Guadogiornale'.

Un mix praticamente perfetto di storia, arte e cultura che, partendo dal passato, guarda con grande attenzione al presente e al futuro. Si intitola 'Play', il 'Quaderno' n.7 dato alle stampe cinquant’anni dopo quelli del Guado usciti assieme alle esperienze di 'Guadolibro' e di 'Guadogiornale'. Una fitta raccolta di opere a disegno di Giuseppe Abbati, contrappuntate dai testi di Donatella Tronelli, dello stesso Abbati, di Bros, di F.G.A.M.O. e di Francesco Oppi, dove la creatività e le emozioni si mischiano assieme, dando vita a qualcosa di davvero unico e speciale. "Un vero pro memoria dei nostri tempi e, perché no, di quelli che non vorremmo veder venire... Felici di condividere questa “guasconata”, dedicata al Nulla imperante, inauguriamo un altro Guado, lo stesso di domani, proseguendo con le edizioni degli storici Quaderni - scrivono". "Un foglio dopo l’altro, non so ancora bene quanti - continua Donatella Tronelli - Il rimando immediato è al fumetto, ma all’inizio non capisci, ti confondi, ti spiazzi. Poi man mano tutto comincia a prendere logica, farsi racconto, sorta di epopea contemporanea, viaggio per sprazzi frullati dentro una società nei suoi idoli. E allora, play. Giochiamo. E per compagni i migliori, gli amici fidati, quelli sinceri come l’infanzia perduta, la sagacia di Topolino e l’innocenza di Pluto, il ghignetto di zio Paperone e la saggezza consapevole di Gambadilegno, o Braccio di Ferro con l’esagitata Olivia... E, naturalmente, Paperino, il puro, nel cui primo piano, perplesso e desolato, parrebbe riflettersi ognuno di noi, Abbati in primis. Giochiamo, sì, ma il gioco si fà duro, così dicono. E a sottolinearlo, con la pregnanza propria, c’è il nero pastoso e tragico della matita grassa, già di per sé evocativo, che immerge il segno nella carta per poi risputarlo con plastica violenza, dando impronta pittorica anche alle cancellature e riempiendo di sé persino i vuoti delle vocali. Il colore fa solo capolino, ma in brandelli dipinti o a collage, ritagliati da giornali o messaggi pubblicitari o assurde etichette d’immaginifici prodotti, caotica ma non improbabile scenografia all’interagire convulso dei personaggi. Giochiamo. Abbati l’ha fatto per due anni, dal 2018 al 2019, forse d’input, fissando frammenti e impressioni in un diario figurale che è testimonianza, ma anche sensibile precognizione, visto quanto successo dopo e continua a succedere".

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