Problema o sfida? Le comunità cristiane di Magenta si interrogano
Lunedì 31 gennaio e giovedì 10 febbraio: due serate promosse dall’Unità di Pastorale Giovanile di Magenta per riflettere insieme sulle sfide educative posta dagli adolescenti. Soprattutto quelli che qualcuno apostrofa come maleducati o “tamarri”, che sembrano non avere regole, che danno fastidio. Invito rivolto a tutti coloro che, in città, hanno a cuore l’educazione: rispondono presente oratori, genitori, qualche insegnante di religione, il gruppo scout “Magenta 1”.
Il primo incontro è la testimonianza di suor Maria Baroni, responsabile della Casa Famiglia Spirito Santo di Trecate. Parla della sua esperienza quotidiana, perché “per educare non servono tante teorie, ci vuole la vita”. L’adolescente, spiega, è un miscuglio di energie, rabbia, confusione: più che capito, deve essere amato. Ma di quell’amore che conosce la giusta distanza, che permette lo sbaglio e lo sa accogliere. Perché le regole non hanno senso senza una relazione che le motiva. “Oggi tutti i ragazzi, anche chi può contare su una famiglia, fanno fatica a trovare adulti seri, che li facciano entrare nella realtà. Perciò non ha senso dividerli tra beneducati e maleducati: al di là delle nostre etichette, i disagi che provano sono gli stessi”.
Questa provocazione forte lancia il secondo incontro: ci si ritrova per proseguire oltre le riflessioni iniziate pensando a nuovi passi concreti in cui tradurre la cura educativa per gli adolescenti. E per la prima volta i vari gruppi che svolgono servizio educativo a Magenta si incontrano attorno a un tavolo per ragionare insieme: ci si conosce e ci si confronta. La volontà, tuttavia, non è di partire nella costruzione di un grande progetto o di chissà quali iniziative. “Dobbiamo ricordarci sempre che il nostro servizio è conseguenza del nostro essere cristiani. Solo così possiamo essere per gli altri come il Samaritano della parabola evangelica” chiarisce don Giovanni Piazza, responsabile dell’UPG. “Prima di tutto, perciò, occorre interrogarsi: quale stile di accoglienza coltivano i nostri gruppi?”. Da qui si parte, per coinvolgere ancora di più le comunità in questa sfida “che è di tutti”.