Giovedì 30 aprile, alla vigilia della Festa del Lavoro del 1° maggio, Veglia di preghiera con l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, alle 21 su Chiesa Tv (canale 195 del digitale terrestre), Radio Marconi, Radio Mater e www.chiesadimilano.it. In vista di questo appuntamento pubblichiamo una riflessione di don Walter Magnoni, responsabile del Servizio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro.
«Dal momento in cui la peste si fu realmente impadronita di tutta la città […] disorganizzò tutta la vita economica determinando un numero considerevole di disoccupati» (Albert Camus, La peste). Queste parole sono solo alcune di quelle che si potrebbero citare per descrivere le analogie tra il quadro presentato dallo scrittore francese nella sua opera e i nostri giorni. Il testo infatti rappresenta bene una città che inizialmente minimizza il problema e solo di fronte a un’emergenza ormai evidente comincia a prendere le giuste misure per contrastare il male, anche se nel frattempo si è già creata disoccupazione. All’inizio del libro, quando ancora la città non è consapevole di quello che sta accadendo, il dottor Rieux apre una finestra: «Il brusio della città si accrebbe all’improvviso. Da un’officina poco distante saliva il sibilo breve e ripetuto d’una sega meccanica, Rieux si scosse: là era la certezza, nel lavoro d’ogni giorno. Il resto era appeso a fili e a movimenti insignificanti, non ci si poteva fermare. L’essenziale era far bene il proprio mestiere».
Far bene il proprio mestiere è una suggestione di Camus che ricade su tutti noi in questo tempo e ci interroga alla vigilia del 1° maggio. Ci siamo trovati di fronte a un’emergenza sistemica che appare difficile da domare. Mi pare appropriata l’immagine che usa papa Francesco nell’Evangelii gaudium: «il modello non è la sfera dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (EG 236).
La situazione è proprio “poliedrica” e in modo repentino ci siamo trovati obbligati a fermarci per ridurre il rischio di contagio. Però questo ha avuto sin da subito forti ricadute sull’economia e il lavoro. Per qualcuno la perdita del lavoro è stata quasi immediata, per altri è scattata la cassa integrazione e altri ancora si chiedono se una volta passata questa ondata potranno tornare a lavorare. Come ne La peste anche qui ci troveremo di fronte a «un considerevole numero di disoccupati».
Trasporti, turismo, commercio, agricoltura, cultura, spettacolo, edilizia e altri settori sono stati toccati pesantemente e non esiste ambito che non veda fatica. Nelle città vediamo i riders che fanno consegne e altri fattorini che possono muoversi senza traffico. In effetti Amazon ha visto crescere la domanda e le edicole sono tornate a vendere più giornali, così come i negozietti di quartiere – quelli che vendono generi alimentari – sono stati riscoperti e valorizzati. La situazione è davvero inedita, il petrolio non vedeva un calo così drastico da novant’anni. Allora fu la crisi del ’29 a generare un disastro economico, oggi il Coronavirus non solo miete vittime a centinaia di migliaia, ma apre scenari d’incertezza che alimentano timori non infondati.
L’essenziale è far bene il proprio mestiere: mi piace parafrasare le parole di Camus per interrogarmi su cosa significhi oggi fare bene il proprio compito. Di sicuro negli ospedali la generosità e l’impegno di tanti medici, infermieri e personale sanitario hanno salvato tante vite, pagando con numerosi morti questa dedizione. La politica si è mossa come ha potuto, con decreti, proroghe, ipotesi di nuove fasi. L’immagine è quella della barca che naviga a vista, in cerca di sponde dove approdare, nella difficoltà di chi non sa quale sia la sponda da raggiungere. Salvare vite e non far precipitare lavoro ed economia sono un dilemma che mostra come il “poliedro” sia complesso.
All’inizio dell’anno pastorale l’Arcivescovo ha affermato che «la situazione è occasione». Per il mondo del lavoro e dell’economia quale occasione si presenta?
Forse questa situazione mostra che non tutti i nostri spostamenti per lavoro erano sempre così indispensabili. Io stesso ho partecipato a riunioni a distanza che non sono state meno efficaci rispetto a quelle fatte dal vivo, col vantaggio di aver risparmiato tempo e soldi. Anche la didattica a distanza – pur essendo diversa da quella in presenza – per alcune lezioni può essere comunque un rimedio con una sua efficacia. Forse potremo fare passi in avanti nella direzione dello Smart Working e ridurre l’uso di trasporti. Milano adesso sta ripensando la mobilità e immagina una valorizzazione anche degli spostamenti in bicicletta, che avrebbero il vantaggio di essere sostenibili sotto tutti i punti di vista.
Ma la vera sfida dove tutto si gioca è la solidarietà. Infatti il Coronavirus ha evidenziato il divario tra chi ha i mezzi per comunicare, le risorse per vivere e le energie per reinventarsi spazi e attività e chi è più povero, fragile e solo. Questo gap chiede una creatività che, anziché allargare le distanze, le accorci attraverso gesti concreti di cura reciproca. La sfida della prossimità non si deve arrendere alle corrette misure di distanziamento fisico. La differenza tra distanza fisica e distanza sociale non è da poco. La prima è misura necessaria per evitare i contagi, la seconda è isolare le persone e lasciare i più deboli in una pericolosa solitudine. Anche il lavoro e l’economia chiedono di essere ripensati, ma senza perdere dinamiche di solidarietà.
Far bene il proprio mestiere è sicuramente pensare ai più deboli e immaginare trame di vicinanza reale.