Bruno Casoni, Maestro del Coro della Scala di Milano, ogni anno porta alla Prima un po’ della nostra Magenta.
La prima della Scala andata in scena lo scorso 7 dicembre è stata unica e (si spera) irripetibile: neanche la pietra miliare della cultura milanese, tradizione del giorno di Sant’Ambrogio patrono della città, è rimasta immune al covid-19 e si è dovuta trasformare radicalmente perché il sipario si potesse aprire. Ne è venuto fuori un successo straordinario, trasmesso in diretta tv e in streaming online, dall’evocativo nome dantesco: ‘...a riveder le stelle’, citando direttamente la Divina Commedia, 24 tra le arie più celebri di sempre, inframezzate da balletto e recitato con la regia di Davide Livermore e la partecipazione di cantanti solisti e danzatori di fama internazionale, tra cui anche l’étoile Roberto Bolle. Ci siamo fatti raccontare questa esperienza unica da Bruno Casoni, Maestro del Coro della Scala di Milano, che ogni anno porta alla Prima un po’ della nostra Magenta.
Maestro, cosa si prova a cantare in un teatro completamente vuoto? Deve essere stata un’emozione forte…
“Devo dire che è una grande tristezza, moralmente è molto negativo. Comunicare con il pubblico in diretta è tutt’altra cosa: c’è riscontro, c’è l’applauso, c’è feeling tra l’esecutore e il pubblico. Se questo viene a mancare, anche interpretativamente è difficile mantenere la tensione necessaria”.
Lo spettacolo ‘...a riveder le stelle’ però è stato un grande successo. Cosa ne pensa?
“Secondo me, l’idea del sovrintendente Meyer è stata ottima. Optare per questa manifestazione con partecipazione di cantanti internazionali tra i migliori del mondo con una regia interessante che è riuscita a collegare tutte le romanze, il balletto... si tratta di un successo importante e di un’opera riuscita. Avevamo già iniziato le prove di scena per la ‘Lucia di Lammermoor’ che era in produzione appunto per la prima della Scala di quest’anno, ma quando ci siamo accorti che il contagio si diffondeva, colpendo inevitabilmente anche membri della produzione, ci siamo resi conto che sarebbe stato impossibile andare in scena. C’è giustamente un protocollo sanitario rigidissimo da rispettare… Per questa rappresentazione, il coro era ridotto a 22 membri contro un totale di 105 elementi che compongono l’organico tradizionale e hanno cantato, solo in due brevi interventi, dai palchi di solito occupati dal pubblico, a distanza di un palco vuoto l’uno dall’altro. Con la difficoltà poi di avere presenze impari tra voci maschili e femminili, per non parlare dei vari toni”.
Il distanziamento è proprio uno dei problemi principali nell’attività di un coro...
“Indubbiamente. Dovendo cantare, la distanza deve essere maggiore di quella prevista per parlare. Inoltre, è indispensabile cantare senza mascherina e si emettono liquidi in quantità maggiore rispetto a quando si parla: tutto questo presuppone un distanziamento maggiore. Siamo riusciti in settembre a fare una buona ripresa della stagione con repliche della Messa da Requiem di Verdi a Milano, Brescia e Bergamo, poi ancora una ‘Traviata’ e una ‘Aida’ diretta dal Maestro Chailly, con distanziamento di 2 metri anche sul palcoscenico. Quando riprenderemo le attività, dovremo privilegiare opere che permettono di lasciare solo poche persone sul palco contemporaneamente”.
Cosa c’è nel futuro del vostro coro?
“Per ora le nostre attività sono ferme, in attesa di nuovi DPCM e di capire se i teatri potranno riaprire. Nell’immediato, comunque, non vedo soluzioni definitive alla chiusura dei teatri per evitare il diffondersi del contagio”.