La sentenza ha statuito che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione.
Il Comune è stato condannato a pagare i danni provocati all’auto finita in una buca coperta d’acqua sull’asfalto. È quanto emerge dalla sentenza emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, in data 10/05/2022, nel giudizio d’appello (Sentenza 1043, Sezione Prima Civile) proposto dal proprietario di una utilitaria danneggiata a seguito del sinistro avvenuto sulla pubblica strada.
La sentenza ha statuito che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile, dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione.
A riguardo, il giudice d’appello ha evidenziato che alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali devi ritenersi ormai superato l’originario orientamento che riteneva non applicabile l’art. 2015 c.c. sui beni demaniali sul presupposto che la loro estensione e il loro generalizzato utilizzo rendesse impossibile l’esercizio di un adeguato controllo e di una adeguata vigilanza sugli stessi.
Nello specifico, l’auto dell’appellante veniva danneggiata dopo essere finita, con la ruota anteriore, in una grossa buca coperta dall’acqua dopo un forte temporale e di notte; i Carabinieri intervenuti sul posto confermavano la dinamica del sinistro e l’entità dei danni. La proprietaria dell’auto agiva quindi in giudizio al fine di veder condannato il Comune al risarcimento dei danni patiti, comprensivi delle spese sostenute per la riparazione del veicolo richiedendo, altresì, il rimborso delle spese di fermo tecnico e producendo, allo scopo, la documentazione fiscale rilasciata dal meccanico riparatore.
Secondo i giudice del Tribunale adito, l’appellante ha assolto l’onere della prova sulla stessa gravante: dimostrare il danno e il nesso causale tra la lesione e la cosa in custodia. Al contrario, sempre a parere del menzionato giudice d’appello, il Comune convenuto in giudizio non è stato in grado di dimostrare la sussistenza di un elemento esterno in grado di interrompere il nesso causale. Infatti, precisa il Giudice, è dalla proprietà pubblica della strada che sorge l’obbligo di custodia – che è oggettiva e presunta fino a prova contraria -nonché l’obbligo di manutenzione. Mentre l’azione ai sensi dell’art. 2043 c.c. comporta la necessità per il danneggiato di provare l’esistenza del dolo o della colpa a carico del danneggiante, nel caso di azione fondata sull’art. 2051 c.c. la responsabilità del custode è prevista dalla legge per il fatto stesso della custodia, potendo questi liberarsi soltanto attraverso la gravosa dimostrazione del fortuito (cfr. Cass. Civ. 14622/2009 e 18520/2009).
Si osserva, infatti, che tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, ricollegabile all’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe.
Sul punto, il giudice d’appello ha ritenuto di risarcire la conducente dell’auto solo della metà del danno riportato in quanto, dai rilievi delle forze dell’ordine, era emersa una condotta di guida non adeguata, in particolare, la conducente non avendo rallentato sulla carreggiata dissestata dopo un temporale avrebbe concorso con il suo contegno al verificarsi del sinistro. La signora avrebbe dovuto ridurre la velocità dell’auto conoscendo la strada dissestata e in condizioni di visibilità ridotta e, per questi motivi, è stato riconosciuto in sentenza un concorso di colpa in applicazione dell’art. 2054 del codice civile.
Un’ultima nota: il giudice del tribunale ha rigettato la richiesta di liquidazione del danno per il fermo tecnico dell’auto in assenza di prove a supposto: tale danno non sarebbe, infatti, risarcibile per la sola impossibilità del proprietario del veicolo di utilizzarlo per il tempo necessario alla riparazione in assenza della prova specifica dell’esistenza dello stesso. Sul punto, la Corte di Cassazione ha statuito che il danno da fermo tecnico deve sempre essere allegato e dimostrato attraverso la prova della spesa sostenuta (cfr. Cass. Civ. 13718/2017; Cass. Civ. 20620/2015); solo con il deposito in atti della documentazione fiscale comprovante la situazione di fermo (es. ad esempio per procurarsi un mezzo sostitutivo) l’appellante avrebbe avuto diritto anche al predetto ristoro.