Vi è un tempo per il silenzio. Perchè forse nessuno di noi può dire di non aver perso un parente, un amico, un conoscente, una persona cara in quell'asettica cifra di 102.010 decessi per Covid-19.
Da quel maledetto 21 febbraio 2020, da quella prima segnalazione dall'Ospedale di Codogno, è passato poco più di un anno. Un anno che sembra una vita, come una vita diversa sembra essere quella che ci offre la quotidianità rispetto a quella che era nostra abitudine. Da quel giorno, ogni singolo giorno, verso le 17 del pomeriggio noi giornalisti attendiamo i report nazionali da poter presentare a voi lettori e cittadini. Numeri, numeri freddi: quanti positivi in più, quanti guariti, come e dove aumentano i casi negli Ospedali, ma soprattutto i decessi. Anche negli ultimi giorni: 300, poi 500, poi 450. Snocciolati come fossero dati asettici, impersonali. E invece no. Perchè si parla di vite, di persone. Che non ci sono più. Giovani e anziani, padri di famiglia, medici, memoria delle comunità.
Quanto fastidio e quanta bassezza nel dover ogni volta ribattere a chi osserva: "Ma sono morti di Covid o di altre patologie? Sarà davvero il Covid?". Chiedetelo a un qualunque infermiere o medico: il coronavirus può essere la causa scatenante di decine di problematiche che portano alla morte. Quindi anche questo discorso puerile è solo critica da bar. Nessuno di noi probabilmente non ha pianto un parente, un amico, un conoscente. Nessuno di noi non è stato in ansia per una persona cara sospesa tra la vita e la morte in quest'anno drammatico.
E volete i numeri? Eccoli: 102.010 le vittime al 17 marzo 2021 in Italia, 29.380 in Lombardia. Un'ecatombe. L'ISTAT ha certificato che dalla fine delle Guerra Mondiale MAI in Italia ci siano stati così tanti decessi.
E allora, forse, alle volte è meglio lasciare spazio al silenzio. Alla preghiera. Perchè di parole se ne usano spesso fin troppe a sproposito.