"Siamo costretti dalla precarietà della situazione (ma sarebbe più corretto parlare di precarietà della vita) a pensare il Natale in forma meno poetica e più essenziale".
Forse dovremmo ringraziare un po’ (non troppo certamente…) questo virus che sta cambiando i ritmi forsennati delle nostre esistenze. “Perché?”, direte voi. Perché sta, forse, riconducendo il Natale alla sua essenza più profonda. Si sta rivelando quanto la corsa ai consumi sia piuttosto insensata a fronte delle povertà vecchie e nuove che la situazione di pandemia ha fatto emergere in modo drammatico. Forse non sono gli acquisti che fanno il Natale ma lo sguardo e una mano data al povero. Forse l’affollarsi frenetico ci è, finalmente, apparso stupido e pericoloso solo nel momento in cui ci siamo visti, in TV, ridotti a un gregge di inconsapevoli diffusori di virus per noi e di umiliazione del povero che fatica ad avere l’indispensabile. Siamo costretti dalla precarietà della situazione (ma sarebbe più corretto parlare di precarietà della vita) a pensare il Natale in forma meno poetica e più essenziale. Certo non ci priveremo della gioia dei nostri bambini di fronte ai doni che aspettano, ma non potremo dimenticare che il dono più desiderato e gradito è quello della presenza, della parola, della vicinanza: cose tutte che sono mancate a chi si è trovato purtroppo a soffrire solitudini desolate in ospedale o in casa propria. Cose tutte, ce ne accorgiamo ora, che troppo spesso abbiamo messo in secondo o terzo ordine nelle nostre indaffarate e congestionate vite. Fermarci a pensare a queste cose forse potrebbe rendere la Messa di Natale meno tradizione e più consapevolezza. Celebriamo un mistero di dono e di presenza da parte di Dio stesso. Rendiamoci dono e presenza a chi ci sta intorno. Ritroveremo umanità e stima di noi stessi. BUON NATALE!