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Fiera San Martino, Trucioli di storia

Il trasloco di San Martino

"Quando ero piccolo, nei giorni precedenti l’11 novembre in casa mia c’era sempre un gran fermento. I miei genitori erano contadini..."

Quando ero piccolo, nei giorni precedenti l’11 novembre in casa mia c’era sempre un gran fermento. I miei genitori erano contadini, i “famèi” come si usava dire a quel tempo: persone non di certo così ricche da permettersi un appezzamento di terreno ed una casa tutta loro! Ricevevano perciò alloggio e una piccola parte del raccolto dell’anno in cambio di lavoro dal “Sciur Padrun” (come veniva chiamato), un ricco che possedeva tanti appezzamenti di terreni da coltivare. Il contratto di lavoro veniva stipulato annualmente e le scadenze seguivano la stagione agricola. A novembre l’agricoltura si fermava, i terreni cominciavano a non produrre più ed era l’occasione per cercare lavoro per l’anno successivo. Lo si cercava tra i vari proprietari terrieri ed una volta trovato ci si doveva trasferire nelle proprietà di chi quell’anno offriva lavoro. Tutti gli anni, quindi, nei primi giorni del mese si dovevano radunare le poche cose possedute e traslocare. Noi avevamo un carretto sul quale caricavamo l’unico baule che possedevamo con dentro tutto il nostro corredo: un vestito della festa, un cappotto, mutandoni di lana per l’inverno ed una coperta ciascuno. La nostra batteria da cucina era composta da quattro scodelle, quattro piatti con altrettanti bicchieri che avvolgevamo con cura dentro un lenzuolo per non romperli e li ponevamo in una grande cesta in vimini insieme alla farina della polenta e solitamente all’unico pezzo di formaggio della dispensa. Le due pentole ed il paiolo della polenta li appendevamo invece su di un bastone che veniva appoggiato tra le due sponde del carretto. Qualche sedia e la madia... Noi bambini piccoli potevamo salire sul carro mentre i più grandicelli insieme ai genitori, e spesso ai nonni, seguivano a piedi. Si traslocava solitamente da una parte all’altra del paese, solo un paio di volte abbiamo sconfinato nei paesi vicini. La via centrale del paese in quei giorni era una processione di carretti carichi di pochi beni seguiti da persone non certo felici ma comunque speranzose per il nuovo anno di raccolto. La casa che ci aspettava non era quasi mai una sorpresa poiché era sempre una grande stanza con camino o stufa a legna dove si cucinava, mangiava e si trascorreva l’intera giornata, ed una grande camera da letto unica per tutti noi. Mi ricordo che man mano che crescevamo dividevamo la camera da letto appendendo lenzuola a far da parete per ottenere un minimo di riservatezza. Ogni cortile ospitava una decina di famiglie con numerosi figli, la compagnia di giochi non mancava di certo ed era sempre bello scoprire con chi potevi giocare per quell’anno. Finito tutto il trambusto aspettavamo con gioia l’11 novembre, “giorno di San Martino”, poiché si poteva festeggiare, con una succulenta cassoeula, la certezza che per quell’anno potevamo ancora avere un tetto sopra la testa. Andò avanti così per tutta la mia infanzia finchè con gli anni ‘50 arrivò un pochino di benessere tanto che i miei genitori riuscirono con la fatica ed il sudore a comprarsi una piccola cascina con qualche terreno attorno. Ho sempre fatto il contadino e cresciuto i miei figli in questo mondo ed ora che sono grandi hanno trasformato quella piccola cascina in un bellissimo agriturismo ed io ne vado fiero! Partire dal nulla e da un solo rischioso sogno ed ottenere un’attività tutta tua, e dei tuoi cari, non ha prezzo. San Martino mi è sempre stato caro, mi ha sempre protetto durante i miei traslochi e dato forza per superare la fatica quotidiana. Quest’anno non lo potrò festeggiare in compagnia dei miei tanti amici ma sono sicuro che proteggerà me e tutta la mia famiglia anche in questi giorni così difficili. Soprattutto proteggerà l’agriturismo dei miei figli. Perchè è vero che San Martino è patrono dei soldati e dei mendicanti poiché da cavaliere ha stracciato la sua veste dividendola con un poveretto ma è anche vero che è patrono di sarti ed albergatori, per questo quest’anno lo sento di più mio.
Nonno Santino

Bassa Bergamasca, anni ‘40/’50

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