Internet, mai come oggi in un periodo di vera e propria emergenza, è uno strumento fondamentale per cercare di reagire al CCOVID-19. Quando il web ci rende vicini.
Il 6 agosto 1991, quando pubblicò il primo sito web al mondo presso il CERN di Ginevra, Tim Berners-Lee di certo non poteva immaginare che internet sarebbe stato uno strumento fondamentale per cercare di reagire al Covid-19, un virus pandemico che avrebbe messo a dura prova l’esistenza della società del XXI secolo. Non poteva nemmeno sognarsi che le videoconferenze via web avrebbero rimpiazzato le carezze dei nonni ai nipoti, le uscite del sabato sera degli adolescenti, le lezioni frontali di scuola.
Finché realtà non ci separi
A cosa serve internet oggi? A mantenerci un po’ più vicini. In questi giorni, mi è capitato di partecipare a una video-riunione (per dirla all’inglese, che in ambito professionale ci piace tanto: conference call) con una ragazza single, che vive da sola in centro a Milano. Ha esordito la riunione di lavoro dicendo: “Scusate se mi impappino, è l’emozione! Sono 24 ore che non parlo con nessuno, non vedevo l’ora di questo momento”. Chissà se, una volta passata questa emergenza, riusciremo a valorizzare i rapporti umani reali, o se preferiremo ancora trincerarci dietro allo schermo di uno smartphone. È la connessione, oggi, a mantenerci vivi. A non farci sprofondare nello sconforto. A non farci abbandonare alla solitudine. A farci tenere una parvenza di normalità - ovviamente quando non interviene la realtà a svegliarci amaramente: abbiamo finto di poter continuare a fare shopping compulsivo online, ma ora anche quella favola è finita. Il sistema dei trasporti è al collasso; marchi come Kiabi hanno scelto di chiudere anche le vendite online: “Siamo coscienti che i nostri vestiti non sono beni di prima necessità”. E anche Amazon ha deciso di rallentare la consegna dei beni accessori.
No alla libertà di dire ogni fandonia che ci passa per la mente
Quando ci sono i Mondiali, siamo tutti allenatori; quando cade un ponte, siamo tutti ingegneri civili. Potevamo, forse, farci mancare il privilegio di essere virologi? Il web e i social network, unica valvola di sfogo a disposizione in questo periodo di quarantena forzata, stanno raccogliendo commenti che spesso agevolano la diffusione di notizie false o perlomeno poco esatte. Come il fantomatico canadair di Amuchina che ogni sera si aggirerebbe sopra le nostre teste dormienti per sganciare sulle nostre strade liquido igienizzante, per citare l’esempio più divertente. O, ben più semplicemente e seriamente, l’idea che una mascherina fai-da-te foderata di carta forno possa salvarci la vita e permetterci di dimenticarci tutte le norme di sicurezza che le autorità ci chiedono di rispettare.
L’imperativo, allora, è usare il web BENE: cercando online informazioni attendibili e condividendo quelle. Non opinioni personali che a nulla giovano e tanto meno fake news. Andrà tutto bene, ce lo ripetiamo come un mantra. L’emergenza finirà. Ma speriamo che questo periodo storico ci insegni qualcosa, anche nel modo in cui approcciamo la tecnologia, la comunicazione online, il lavoro. Per citare una mia amica: “Speriamo che ci spinga con forza a rivedere le nostre priorità di vita, come un bello schiaffone in faccia”.