Le battute e le pacche sulla spalla con i giocatori e, poi, quel tè, che non mancava mai nell'intervallo tra primo e secondo tempo. Li chiamava i 'suoi ragazzi', perché per lui la Turbighese era molto di più di una normale società di calcio; era la sua 'seconda casa', il suo mondo, una parte importante della sua vita. Il Carlo (Rava), l'esempio e il punto di riferimento per intere generazioni. Il Carlo che era questo e molto altro ancora. "Non vederlo più al campo sarà dura - ricorda il presidente Giordano Garavaglia - Purtroppo, se ne è andato per sempre, ma ogni volta che ci ritroveremo per gli allenamenti o per la partita, è come se sarà di nuovo a fianco a tutti noi, a guidarci e ad indicarci la strada". Arrivato alla Turbighese nel lontano 1972, subito è diventato uno dei capisaldi della storica società del paese. "Se avevi bisogno, lui c'era - continua Garavaglia - Teneva a posto il terreno di gioco, aveva fatto il guardalinee, sistemava gli spogliatoi e, poi, l'immancabile thé, che preparava con grande cura per darlo ai ragazzi, nell'intervallo tra il primo e secondo tempo. Con i calciatori e con gli allenatori aveva un rapporto speciale: le battute che si scambiavano, qualche scherzo anche, i suoi borbottii e, alla fine, eccolo pronto a farsi in quattro per ciascuno di loro. E' stato una vera e propria 'chioccia' per intere generazioni. Non immaginate, infatti, quante telefonate di giocatori ed ex giocatori che ho ricevuto quando hanno saputo che non c'era più. Carlo ci mancherà moltissimo, però da lassù vogliamo che sappia che la Turbighese sarà sempre casa sua".