Quota cento sarà congedata dal servizio dopo soli tre anni di attività, è questo, sostanzialmente, il succo del messaggio lanciato dal Premier Giuseppe Conte.
Quota cento sarà congedata dal servizio dopo soli tre anni di attività, è questo, sostanzialmente, il succo del messaggio lanciato dal Premier Giuseppe Conte al festival dell’economia di Trento. Ma non saranno la logica e il buon senso ad abolirla, gli stessi che fin dall’inizio dimostravano tutta la pericolosità di un tale provvedimento, ma ancora una volta il tatticismo politico. Non sarà il governo, dicevamo, perché non è questo il segnale di un tardo, ma pur sempre tale, rinsavimento dell’esecutivo sulle politiche utili al paese, quanto più la scelta politica di non rinnovare la misura al suo termine programmato. Una riallocazione seria delle risorse avrebbe voluto che insieme all’abolizione di quota cento si procedesse, tra le altre cose, al parallelo smantellamento del Reddito di Cittadinanza, ma ovviamente questo non poteva avvenire: il Movimento non l’avrebbe consentito. Dunque, meglio accontentarsi, e, posto che non tutto il male viene per nuocere, l’esito di questa mossa finisce per fare veramente del bene al paese. Lungi dai proclami salviniani, quota cento è stata infatti non solo un salasso per i conti pubblici, ma un vero e proprio fallimento anche dal punto di vista occupazionale. Se secondo la Lega questa avrebbe dovuto portare ad un tasso di sostituzione dei pensionamenti anticipati pari a 1 uscita contro 3 assunzioni, questa ha in realtà prodotto meno di 1 assunzione per ogni pensionamento. Le domande di anticipo pensionistico con quota cento sono state di gran lunga inferiori rispetto alle aspettative (circa 150 mila in meno su una previsione di 300 mila), ma, complice la pressoché assoluta mancanza di turnover, hanno avuto comunque un forte peso sul tasso di occupazione del nostro paese. Dal punto di vista economico quota cento ha contribuito in maniera decisa all’incremento della spesa previdenziale in rapporto al Pil, portandola al 16% e costando agli italiani circa 20 miliardi nel triennio 19-21. E la relazione annuale della Corte dei conti non lascia scampo: “In un sistema previdenziale che eroga ancora gran parte delle prestazioni ad elevata componente retributiva, misure ampliative della spesa attraverso l’anticipo dell’età di pensionamento rispetto a quella ritenuta congrua con l’equilibrio attuariale e intergenerazionale, il blocco dell’indicizzazione dell’età di uscita dal lavoro alla speranza di vita e la reintroduzione del sistema delle finestre, comportano sia esigenze di cassa immediate, sia debito implicito”.