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Cultura, Storie, Sociale

Uomini e donne... per l'Italia

"La verità è che 75 anni fa l’Italia veniva liberata, ed entrava a far parte del giogo dell’età contemporanea, e lo faceva a testa alta, guidata da uomini e donne comuni".

Oggi come ogni anno festeggiamo la Festa della Liberazione, ma la festeggiamo in modo diverso, quasi irreale. La festeggiamo immersi nella più grave crisi dal dopoguerra, nella più gravosa crisi della nostra Repubblica. Eppure proprio oggi questa ricorrenza ha un significato così diverso, inchioda tutti al muro, ci mette davanti alla nostra storia.
E a giudicare da quello che spesso vediamo intorno a noi, un po’ forse dobbiamo dare ragione ad Indro Montanelli quando diceva che gli italiani sono un popolo che non ha futuro, perché non ha memoria del proprio passato; il peggior nemico è l’abitudine. La dimensione del ricordo, della storia, sono aspetti secondari, che finiscono piano piano con l’essere “somatizzati”, e una ricorrenza come questa finisce negli sparuti applausi dei pochi che possono effettivamente dire di aver vissuto quella parte di storia.
Ma quest’anno è diverso, quest’anno nell’intimità delle nostre case, questa festa credo la vivremo in modo diverso, tutti quanti. Appendere la bandiera fuori casa non è un gesto di routine, ma acquisisce un significato, che è un monito all’unità, un senso di appartenenza che forse per la prima volta molti di noi hanno scoperto; una dimensione sociale, civile, politica in senso più ampio possibile.
La verità è che 75 anni fa l’Italia veniva liberata, ed entrava a far parte del giogo dell’età contemporanea, e lo faceva a testa alta, guidata da uomini e donne comuni, che non avevano nulla di particolare se non un’idea di unità e un nemico comune.
Questo è ciò che rende l’essere umano capace di cose straordinarie; fino al giorno prima e dal giorno dopo dibattiti infuocati, confronti serrati, battaglie ideologiche hanno contrapposto cittadini e politici sulla forma da dare alle istituzioni, sull’apparato legislativo, sulle direzioni politiche, su tutto! Soprattutto perché l’italiano il dibattito lo ha nel sangue. Ma quando è stato il momento di combattere, di fare fronte comune contro un nemico, allora ogni ideale politico è stato messo automaticamente da parte, per un profondo senso civile che allora solo olezzava nell’aria. Non è stato necessario alcun richiamo istituzionale dal Capo dello Stato (in qual momento se la dava a gambe levate) né alcun appello alla responsabilità politica e istituzionale; autonomamente ognuno ha capito qual’era la cosa migliore da fare. Solo uniti si vince. La polemica, il dibattito, la politica, sarebbe venuta dopo. La differenza morale tra uno statista o anche un semplice cittadino, e un ciarlatano, resta sempre la capacità di guardare al futuro, e capire quando è il momento di mettere da parte la fredda politica per la morale e l’etica. In quel momento tutti avevano compreso che la cosa più importante fosse combattere e vincere il nemico.
E non parliamo di fronte comune tra esponenti di una politica ormai priva di ogni ideale; parliamo di un fronte comune dove i principali esponenti ideologici del Paese si mettono uno di fianco all’altro: Luigi Longo e le frange comuniste al fianco di Ferruccio Parri e il Partito d’Azione, Enrico Mattei e la Democrazia Cristiana con Giovanni Battista Stucchi e la compagine socialista e Mario Argenton con le formazioni autonome.
Nel ‘45 quando Raffaele Cadorna assunse la direzione del Corpo Volontari della Libertà, e quando decise di trincerare Milano, nessuno si inventò #Milanononsiferma per poi convertirsi al #restiamoacasa e #Cadornadovevidirloprima; nessuno polemizzò che la “zona rossa” di Salò era stata instaurata prima troppo presto, poi troppo tardi; quando Ferruccio Parri assunse la guida del Partito d’Azione, nessuno proponeva a destra e a manca nomi e cognomi dicendo che il proprio “candidato” era migliore, dicendo che Luigi Longo era un incompetente che non ascoltava le proposte degli altri, e che se dipendesse da loro l’emergenza veniva gestita decisamente meglio.
Non è successo. Non è successo per un semplice motivo: in effetti, dipendeva anche da loro. Nessuno polemizzò, perché tutti erano troppo impegnati a mettere da parte le proprie idee politiche e le proprie campagne elettorali e personali, perché in quel momento c’era una cosa più importante da fare, tutti insieme. Combattere un nemico, e vincerlo. Il resto è storia.

di Matteo Cassani

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